Teatro
Ventesima edizione del premio Nazionale di Teatro Luigi Pirandello
344 testi e 18 saggi di teatro, quasi il doppio (177) rispetto alla scorsa edizione, rappresentano un vero e proprio record, segno evidente che lo stato di salute del teatro italiano è buono, anzi va incoraggiato. Sono le parole di Giovanni Puglisi, presidente della giuria della ventesima edizione del premio Nazionale di Teatro Luigi Pirandello. “Le numerose opere pervenute, il loro spessore generale e la qualità dei soggetti premiati ci confermano che il made in Italy teatrale ha una identità robusta, che deve essere incoraggiata e premiata. E la mission del Pirandello è proprio questa”. Una giuria di alto profilo composta dal direttore del Teatro Biondo di Palermo Roberto Alajmo, Paolo Bosisio, professore Ordinario di Storia del teatro e dello spettacolo, il regista televisivo Michele Guardì, il critico letterario Paolo Mauri, l’attore Alessandro Preziosi, il regista Maurizio Scaparro, la scrittrice Elisabetta Sgarbi. A Roberto Herlitzka è andato il Premio Speciale alla Carriera. A Luca Micheletti, regista, drammaturgo e attore, il Premio Internazionale del valore di € 15.000,00. Ad Antonella Pandini, con il testo L’ascensore, il Premio Nazionale per la migliore opera teatrale, del valore di € 12.000,00. Il Premio per il miglior saggio storico-critico (€ 7.500,00) è stato conferito a Valentina Garavaglia con L’effimero e l’eterno. L’esperienza teatrale di Gibellina, pubblicato da Bulzoni. Il Premio per il Saggio Filologico, del valore di € 7.500,00, assegnato ad Alessandro Pontremoli con il saggio Danza e Rinascimento. Cultura coreica e “buone maniere” nella società di corte del XV secolo, edito da Ephemeria. Dieci anni di vuoto dal 1997 la banca fondatrice del premio, non finanzia più attori, registi, autori e studiosi di teatro e decide di non tenere ogni anno il tradizionale premio nazionale. Ma è il presidente della Fondazione Banco di Sicilia, Gianni Puglisi a farsene carico, capendo l’importanza e il valore di un patrimonio che non poteva andare perduto, con il suo albo d’oro cone nomi del calibro di Ingmar Bergman, Giorgio Streheler, Eduardo De Filippo e Harold Pinter, Giovanni Macchia e Luca Ronconi.
“Un grande laboratorio culturale per tutto il nostro Paese. Una palestra per chi fa teatro. Occorre, pertanto, che il teatro diventi, per l’opinione pubblica, un bisogno personale e una necessità collettiva. E ciò perché esso stesso, oltre che diletto e passione, è anche una scuola capace di educare una società migliore, più sensibile e critica. Credo e sento che quanto espresso rappresenti lo spirito di tutti i giurati, che si sono impegnati in modo egregio nella delicata scelta di decretare i vincitori delle varie sezioni del Premio”.
Ecco i nomi dei premiati e le motivazioni:
Antonella Pandini (Premio Nazionale di Teatro Luigi Pirandello)
L’ascensore. Con una intuizione squisitamente teatrale l’autrice ha messo in scena grandi temi in un piccolo spazio. L’ascensore che si blocca in un condominio di Milano vede agire un anziano musicista e una giovane donna incinta che ha da poco saputo che il figlio che porta in grembo è morto. La vita, la morte, il silenzio, la musica ecco i motivi del concerto a due voci che si sviluppa lungo tutta l’azione scenica, con il contrappunto di ciò che accade fuori: voci di altri inquilini, voci dei tecnici che tentano di riparare il vecchio ascensore. Di esemplare asciuttezza e consistenza il dialogo (che spesso è una somma di monologhi) tende al filosofico di cui è metafora ben riuscita l’affacciarsi finale dell’ascensore sui tetti.
Valentina Garavaglia (Premio per la saggistica sezione storico-critica)
L’effimero e l’eterno. L’esperienza teatrale di Gibellina. Non è possibile restare indifferenti davanti al fenomeno di Gibellina. Rinata in altro luogo dopo il terremoto che la distrusse, Gibellina è stata altro da sé fin dalla sua rifondazione a opera di Ludovico Corrao. Di questa eccentrica rifondazione il teatro è parte preponderante, assieme all’urbanistica. Ed è proprio l’esperienza delle Orestiadi, il festival teatrale di Gibellina, che il libro di Valentina Garavaglia, “L’Effimero e l’Eterno”, indaga ricostruendone le origini e gli sviluppi, nelle incarnazioni dei suoi diversi direttori artistici. Un libro che documenta gli atti teatrali senza mai perdere di vista il rapporto con l’anima straniata di un paese strappato dalle sue radici e ripiantato altrove in mezzo a molte difficoltà. Un paese che ha faticosamente ricostruito la propria identità, che era contadina mentre è oggi pienamente artistica, e teatrale soprattutto.
Alessandro Pontremoli (Premio per la saggistica sezione filologica)
Danza e Rinascimento. Cultura coreica e “buone maniere” nella società di corte del XV secolo. Il saggio di Alessandro Pontremoli è una documentatissima lettura del fenomeno danza nel Rinascimento, attraverso la trattatistica dell’epoca e segnatamente delle opere di Domenico da Piacenza e di Guglielmo Ebreo da Pesaro, filologicamente riesaminate. Se il primo – che fu maestro del secondo – non ha finalità didattiche, il secondo più vicino alla cultura umanistica e al pensiero neoplatonico, si prefigge di rappresentare la danza come una scienza nel quadro di una nuova articolazione dei saperi o, se si vuole, di una vera e propria rivoluzione culturale in atto in quel torno di tempo. Rivisitando le raffinate corti italiane, l’autore investiga e rilegge la fascinosa traccia delle danze di allora e a questa danza pensata il lettore accede seguendo un percorso di straordinaria ricchezza.
Luca Micheletti (Premio Internazionale Luigi Pirandello). Nato a Brescia nel 1985, Luca Micheletti è il più giovane rappresentante di una famiglia che da quattro generazioni ha fatto del teatro il proprio “mestiere”, nel senso più nobile e concreto del termine, nell’alveo dell’antica commedia dell’arte. Regista, drammaturgo e attore, Luca ha affiancato gli studi universitari fino al conseguimento del dottorato di ricerca, a un’intensa attività teatrale sia nella compagnia di famiglia, sia in enti teatrali primari per i quali ha firmato drammaturgia e regia di spettacoli pluripremiati, ha diretto grandi attori come Umberto Orsini, è stato protagonista di spettacoli di particolare rilievo. Nel 2012 Luca Ronconi lo ha chiamato al suo Laboratorio per la Biennale di Venezia Teatro a dirigere uno studio su Questa sera si recita a soggetto di Pirandello. Nel cinema è stato diretto da Marco Bellocchio e Renato De Maria (fra i protagonisti di Italian Gangsters). Si occupa anche di didattica teatrale in ambito scolastico, accademico e carcerario, e insegna Regia all’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia. È autore di numerose traduzioni e riscritture per la scena, edite e rappresentate, e del romanzo Tutta la felicità con il quale ha debuttato nella narrativa. Luca Micheletti rappresenta una delle figure emergenti più interessanti e promettenti nel panorama del teatro italiano.
Roberto Herlitzka (Premio Speciale alla Carriera) Delle tre età canoniche dell’artista, Roberto Herlitzka sembra aver saltato integralmente le prime due. Ovviamente è un’illusione prospettica che subisce lo spettatore superficiale, perché anche lui ha dovuto fare la sua gavetta, a cominciare dalla scuola di Orazio Costa, passando per ruoli crescenti, un po’ di cinema e anche televisione, quanto basta. Ma davvero: Herlitzka è arrivato al carisma del venerabile maestro a fari spenti, dando l’impressione di aver saltato integralmente la prima fase, quella di giovane promessa, e soprattutto la più lunga e frustrante seconda fase. Herlitzka dà l’impressione di essere nato già Edipo, se non direttamente Lear. Oggi è lui, senza molte discussioni, l’attore più blasonato fra quelli di lingua italiana. Uno status consolidato con la pazienza di chi si ostina a credere nel teatro e nella sua funzione civile, oltre che culturale.
In Evidenza
Il racconto dell’ancella di Viola Graziosi e il distopico
Viola Graziosi è un’attrice immensa e quando si fa dirigere dal marito, il grande attore di teatro Graziano Piazza, lo diventa ancora di più, in una performance artistica che impegna voce e corpo in quasi due ore di spettacolo.
Margaret Atwood
Interpretare June Osborne, la protagonista del racconto della scrittrice canadese Margaret Atwood, “Il Racconto dell’ancella”, andata in scena al teatro Libero di Palermo, non è facile, anche perché il pubblico negli ultimi anni ha tributato un grande consenso al romanzo distopico del 1985, che ha venduto milioni di copie, adattato per il grande schermo nell’omonimo film diretto da Volker Schlöndorff e nel 2017 per la televisione.
The Handmaid’s Tale
Tutte le stagioni sono su Prime video sotto il titolo di The Handmaid’s Tale. Il suo ideatore Bruce Miller, forse non si aspettava tanto successo, grazie all’attrice protagonista Elisabeth Moss che interpreta June. Sono molto simili la Moss e la Graziosi, nel cinema la prima è dentro il regime teocratico totalitario di Gilead, catturata mentre tentava di fuggire in Canada con suo marito, Luke, e sua figlia, Hannah. Grazie alla sua fertilità, diventa una ancella del comandante Fred Waterford (da qui il nome Difred) e sua moglie, Serena Joy; l’altra Viola Graziosi, in Teatro, si immerge nel testo, tradotto da Camillo Pennati.
Viola Graziosi
Per lei tutto ha avuto inizio 5 anni su un input di Laura Palmieri di Radio 3 che le chiese di portare in scena questa incredibile storia, proprio il giorno della festa della donna. Il palco è come una sorta di anfiteatro dove tante paia di scarpe rosse, delimitano un semicerchio con al centro un abito rosso che ci richiama alle antiche vestali. Viola inizia il suo racconto illuminata soltanto da un occhio di bue che le delimita luci e ombre sul viso e sul corpo.
Un viaggio introspettivo
Lo spettatore vive una sorta di viaggio introspettivo amando il coraggio di una donna che diventa emblema anche di alcuni movimenti di protesta a sostegno dei diritti delle donne. “Nolite te bastardes carborundorum” e “Ci sono domande?” Sono due frasi ricorrenti nell’opera, spesso usate come motto di emancipazione femminile, ed è proprio il racconto di Viola Graziosi che spinge il pubblico quasi a una catarsi liberatoria in cui in scena, attraverso la parola, il corpo si svela non soltanto come mezzo di procreazione.
La repubblica di Gilead
Nel racconto dell’ancella in versione teatrale e televisiva lo spettatore è spinto a detestare i comandanti di una Repubblica, Gilead, dove le donne sono asservite a loro per scopi riproduttivi e dove quelle non fertili o troppo anziane sono dichiarate “Nondonne” e quindi eliminate.
Sorvegliate e divise in categorie secondo il colore dei vestiti: azzurro le Mogli; verde le Marte, le domestiche; marrone le Zie, sorveglianti; rosso le Ancelle, le uniche in grado di procreare. Nessuna può disobbedire, pena la morte o la deportazione. Non hanno bisogno di leggere, di scrivere, di pensare, di stancarsi troppo. Non vanno in giro da sole di modo che non possano essere importunate. Sono vestite di rosso con un cappuccetto bianco, in modo tale da non venir troppo viste e possono anche evitare di guardare, se non vogliono.
E’ un racconto immaginato in un futuro irreale e forse Viola Graziosi, con questa “opera magna” vuole farci comprendere come la donna sia ancora oggi discriminata da una becera cultura maschile che non si rassegna!
Teatro
“Nudi sul terrazzo”, Moschella & Mulè coppia vincente
I buongustai avranno certamente colto le continue incursioni nel cinema ed è inevitabile che la formazione di Giuseppe Moschella peschi a piene mani dalla settima arte, già dalla prima stesura, avvenuta, per sua stessa ammissione, in pieno lockdown, E’ una commedia brillante, “Nudi sul terrazzo”, scritta assieme a Roberto Pizzo, andata in scena al Teatro Sant’Eugenio di Palermo.
3 anni di preparazione
Ci sono voluti quasi 3 anni di gestazione per quest’opera “leggerissima”, come la definiscono i due protagonisti, che nella vita sono coppia affiatata oltre che artistica. Giuseppe Moschella e Emanuela Mulè, in quasi due ore regalano al pubblico una serie di gags esilaranti e nello stesso tempo incollate alla realtà di tutti i giorni, dove le scene di gelosia non mancano con una girandola di attori azzeccati e scelti con cura.
Il dramma della gelosia
Forse il “Dramma della gelosia”, capolavoro cinematografico di Ettore Scola del 1970, con Vitti, Mastroianni e Giannini, ha un pò condizionato la scrittura di Moschella, da sempre affascinato da quel neorealismo che fece nascere la commedia all’italiana. E chi si aspetta che i due protagonisti finiscano davvero nudi sul terrazzo, deve aspettare quasi alla fine di un intrigata storia di gelosie e ripicche che in fondo non sono altro che il frutto di una subcultura popolare che affonda le sue radici nei fotoromanzi e nelle canzonette che nell’immaginario collettivo risuonano come ricordi incancellabili, è il caso della febbre del sabato sera.
Pubblico divertito
Pubblico coinvolto dalle perfomance artistiche di personaggi divertenti, in testa Emanuela Mulè che si riconferma attrice di talento capace di tenere la scena grazie alla sua bravura artistica e bellezza; c’è il ruolo della suocera, una napoletana verace, Iaia Corcione, da qualche anno trasferita a Palermo, con una formazione da ballerina di danza a Napoli e poi come attrice a Roma, dove si è perfezionata anche nel canto. E’ lei il valore aggiunto di questa piece teatrale che vede anche la sensuale assistente dello scrittore, la bella Sonia Hamza; le sue movenze ricordano Jessica Rabbit, moglie del coniglio Roger, personaggio immaginario inventato dalla penna di Gary Wolf.
E’ lei al soldo della suocera di Giuseppe; e poi c’è Romeo che ci richiama al gattone degli aristogatti, lui è il manutentore di casa, Massimiliano Sciascia, ogni sua battuta è un mix di catanese e palermitano, che scatena sempre una risata collettiva. Arredi scenici rigorosamente allestiti dall’assistente alla regia, Elisabetta Loria. Bravi tutti
. Bravi tutti!
In Evidenza
Teatro Biondo, la stagione 23/24, Radici
Il Ficus Magnolia è re della Sicilia ed emblema dell’anelito umano all’espansione del sapere, della ricerca di nuova conoscenza, della conquista della bellezza: ha radici profonde nella terra in cui germina, ne ha altre che escono dalla terra e creano arabeschi, ed altre ancora che si proiettano nell’aria per radicarsi più in là… ancora più in là. Così nutrito, l’albero diventa una cattedrale di bellezza. Siamo usciti dal tunnel dell’isolamento e della paura più insicuri: guerre, instabilità economica e allarme ambientale ci rendono fragili; perciò, più che mai ci interroghiamo sulla nostra identità.
L’albero
Come l’albero meraviglioso noi siamo ciò di cui ci siamo nutriti dalla nascita (radici profonde), ciò di cui abbiamo deciso di alimentarci in seguito (radici scelte), e ciò che vorremmo assimilare nel futuro, perciò lanciamo radici al vento per captare, per ricevere stimoli, per crescere. Il nostro lavoro in teatro continua in questa strada d’identità, di classici, di storie e artisti “nostri”, si arricchisce di letteratura e linguaggi di cui ci siamo innamorati, che ci hanno incantato; infine, gettiamo radici al vento per proporvi novità, curiosità, grafie ed espressioni nuove che chiedono di arricchire il nostro bagaglio culturale e il nostro pensiero, e di espandersi in tutti i terreni possibili. La stagione “Radici” offre un ventaglio di proposte per esplorare questi tre diversi sentieri e arrivare ai tre angoli della nostra identità… una Trinacria? Pamela Villoresi (direttrice artistica)
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