Editoriali
La pandemia e l’emergenza salute mentale
Lo aveva detto qualche mese fa il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, e oggi le sue parole si amplificano di giorno in giorno, con il crescente aumento della curva dei contagi; “l’impatto della pandemia sulla salute mentale delle persone è estremamente preoccupante. L’isolamento sociale, la paura del contagio e la perdita di familiari sono aggravati dall’angoscia causata dalla perdita di reddito e, spesso, dell’occupazione”. Sembra che questo allarme, descritto nei dettagli in un documento delle Nazioni Unite, reso pubblico lo scorso 14 maggio, sia passato quasi inosservato. Eppure quando fu comunicato alla stampa di tutto il mondo, l’epidemia sembrava quasi sconfitta, complici anche le temperature estive. Ghebreyesus invitava i governi ad aumentare gli investimenti nei servizi per la salute mentale, al fine di evitare un’esplosione di disturbi di questa natura nei mesi invernali. Si riferiva proprio al periodo che stiamo vivendo adesso, ma già allora giunsero diversi rapporti provenienti dai vari Paesi che indicavano un aumento dei sintomi della depressione e dell’ansia. La sofferenza psicologica correlata al Covid19 mina il benessere mentale, in modo particolare, di gruppi specifici di popolazione, tra tutti gli operatori sanitari in prima linea, che devono far fronte a carichi di lavoro pesanti, prendere decisioni che possono determinare la vita o la morte di un paziente, e sono inoltre esposti al rischio di infezione. Il recente caso di infezione diffusa al pronto soccorso dell’ospedale civico di Palermo, né è la prova. Anche le donne sono a forte rischio di compromissione della salute mentale, in particolare quelle che sono costrette a dividersi tra smart working e incombenze di casa o peggio accudire familiari anziani, possibilmente con patologie psichiatriche pregresse o con malattie varie. C’è anche un dato preoccupante che riguarda l’aumento del consumo di alcol durante la pandemia. Gli esperti di salute mentale, stanno monitorando fette di popolazione maggiormente esposte al rischio infezioni. Mai come in questo momento è fondamentale continuare a sostenere le azioni della comunità che rafforzano la coesione sociale e riducono la solitudine, in particolare per i soggetti più vulnerabili, anziani in testa. Voglio riportare ciò che ha scritto un mio caro amico psichiatra sulla sua pagina facebook, traendo spunto dall’enciclica di papa Francesco: “San Paolo menzionava un frutto dello Spirito Santo con la parola greca “chrestotes” (Gal 5,22), che esprime uno stato d’animo non aspro, rude, duro, ma benigno, soave, che sostiene e conforta. La persona che possiede questa qualità aiuta gli altri affinché la loro esistenza sia più sopportabile, soprattutto quando portano il peso dei loro problemi, delle urgenze e delle angosce. È un modo di trattare gli altri che si manifesta in diverse forme: come gentilezza nel tratto, come attenzione a non ferire con le parole o i gesti, come tentativo di alleviare il peso degli altri. Comprende il “dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano”, invece di ” parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano”.