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Tornatore racconta la sua Leningrado

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“Quando un’opera è nella mente dello scrittore è sempre perfetta; quando viene invece viene realizzata è perfettibile”. C’è una velata malinconia nelle parole del regista bagherese Giuseppe Tornatore, rivolto al direttore artistico di Una marina di Libri, Piero Melati, che lo ha intervistato sul palco, sotto i ficus secolari dell’orto botanico di Palermo. Il contesto è come sempre affascinante, il polmone verde della città, che per questa occasione, ogni anno, si trasforma in giardino letterario dedicato alla parola scritta o pronunziata. In fondo alla platea gremita, assiste all’incontro, l’editore del libro di Tornatore, Antonio Sellerio,  con il passeggino e il bimbo addormentato. In lontananza si sentono voci di bambini che giocano, è una serata estiva, l’affabulazione del regista di Baharia e della Migliore offerta, supera il fastidio delle zanzare. La storia di questo film mancato è incredibile, il pubblico rimane incollato alle panche di legno scomode, ma l’impianto narrativo del  lavoro forse più lungo di  Tornatore, lascia l’amaro in bocca per un film mancato. Dal 2000 al 2005, il premio oscar di Novo cinema Paradiso, fa ricerche, viaggi, incontri, interviste con testimoni, in previsione del primo ciak. Alla fine ai produttori presenta 3 soggetti ma quello a cui si sente maggiormente affezionato è la storia di una violoncellista e dei suoi figli durante l’assedio della città di Pietro il Grande da parte dei tedeschi nella Seconda guerra mondiale. Un film epico che attraverso il tragico individuale avrebbe messo in scena gli orribili 900 giorni dell’assalto nazista a Leningrado, per fissarli nel ricordo che ancora non le viene riconosciuto. “Tutti sanno di Stalingrado e della sua difesa. Pochi hanno idea del supremo martirio di Leningrado. Hitler aveva deciso di prenderla senza spreco di armamenti, letteralmente per fame, in tre mesi di assedio secondo i calcoli dei suoi esperti nutrizionisti. E invece i leningradesi sopravvissero per tre anni vittoriosamente”. Inorridisce la storia del cannibalismo e  del sacrificio dei figli più deboli per destinare il cibo ai più forti; i 150 grammi di pane che toccavano al giorno venivano negati ai più deboli per lasciarli al loro destino di morte. Dei 3 milioni e mezzo di cittadini di Leningrado più di un milione morì ma gli altri riuscirono a sopravvivere di fatto vincendo la battaglia contro Hitler e i suoi nutrizionisti sicuro di raccogliere i cadaveri dopo 3 mesi dall’embargo del cibo. Tornatore rimase affascinato dalle storie di questi sopravvissuti che riuscirono prima di tutto a nutrire lo spirito, se non potevano i corpi. La vita intellettuale della città dell’Hermitage e del teatro Kirov, di Sostakovic (che proprio in quei giorni compose la Settima Sinfonia), non si attenuò nemmeno per un giorno. Tutto questo è rappresentato in “Leningrado”, la sceneggiatura del film invisibile di Tornatore. Ma il libro non è solo questo. Il regista ricostruisce in un’ampia Nota le peripezie che hanno segnato i tentativi di produzione fin dai primi momenti. L’andamento delle ricerche storico documentali, la ricognizione delle location, gli incontri con i diversi possibili finanziatori, ciascuno con il proprio interesse da far valere (non sempre e non solo economico) e con la propria tattica aziendale, in una dialettica viva con le ragioni culturali degli autori. Insomma è la concreta industria del cinema che ci passa davanti agli occhi, in una cronaca senza egocentrismi e senza gossip; come il backstage su un film mai nato.

 

Il servizio di Repubblica Palermo

https://video.repubblica.it/edizione/palermo/palermo-tornatore-racconta-il-suo-film-mai-girato-su-leningrado/307165/307794

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