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Arianna Scinardo

Pupi Avati e il conformismo

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Pupi Avati, o “l’anticonformismo del conformismo”

La presentazione del volume ‘Pupi Avati fuori dal cinema italiano’ al Museo Etrusco di Roma, alla presenza dei fratelli Avati. Steve Della Casa intervista il regista e l’autore del libro, Massimiliano Perrotta

“Il mio libro inizia con una cena a casa di Laura Betti, dove Pupi Avati era appena arrivato da Bologna con due film che erano andati male. E proprio lì, dove c’erano Bellocchio, Bertolucci, Moravia, Pasolini… gli scappò detto ‘io sono democristiano’: la cosa più conformista, che però in quel consesso coincideva col massimo dell’eresia. Su questo paradosso, su questa contraddizione, lui ha costruito la sua carriera e io ho costruito il mio libro”.

Così Massimiliano Perrotta presenta al pubblico il suo Pupi Avati fuori dal cinema italiano in una gremita Sala della Fortuna del Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma. Una biografia decisamente sui generis, appena uscita con Edizioni Sabinae, che in otto capitoli raccoglie altrettanti articoli già pubblicati dall’autore catanese sull’’Huffington Post’. Accanto a lui il regista, fresco della Laurea ad Honorem in Italianistica appena conferitagli all’Università Roma Tre, mentre in prima fila siede l’inseparabile fratello, Antonio Avati.

A moderare l’incontro è Steve della Casa, critico cinematografico e direttore artistico, storico conduttore radiofonico di ‘Hollywood Party’ nonché regista, autore e Conservatore della Cineteca Nazionale.

L’anticonformismo del conformismo è la chiave di lettura che il libro dà alla carriera di Pupi Avati”, rimarca Della Casa, dopo aver presentato il regista, accolto da un lungo applauso, come ‘il più grande affabulatore che ho conosciuto nella mia carriera’: “una carriera che ha parecchi punti che sorprendono, come dimostra il volume stesso. Ad esempio quando qualche anno fa ho scoperto che gran parte dell’ultimo film di Pasolini, Salò, è stato scritto da Pupi Avati, rispetto ai suoi lavori successivi mi sembrava una cosa eccentrica. Invece poi non lo è affatto. Questo libro è molto interessante e controcorrente, perché è una biografia non esaltatoria del soggetto e non ha un’esigenza di completezza: racconta un preciso punto, la posizione eccentrica di Pupi Avati all’interno della galassia del cinema italiano”.

“Il libro di Massimiliano (Perrotta, ndr) apre con la storia di quella cena, ma non è che io sono arrivato là e ho detto così, dal nulla, ‘sono democristiano’”, precisa ridendo Pupi Avati, che prende la parola confermandosi esattamente nel ruolo in cui è stato presentato e snocciolando anche in questa occasione decine di aneddoti più che divertenti sui suoi 85 anni di vita, di famiglia e di cinema, spesso mimando il racconto la voce con vere e proprie gag.

“Quello era il risultato di una serie di considerazioni di noi che arriviamo a Roma (io e mio fratello Antonio, ndr) con due ‘cadaveri’ di insuccessi, come allora si diceva”, continua il regista. “Anche dietro alla stessa scelta di questo piccolo nome, ‘Pupi’ Avati, c’era una cultura, un mondo, dei genitori, dei nonni, delle zie, la campagna vissuta nel primo dopoguerra… C’erano le favole contadine terrorizzanti che ci raccontavano prima di andare a letto nelle camere scricchiolantissime, come la favola del ‘prete donna’… E poi c’era la chiesa, l’educazione cattolica preconciliare, piena di inferno e di diavolo dappertutto. Ecco, avendo tenuto dentro di me con riconoscenza quell’immaginario che si è andato a formare laggiù, in quel tempo remoto, con una grande nostalgia… Perché allora non c’era niente, a parte i campi… E allora riempivi quel niente con l’immaginazione, col racconto orale, che era fondamentale. Magari alcuni dei miei parenti erano pressoché analfabeti, non avrebbero mai saputo scrivere… ma sapevano raccontare. E saper raccontare – come sapeva fare nostra madre, una narratrice fantastica, che da quando salivamo in macchina da via Saragozza a Bologna fino a Roma non si interrompeva un minuto – era una cosa preziosissima. Questa è l’Italia dalla quale vengo, che non aveva quasi nulla, ma aveva tantissimo, perché ti permetteva di immaginare, che oggi è una cosa quasi proibita”.

Tornando al libro, anche per chi non abbia letto in precedenza i suoi articoli online, lo stile del racconto di Perrotta appare esplicito fin dalle prime pagine e non lesina – ora qua ora là – personalissimi epiteti ai grandi maestri della settima arte, destinati a far discutere. Ma anche nei titoli scelti per dividere il volume: si va da Un democristiano nel salotto – dove si racconta la famosa cena di cui sopra – per poi passare a Il Truffaut dell’Italietta, La poesia democristiana, o Agli antipodi del fighettismo, all’interno del quale, ad esempio, l’autore scrive: “Glamour: ecco una parola che non si addice al cinema di Pupi Avati. Egli si colloca agli antipodi del fighettismo artistico e di quello sociale (…). Mentre il fighettismo idolatra i vincenti, Avati simpatizza per i candidi, per gli insicuri, per gli sfigati”.

“Pupi Avati è fuori dal cinema italiano per una ontologica estraneità agli schemi culturali che nell’ultimo mezzo secolo lo hanno dominato”, scrive ancora Perrotta nel primo capitolo: “non ha fede nella storia, non crede nel progresso, non lotta contro il potere, non gli interessano i temi sociali, non si batte per le nobili cause, non vuole denunciare nulla, non racconta la crisi dell’Occidente, non segue le mode, non ostenta citazioni, non è laico. Per la stessa ragione il cinema italiano ama poco Pupi Avati: lo tratta con condiscendenza, premia raramente i suoi film, fatica a riconoscergli lo status di autore con la a maiuscola. (…). Il cinema di Pupi Avati non va rivalutato o sdoganato: va letto con occhi vergini, con occhi postnovecenteschi, con gli occhi di domani”.

“Il cinema di Pupi è personalissimo, senza quella aggressività che altri autori cercano di imporre sulla materia narrata e sulla realtà con la loro cifra”, continua l’autore del libro in sala. “Anche nei riguardi del film horror, lui lo fa a tutti gli effetti, rispettandone i codici ma poi arricchendone il contesto con il suo sguardo. Anche in Salò, certo, c’è la sua firma, ma discreta: non c’è nulla che lui faccia, anche per la tv, che non rispetti quel che gli viene chiesto, e che però sia al tempo un film di Pupi Avati a tutti gli effetti, con tutte le sue cifre stilistiche, ma sempre con discrezione, con quel senso della misura che secondo me è quello che, se da un lato lo rende amabile, lo ha visto penalizzato da parte della critica. Ma il tempo secondo me dà ragione a lui”.

“L’argomento del film di genere, presente nel libro, è una preoccupazione che Pupi ha a livello di prospettiva”, precisa Steve Della Casa. “È molto attento anche a quello che avviene anche dal punto di vista commerciale nel cinema italiano, e alla sua capacità di trovare un pubblico. Praticare il cinema ‘di genere’ è stata una caratteristica del cinema italiano negli anni del suo massimo splendore. Diceva Giuliano Montaldo che se si potevano fare i film di Bertolucci e Pasolini era perché si facevano quelli di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, che incassavano, pensate, quasi il 10% del totale nel cinema italiano, consentendo agli altri di sperimentare. E poi c’era un’osmosi tra cinema d’autore e di genere, che si confrontavano continuamente. Nell’horror che fa Pupi Avati, ad esempio, gli effetti speciali hanno un ruolo piccolissimo, il suo è un horror di atmosfera: la paura ti arriva da altre cose”.

A chiudere la pubblicazione, un’interessante ‘raccolta nella raccolta’ tratta da libri, riviste e/o quotidiani, intitolata Fior da Fiore, che a partire dal 1970 fino al 2024 riporta i punti di vista delle più note firme del grande schermo nei confronti del cinema di Pupi Avati: Miccichè, Farassino, Bignardi, Bertetto, Caprara (Valerio), Anselmi, Fofi, Morandini, Ferzetti (Fausto), Rondolino, Tornabuoni, Crespi, Sarno, Kezich, Nepoti, Brunetta, Mereghetti, Rondi, Mancuso, Salvagnini, Giusti, Zappoli e Siniscalchi.

Arianna Scinardo

Braga e Bossi autori delle musiche de: “L’abbaglio”

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L’ABBAGLIO – Michele Braga ed Emanuele Bossi firmano la colonna sonora del film di Roberto Ando’

Prossimamente sarà disponibile in digitale la colonna sonora originale, a firma di Michele Braga ed Emanuele BossiI, di “L’ABBAGLIO” (edita da Edizioni Curci), il nuovo film di Roberto Andò, che arriva nelle sale italiane dal 16 gennaio distribuito da 01 Distribution.

L’Abbaglio” si colloca sul crinale di due mondi musicali ben distinti: da un lato, l’attesa di un destino epico che deve compiersi nella spedizione dei Mille; dall’altro, il tono meno serio e a tratti divertente incarnato dai due disertori che, loro malgrado, finiranno per aiutare il generale Orsini nell’impresa. Sullo sfondo, la Sicilia con tutte le sue meraviglie e contraddizioni musicali, a fare da cornice.

«Oltre ad esserci ispirati alla musica propria del periodo (e quindi chi altri se non Verdi!), abbiamo cercato una “voce narrante” originale, che legasse il racconto senza essere di parte, cercando un’epicità laica, senza celebrazioni – dichiarano Michele Braga ed Emanuele Bossi – Poter scrivere musica per grande orchestra, eseguirla e registrarla in uno dei luoghi simbolo della musica in Italia (la sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica – Ennio Morricone) è stata una rara opportunità che ci ha lusingato e che abbiamo colto con entusiasmo».

L’Abbaglio” di Roberto Andò è una produzione TRAMP LTD e BIBI FILM con RAI CINEMA e MEDUSA FILM, in collaborazione con Netflix. Nel film gli attori, Toni Servillo, Salvo Ficarra e Valentino Picone.

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Arianna Scinardo

Il gioco della verità

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A ridosso dell’anniversario della scomparsa di Mariangela Melato, l’11 gennaio 2013, Rai Cultura propone, l’episodio a lei dedicato della serie “Illuminate”, prodotta da Anele, che racconta le storie di quattro eccellenze femminili italiane, in onda venerdì 10 gennaio 2025 alle 23.10 su Rai Storia. In “Mariangela Melato. Il Gioco della Verità” diretto da Marco Spagnoli, Elena Sofia Ricci andrà nel posto dove, negli anni ’80, incontrò per la prima volta la grande attrice milanese, una cantina nel Quartiere Monti di Roma, un piccolo teatro off che Mariangela, già famosa, frequentava in mezzo a giovani attori, facendo con loro il gioco della verità.

Elena Sofia Ricci

Da qui partirà Elena Sofia Ricci per scoprire qualcosa di più su una delle più grandi attrici di sempre, insieme alle persone che l’hanno conosciuta bene, continuando quel gioco della verità che aveva iniziato con lei, e cercando di carpire da ciascuno il proprio pezzo di verità su Mariangela.

Tra i numerosi testimoni che daranno un prezioso contributo al racconto di questa grande icona del cinema e del teatro italiano, la sorella Anna Melato, Renzo Arbore, Pupi Avati, Gabriele Lavia, Massimo Ranieri, Lina Wertmüller, Luca Barbareschi, Annabella Cerliani, Felice Laudadio, Giampiero Solari, Renato Scarpa e l’amica e assistente Giovanna Guida. Il docu-film “Mariangela Melato. Il Gioco della Verità” è scritto da Marco Dell’Omo con la collaborazione di Marco Spagnoli e diretto da Marco Spagnoli.

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Arianna Scinardo

Cineclub Scienza a Roma dal 15 gennaio

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Dal 15 gennaio al 9 aprile 2025 al Teatro Palladium di Roma, con “Cineclub Scienza – Al Cinema con i Ricercatori e le Ricercatrici”, la scienza incontra il grande schermo per esplorare i temi cruciali della contemporaneità: cambiamenti climatici, biodiversità, intelligenza artificiale e conflitti ambientali raccontati attraverso quattro proiezioni cinematografiche, seguite da dialoghi con ricercatori, esperti e moderatori d’eccezione per un nuovo format che sul palco del teatro dell’Università Roma Tre prosegue l’indagine sul presente attraverso il confronto tra discipline, arti e linguaggi.

Questioni centrali nel dibattito pubblico, come la crisi climatica, il rapporto uomo-natura e le implicazioni etiche delle nuove tecnologie, vengono affrontate attraverso alcune delle pellicole più significative degli ultimi anni, con una visione multidisciplinare che – oltre alle proiezioni – vede in dialogo scienziati e pubblico per decodificare, attraverso la lente della ricerca, le ansie e le speranze del presente.

I film

Si parte il 15 gennaio 2025, ore 19:45 con “The Imitation Game“, pellicola del 2014 di Morten Tyldum, la storia del matematico Alan Turing che durante la Seconda Guerra Mondiale decifrò il codice Enigma: un equilibrio tra scienza, politica e dilemmi morali che interroga anche il presente. Fino a che punto può spingersi il potere scientifico? Ospiti: Mario De Caro (Roma Tre), Matteo Santandrea (Roma Tre), Roberta Vigni (ISPRA),moderatore il giornalista Marco Gisotti.

Si prosegue il 12 febbraio 2025 con una riflessione su conflitti ambientali, attivismo e resistenza, dove la natura diventa protagonista di una battaglia globale per il futuro: “La donna elettrica“, diretto da Benedikt Erlingsson nel 2018. Ospiti: Avv. Paola Bevere, Valeria Frittelloni (ISPRA), Prof. Giacomo Ravesi (Roma Tre), moderatore il giornalista Stefano Liberti.

Il 12 marzo “Il male non e siste“, un film del 2023 diretto da Ryūsuke Hamaguchi, ci offre uno spaccato sulle relazioni umane e naturali: nel bosco di Mizubiki, l’arrivo di una multinazionale minaccia l’equilibrio di una piccola comunità. Ospiti: Prof.ssa Ivelise Perniola (Roma Tre), Lorenzo Ciccarese (ISPRA), moderatore Giulio Carcani (ISPRA).

Il sale della Terra“, un film diretto da Wim Wenders e da Juliano Ribeiro Salgado, in programma il 9 aprile 2025, chiude Cineclub Scienza offrendo l’emozionante ritratto del fotografo Sebastiao Salgado che, in quarant’anni di lavoro, ha raccontato la bellezza del mondo e la sua distruzione ad opera dell’uomo. Ospiti: Edwige Pezzulli (INAF), Daniele Spizzichino (ISPRA), Prof. Elio Ugenti (Roma Tre).

Cineclub Scienza – Al Cinema con i Ricercatori e le Ricercatrici è un’iniziativa di ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale in collaborazione con il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo di Roma Tre e Fondazione Teatro Palladium, con il contributo del Network Nazionale Biodiversità e il patrocinio morale del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.

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