Editoriali
Nativi digitali, quali pericoli?
Con questo articolo probabilmente attirerò le ire prima di tutto dei miei figli e poi quelle di tanti ragazzi adolescenti che lo leggeranno. Ma l’allarme è reale e lo ha lanciato in questi giorni il vicequestore aggiunto della Polizia Postale di Milano, Lisa Di Berardino. Lo ha fatto rilasciando una intervista alla giornalista del Corriere della Sera, Giusy Fasano. Sono circa duemila gli uomini e le donne del Dipartimento di Pubblica Sicurezza che mettono a disposizione della specialità le loro qualifiche professionali, le approfondite conoscenze informatiche e le loro esperienze di polizia giudiziaria. La mancanza di confini e l’articolata distribuzione di Internet impongono alle forze di polizia dei singoli Paesi una presenza capillare non solo sul territorio nazionale, ma anche una collaborazione a livello internazionale che assicura la perseguibilità dell’autore di un eventuale reato commesso attraverso la rete.
Attraverso il Centro Nazionale per il contrasto della pedopornografia su Internet la Polizia Postale e delle comunicazioni raccoglie segnalazioni, coordina le indagini sulla diffusione, in Internet o tramite altre reti di comunicazione, delle immagini di violenza sessuale sui minori e stila le black list dei siti web pedofili. “Nelle sue giornate di lavoro la poliziotta si imbatte in storie di pedofilia, cyberbullismo sessuale, sexing, dove spesso sono coinvolti minori. La giornalista chiede: cosa possono fare i genitori per scongiurare quei rischi? «Costruire un legame di fiducia e rispetto con i figli, tanto per cominciare. Però ci sono anche dei ruoli e fra i ruoli di un genitore c’è quello di tutelare i figli, anche da fatti penalmente rilevanti. Questo può voler dire entrare nella sua sfera privata». Cioè controllarla? «Sì, ma non diamo a questo controllo accezione negativa. Parliamo di tutela e prevenzione, invece. Io voglio sapere se mio figlio scambia materiale che non dovrebbe attraverso il suo cellulare, voglio vedere i contatti della sua rubrica…» E la privacy? «Anche mio figlio che è un adolescente mi ha detto: mamma tu non rispetti la mia privacy. Gli ho risposto che non siamo alla pari e che io ho il dovere di controllare quello che lui fa. Chiedete a un genitore dov’è il telefonino del figlio quando va a dormire. Nessuno si preoccupa di prenderlo, lo credono al sicuro nella sua cameretta e magari lui sta mandando messaggi, foto, sta parlando con il mondo o sta vivendo un pericolo». Perché i ragazzini si scambiano video dai contenuti sessuali? «Perché non c’è più il senso del pudore, anzi spesso c’è una gara a mostrarsi ma il fatto è che non si torna indietro. La nostra sfida come Polizia Postale è riuscire a entrare nelle teste di questi ragazzi prima che facciano clic, dar loro strumenti per fargli dire: mi devo fermare, questo non si cancella più dalla rete. Quando la prudenza diventerà un automatismo culturale il gioco sarà fatto. Ci vorrà tempo ma ci arriveremo”.