Editoriali
La “psicopandemia” dei giovani
Gli ultimi dati diffusi dalla Società di Psichiatria sono da allarme sociale: i tentativi di suicidio fra i giovani sono triplicati, quasi raddoppiati anoressia e disturbi alimentari, l’ansia è aumentata del 60%. Gli esperti sostengono che la pandemia non è la causa, ma il detonatore. La risposta è nella tendenza alla negazione dei rapporti interpersonali, in una società sempre più piegata sull’individualismo, la competizione spietata che si esplica anche nel dilagante fenomeno dei video virali dei sociali e di tik tok in particolare. In buona sostanza i disturbi mentali sono cresciuti del 40%. Mi ha molto colpito una intervista fatta nei giorni scorsi a uno dei responsabili dei Dipartimento di Salute mentale, Francesco Risso: “l’età dei ragazzi persi nel male di vivere si sta sempre più abbassando; vediamo arrivare ragazzini di 10, 12 anni. Una volta l’insorgenza della malattia avveniva in fase più avanzata, oggi entrano da noi ancora bambini. Tentativi di suicidio, disturbi alimentari, ansie e depressione. Alla domanda: che forma ha il dolore di un ragazzo? Lui risponde: È diverso dal nostro. È un dolore medicalizzato ed è grande, non ha confini: prima usano alcol, cannabis, coca. Quando arrivano in Pronto sono allucinati. Ma le sabbie mobili del male che ci si porta dentro sono anche ingannevoli e multiformi: nascosti tra le pieghe del cibo, le ragazze affamate di perfezione, quelle che si tagliano perché solo così sentono che per loro c’è un posto nel mondo. Anche se al buio. Risso dice che serve tornare al senso di comunità, rete: famiglia, scuola, società. Ed è la meta. Ma ci sarà un punto da cui partire, il primo passo che a volte salva. Qual è? Il gesto che nessuno fa più. Fermarsi e chiedere a chi hai di fronte: dimmi come stai. Ma per davvero”. Gli effetti vengono quindi definiti con un solo termine: “psicopandemia”. Gli fa eco il presidente dell’ordine degli psicologici del Piemonte, Giancarlo Marenco il quale ha lanciato un appello alle istituzioni: “È il momento di rafforzare la psicologia nel servizio sanitario. Bisogna istituire lo psicologo di cure primarie e non abbandonare il progetto che riguarda le scuole come primo presidio di prevenzione. C’è un’emergenza legata alla pandemia, è indubbio. C’è una sofferenza psicologica diffusa. Assistiamo a un boom di richieste nel pubblico e nel privato, un aumento allarmante dei ricoveri, soprattutto nei preadolescenti, e quindi in pediatria e neuropsichiatria infantile. Da due anni a questa parte, viviamo le conseguenze del Covid che si riflettono in una serie di problemi, personali, sociali, di lavoro che colpiscono tutti”. Marenco ribadisce che: “Gli psicologi guardano l’individuo nella sua complessità, e lo aiutano a trovare quelle risorse dentro di sé utili ad affrontare ogni tipo di disagio e problema, come un’elaborazione del lutto, un cambiamento di lavoro, o le necessità di ogni momento lungo il ciclo di vita”.