Editoriali
Il lavoro c’è ma i giovani lo snobbano!
Ci sono molti giovani, soprattutto laureati che rifiutano un lavoro perché sottopagato; preferiscono rimanere a carico delle famiglie d’origine e non iniziare un’attività che li possa portare a un pieno inserimento lavorativo. Secondo le ultime ricerche, il lavoro c’è, ma le aziende non scovano « profili adatti». La formazione conta, ma gli studenti si ostinano a disertare le discipline tecniche-scientifiche. A inizio gennaio, il bollettino Excelsior realizzato da Anpal e Unioncamere ha registrato che il 31% delle aziende riscontra difficoltà di reperimento per oltre 1 milione di contratti programmati nei primi tre mesi del 2019, con un fabbisogno insoddisfatto di figure tecniche, scientifiche e ingegneristiche. Un dato che fa effetto, se si considera che il tasso di disoccupazione giovanile resta superiore al 30%. Secondo un’analisi realizzata dal Sole 24 ore i giovani non riescono ad adattarsi al mercato perché non godono delle qualifiche adatte o disdegnano retribuzioni diverse dalle quelle pretese. I dati Ocse, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, contano in Italia circa il 40% dei lavoratori non compatibili con le qualifiche del loro impiego. Ma la sorpresa è che la quota di sottoqualificati (20%) è praticamente identica a quella dei sovra-qualificati (19%): lavoratori giovani, e meno giovani, con talenti che non riescono a essere assorbiti o valorizzati dal sistema delle imprese italiane. Per un professionista al di sotto delle attese dei datori di lavoro, ce n’è uno che si scontra su un sistema incapace di premiarlo. La prima tesi è che le nostre imprese siano inadatte a sfruttare il potenziale dell’offerta di lavoro, soprattutto fra neolaureati e candidati giovani. «In Italia scontiamo una struttura produttiva e una domanda di lavoro poco qualificata, a fronte di un’offerta di lavoro molto qualificata. È questo il vero mismatch», spiega al Sole 24 Ore Giovanna Fullin, docente di sociologia dei processi economici e del lavoro alla Bicocca di Milano. Le cause del divario? Sul basso livello degli impieghi offerti incide, prima di tutto, la dimensione media delle nostre imprese e il loro scarso slancio innovativo. Si tratta di società che, tendenzialmente, non hanno interesse ad assumere candidati di altro profilo – dice Fullin – Da qui anche i bassissimi valori degli investimenti nazionali in R&D, la ricerca e sviluppo, un settore che garantirebbe la crescita dell’occupazione di qualità». Senza contare un altro gap, ma nel settore pubblico: la diminuzione di offerte di impiego nella Pa, che all’estero viene considerata uno tra i bacini privilegiati per un’occupazione di livello medio-alto. «All’estero la domanda di lavoro qualificata arriva soprattutto dalla Pa – dice – Qui, invece, le opportunità di lavoro anche nel pubblico impiego non hanno fatto altro che contrarsi».