Editoriali
Lavoro, la risposta è davvero nel reddito di cittadinanza?
Sembra un titolo fazioso ma non lo è. L’allarme lanciato da Confindustria nel corso della sua audizione al Senato sul cosiddetto decretone, il provvedimento che include il nuovo sussidio che sostituirà il Rei e Quota 100, non è stato adeguatamente amplificato. Il reddito di cittadinanza potrebbe avere l’effetto collaterale di scoraggiare i più giovani dal cercare un posto di lavoro, secondo gli analisti di Confindustria. “I 780 euro mensili potrebbero essere pochi per un impiego, considerando che in Italia lo stipendio medio dei giovani under 30 si attesta a 830 netti al mese”. A dichiararlo Pierangelo Albini, direttore dell’area Lavoro e Welfare di Confindustria. “Nel dettaglio, ha detto, lo stipendio si attesta a 910 euro al nord, 820 euro per i neo laureati, che può scendere fino a 700 euro per i non laureati al Sud. Temiamo che questo strumento anzichè incentivare l’offerta, ovvero muovere le persone a cercare occupazione, abbia un effetto di scoraggiamento”, ha detto. Questo, secondo Confindustria, si desume da due aspetti: “il livello troppo elevato del beneficio economico” e “il meccanismo di scelta per disciplinare il cuneo tra beneficio che percepisce il nucleo familiare nel suo insieme e i redditi di lavoro”. Gli ha fatto eco anche il presidente dell’Inps Tito Boeri, che nella sua audizione ha parlato di “rilevante effetto scoraggiamento”, proprio dovuto all’importo del reddito di cittadinanza che in alcune aree del Paese sarebbe superiore al reddito medio da lavoro incassato oggi dai cittadini. E se da un lato il reddito di cittadinanza può spingere i giovani a non cercare lavoro, dall’altro i dati parlano di aziende disposte ad assumere. In un articolo scritto da Alberto Magnani, sul Sole 24 ore dal titolo: “Perché i giovani fanno fatica a trovare lavoro in Italia”, si legge che: “…il lavoro c’è, ma le aziende non scovano « profili adatti». La formazione conta, ma gli studenti si ostinano a disertare le discipline tecniche-scientifiche. O ancora: le posizioni di lavoro ci sono, e stabili, ma i «bamboccioni» si rifiutano di accettare retribuzioni di ingresso inferiori alle proprie aspettative. È il repertorio di ordinanza che si legge sul cosiddetto mismatch, il divario tra le richieste del mercato del lavoro e le competenze offerte dalle nuove generazioni. La prima tesi è che le nostre imprese siano inadatte a sfruttare il potenziale dell’offerta di lavoro, soprattutto fra neolaureati e candidati giovani. «In Italia scontiamo una struttura produttiva e una domanda di lavoro poco qualificata, a fronte di un’offerta di lavoro molto qualificata. È questo il vero mismatch», spiega al Sole 24 Ore Giovanna Fullin, docente di sociologia dei processi economici e del lavoro alla Bicocca di Milano. Le cause del divario? Sul basso livello degli impieghi offerti incide, prima di tutto, la dimensione media delle nostre imprese e il loro scarso slancio innovativo.