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Teatro

Lady D, Serena Autieri incanta il teatro Al Massimo

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Lo spettacolo mette in scena la storia della vita di Diana tenendo conto delle sue due anime, Diana e Lady D. appunto, cosi diverse tra loro che si contrastano per tutta la sua breve vita, che si scontrano, litigano, si incontrano e si prendono per mano, alla fine, in una sorta di riconciliazione per andare poi incontro alla morte avvenuta venti anni fa circa, il 31 agosto del 1997 a Parigi.

La storia si sviluppa partendo dalle ultime ore di vita della Principessa a Parigi, pronta per uscire e raggiungere Dodi, in una sorta di flashback sulla vita di Diana, a partire dall’infanzia.

Splendida e brava protagonista del musical Serena Autieri.

Lo spettacolo è rimasto  in scena al Teatro Al Massimo di Palermo fino a domenica 26 Novembre 2017.

Sinossi:

Il sipario si apre sulla notte dell’incidente; notiziari da tutti il mondo nel buio annunciano la morte di Diana. Quando si illumina la scena troviamo Diana nuda, avvolta solo dal velo nuziale, sotto un cumulo di giornali, senza vita. Dall’alto scendono degli angeli cherubini, che rimuovono i giornali e sollevano Diana. I cherubini posizionano le lancette di un grande orologio, due ore indietro. Diana si volta fronte pubblico. Ora è viva, e può riattraversare le ultime due ore della sua vita. Si veste in fretta, va allo specchio per truccarsi. Dodi la sta aspettando nella hall dell’albergo, per fuggire via dall’ennesimo presidio dei fotografi. Ma allo specchio il rossetto le cade di mano. Qualcosa nella stanza la turba. E’ l’altra parte di se’, la parte pubblica, divenuta icona planetaria. E’ Lady D. Diana avverte i suoi rimproveri, i rimpianti e i rimorsi, per una vita inconciliabile con la sua vera natura. Diana piange, ricorda un’infanzia ancora pura, ricorda la scuola, le lezioni di pianoforte, la danza, le amiche, ma anche i primi rancori, l’incubo in famiglia di un erede, un padre assente che l’ha venduto alla famiglia reale. Un mondo cancellato dai suoi doveri di principessa, che l’hanno imprigionata in una gabbia d’oro. Ma ecco in alto sul palco incombere Lady D, in una nuvola di porpora e oro. Anche lei ha visto morire il suo universo. Il matrimonio più fastoso della storia, i grandi incontri, un compromesso accettato con Camilla. Lady D era pronta, ma Diana, la parte liberà di se’, non lo ha permesso. Così Lady D strappa indignata il suo velo nuziale, e rivive il primo parto, in una lotta furiosa con se stessa. Reprimere quel figlio in grembo o andare fino in fondo nella grande commedia della vita? La scena si sposta al livello inferiore e troviamo Diana ubriaca, alle prese con i suoi fantasmi e le violenze psicologiche che è costretta a subire. La bulimia, la competizione con Camilla, la mortificazione dei farmaci e l’ infelicità sentimentale e sessuale. La sua disperazione diventa una denuncia in favore di tutte le donne, mentre su di lei cala la prigione dell’apparire. A tanta depressione si oppone Lady D, che dall’alto le rimprovera di non cavalcare l’onda degli eventi, e godersi la vita. Lady D, in un vortice di televisori che trasmettono dall’intero pianeta, grida con orgoglio la sua ascesa nel mondo della comunicazione, del glam e della moda. Ma ai primi flash dei fotografi la sua immagine si scompone; si strappa i vestiti di dosso e nuda in scena torna Diana, con la sua disperazione per una vita che non le lascia tregua, privacy e umanità. Rivive la sua parabola sentimentale, dal sogno del principe all’abisso di amanti inutili quanto vigliacchi. Mentre si concede all’ennesimo amante in preda a una voglia totale di annullamento, Lady D, la rimprovera, le ricorda i doveri verso la famiglia, infilando la lama nella carne viva di Diana: i suoi due figli. Diana reagisce con violenza, ferita nel vivo, si dispera. La sua disperazione, i suoi incubi che appaiono ovunque, contagiano ora anche Lady D, che ha un cedimento incredibile quando parla del padre morto, e di un funerale al quale non può partecipare se non accompagnata dai reali. Il suo rigore, la sua aulicità non reggono più. La verità è troppo chiara anche a lei: la sua non è vita e sempre più la sua immagine è diventata pericolosa per la famiglia reale. L’ultimo tentativo di salvarsi lo offre Diana, nello scenario dell’Angola, dove ha raggiunto tanti bambini per la campagna contro le mine antiuomo. I suoi sforzi verso chi soffre, non visti bene a Buckingham Palace, si rivelano però solo gli accessori nobili di una principessa triste. Ora nel buio il rumore di una frenata rompe il silenzio. Lady D e Diana si parlano. Cosa è successo? Lady D ha capito, il tempo è finito. Diana no, crede ancora che tutto sia possibile. Su una grande altalena sospesa nel vuoto Diana e Lady D si parlano con le lacrime agli occhi, mentre controluce la sagoma di una bambina sull’altalena attraversa la scena in senso contrario. Poi l’altalena sparisce in quinta e torna vuota. In un cielo di nuvole ecco Diana e Lady D finalmente unite in una sola immagine ascendere al cielo, dove si illumina il viso di Diana bambina. E’ il ritorno all’innocenza, o forse il Paradiso. Ma è soprattutto la scia di luce che la principessa triste lascerà per sempre nel cuore della gente.

Diana bambina chiuse gli occhi e danzò; sentì la luce delle stelle ondeggiare sotto le sue ciglia. Sognò un mondo meraviglioso. Quando sotto il grande platano del parco confessò il suo amore per Carlo alle amiche il cuore sembrò uscirle dal petto. Il suo primo bacio la stordì di gioia, il suo corpo fioriva nel desiderio, invaso da un turbamento che la sua innocenza non riusciva ad abbracciare. Poi quel flash, violento, come una lama; il primo. Quella luce gelida e impietosa. Fu l’inizio. E fu terribile. La sua anima in quell’attimo si divise in due. Da una parte la bambina sognatrice, dall’altra la fredda principessa. Così mentre Lady D salutava in diretta l’intero pianeta nel matrimonio più fastoso di ogni tempo, Diana nascose nel velo nuziale la prima lacrima. Nella gabbia d’oro della famiglia reale Lady D raggiunse il tetto del mondo, le copertine patinate, i sorrisi, le onorificenze e gli applausi. Diana conobbe l’abisso, il tradimento e la disperazione, cercando riparo inutilmente nei farmaci, in amanti illusori, nell’abbraccio ai poveri e ai malati. Nel fondo di un agosto Diana e Lady D si guardarono; erano state lontane per troppo tempo. Forse il posto per loro non era il mondo ma il cuore della gente, per tutti i tempi a venire.

Serena Autieri illumina le due anime di una delle più grandi icone planetarie del nostro tempo attraverso una prosa appassionante, grandi hit anglosassoni e inediti arrangiati per orchestra, mentre ricercate suggestioni sceniche, contrappuntate dalla magia di un corpo di ballerine acrobate incorniciano la scena.
Attraverso un sorprendente dialogo per voce sola rivive le ultime ore di una delle più grandi icone planetarie del nostro tempo con una prosa appassionante e intense canzoni inedite. Sola sulla scena plasma le due anime in lotta, le fa scontrare, gridare, piangere, innamorarsi, fino ad arrivare al perdono, alla ricomposizione del se’, dopo di cui anche la morte, può essere abbracciata con illuminata tenerezza.

La chiave di lettura

Un luogo comune e abusato considera doppie le personalità eccellenti. Parte pubblica e parte privata da sempre generano suggestioni di contrasti forti, violenti, talvolta fatali. Due anime in lotta, una fragile, l’altra invincibile, che condividono un unico corpo.
Mai come nel caso di Diana però tutto questo è stato così trasparente e autentico. La principessa e la maestrina d’asilo, la bulimica e la filantropa, la mamma e l’amante si sono ostacolate e combattute fino all’ultimo giorno, bruciando una il terreno dell’altra e rivendicando la loro impossibilità di coesistere mentre incessanti scorrevano copertine patinate, sorrisi, onorificenze ed applausi. (Fonte: http://www.dianaeladyd.it/)

servizio video a cura di Mario Giglio per Il Sicilia.it

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Quel male oscuro, malessere di vivere!

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Non è forse casuale che, a distanza di un mese, il Teatro Biondo celebri due capolavori della letteratura del novecento. A dicembre, Alessandro Haber ha portato in scena il romanzo psicoanalitico di Italo Svevo, La coscienza di Zeno, in questo giorni, il regista Giuseppe Dipasquale, dirige una straordinaria compagnia di attori, capitanata da Alessio Vassallo, ne “Il male oscuro” di Giuseppe Berto. E’ proprio quest’ultimo, nella stesura del testo, dapprima rifiutato da più di un editore e poi pubblicato nel 1964 da Rizzoli, ispirò anche l’indimenticabile Mario Monicelli, che nel 1990, nel film omonimo, affidò il ruolo da protagonista a Giancarlo Giannini. Il male oscuro celebra l’antieroe sveviano, diviso tra senso del dovere e desideri frustrati.

I costumi di Dora Argento, le scene di Antonio Fiorentino (Dipasquale le definisce una sorta di placenta cerebrale, un luogo altro), i movimenti coreografici di Rebecca Murgi e le musiche di Germano Mazzocchetti fanno da corollario ad un affiatato gruppo di attori, Cesare Biondolillo, Lucia Fossi, Luca Iacono, Viviana Lombardo, Consuelo Lupo, Ginevra Pisani, che si muovono sul palco a piedi nudi, cambiando abiti e personaggi di continuo, avvitandosi intorno a storie di profonda natura psicologica, non abbandonando mai la scena. Il protagonista è Bepi, nei panni di un elegante Alessio Vassallo, che nel cinema come nella fiction televisiva, ma soprattutto in teatro, restituisce al pubblico una interpretazione magistrale. Quasi due ore ininterrotte di recitazione, senza un minimo cedimento, con una forza espressiva a metà tra il malinconico, vivendo la paura di avere un cancro, e l’euforia finale che passa ancora a malessere di vivere.

La psicoanalisi, per stessa ammissione dell’analista, un immenso Ninni Bruschetta, gli permettere di fare un viaggio, che ci richiama all’Interpretazione dei sogni, capolavoro del 1899 di Sigmund Freud. Dipasquale fa uno straordinario lavoro intellettuale sui personaggi, sospesi tra l’onirico e il reale, cercando di fare comprendere allo spettatore le patologie psichiche, attraverso l’utilizzo della narrazione, che diventa prezioso materiale affettivo e mentale, in risposta a quel super – io, più volte ricordato dagli attori, che la coscienza, a volte tende, ad occultare.

E’ affascinante la storia di questo scrittore di cui si ha l’impressione che la vita gli sfugga continuamente di mano, che non riesce a elaborare il lutto della perdita di un padre autoritario, che vive in bilico fra una moglie e un’amante troppo giovane; le loro storie scivolano nel grottesco, alimentando nel protagonista quel male oscuro, che è la depressione.  Ecco dunque che il lettino diventa catarsi, medium di purificazione tra Es, Io e Super – Io. “Il teatro come specchio della natura”, lo afferma, attraverso questa opera, il regista, richiamandosi a Shakespeare.

Dopo Palermo, la tournee va in giro in Italia grazie alla co-produzione dei Teatri Biondo, Marche e  Stabile di Catania.

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Teatro e donne: un progetto al femminile

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PALERMO. Gli spazi della parrocchia Sacro Cuore di Gesù del quartiere Noce di Palermo si sono illuminati con la straordinaria performance di “Break in Shakespeare 2 – Chi è di scena”. Il progetto, promosso dall’associazione ‘A Strummula e finanziato con l’8×1000 valdese, ha rappresentato un momento di grande partecipazione e successo per le donne del quartiere Noce. Ventiquattro protagoniste hanno dato vita a un’esperienza artistica che ha coinvolto attivamente non solo le partecipanti, ma anche l’intera comunità locale e numerosi partner.

Un’esperienza trasformativa per le partecipanti

Maria Rosaria Abbate, già coinvolta nel primo percorso di “Break in Shakespeare”, ha condiviso con entusiasmo la sua esperienza, sottolineando l’impatto profondo che il progetto ha avuto su di lei e sulle altre donne coinvolte:
“Abbiamo creato un rapporto veramente speciale. Ci siamo amate fin dal primo momento, siamo state molto unite, ci siamo subito rispettate e coalizzate al massimo. Questo progetto è importante per quartieri come il nostro, per dar voce alle donne che vivono problemi spesso irrisolvibili nell’ambito familiare. Grazie a ‘A Strummula, abbiamo potuto esplorare nuovi percorsi e coinvolgere altre donne.”
Molte delle partecipanti, tra cui Maria Rosaria, fanno parte anche del gruppo “I Lazzitieddi”, che si occupa di sostenere le donne del quartiere attraverso iniziative di solidarietà. Grazie a questa sinergia, il progetto non solo ha permesso la creazione di uno spettacolo artistico di qualità, ma ha anche rafforzato i legami tra le donne del quartiere, trasformandosi in un motore di supporto e cambiamento per la comunità.

Un percorso tra arte e solidarietà

“Break in Shakespeare 2” si è articolato in due laboratori paralleli e sinergici: uno teatrale e uno di scenografia. Il laboratorio teatrale, guidato dalla regista Maria Grazia Maltese, ha portato le partecipanti a riscoprire i testi shakespeariani attraverso la creatività e la riflessione. Come spiega Maltese: “Break in Shakespeare Show è una performance che mette in scena otto attrici che rappresentano otto personaggi shakespeariani riscritti, frutto di un lavoro di espressione, riscrittura creativa e analisi profonda delle opere originali.”
Parallelamente, il laboratorio di scenografia, diretto da Ricchezza Falcone e supportato dal laboratorio di sartoria sociale di POP (Piccola Officina di Partecipazione) a Carini, ha dato vita agli elementi scenici e ai costumi che hanno reso lo spettacolo vibrante e colorato.
Le protagoniste dello spettacolo hanno interpretato i loro personaggi dialogando simbolicamente dai balconi, un espediente scenico che ha permesso di connettere le tematiche shakespeariane alle sfide quotidiane della vita moderna.

Un successo che guarda al futuro

La serata conclusiva, che ha visto la partecipazione delle attrici e di rappresentanti istituzionali come Anna Ponente del Centro Diaconale La Noce e Giovanna Genco, preside dell’Istituto De Amicis-Da Vinci, è stata un momento di celebrazione collettiva. La performance ha rappresentato non solo il culmine di un percorso artistico, ma anche l’inizio di un nuovo capitolo di comunità e partecipazione. “C’è un desiderio molto forte da parte delle donne di proseguire questa attività,” ha dichiarato Maria Grazia Maltese. “Non si tratta solo di arte, ma di una solidarietà attiva che ha preso vita e che vuole crescere, coinvolgere nuove persone e aprire nuovi percorsi.”
Con “Break in Shakespeare 2”, l’associazione ‘A Strummula ha dimostrato come l’arte possa diventare uno strumento potente per l’empowerment femminile e il cambiamento sociale, dando voce a chi spesso rimane inascoltato. Un’esperienza che ha saputo coniugare creatività, comunità e resilienza, con l’augurio che possa essere replicata e ampliata in futuro.
Stefano Eward
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Il racconto dell’ancella di Viola Graziosi e il distopico

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Viola Graziosi è un’attrice immensa e quando si fa dirigere dal marito, il grande attore di teatro Graziano Piazza, lo diventa ancora di più, in una performance artistica che impegna voce e corpo in quasi due ore di spettacolo.

Margaret Atwood

Interpretare June Osborne, la protagonista del racconto della scrittrice canadese Margaret Atwood, “Il Racconto dell’ancella”, andata in scena al teatro Libero di Palermo, non è facile, anche perché il pubblico negli ultimi anni ha tributato un grande consenso al romanzo distopico del 1985, che ha venduto milioni di copie, adattato per il grande schermo nell’omonimo film diretto da Volker Schlöndorff e nel 2017 per la televisione.

The Handmaid’s Tale

Tutte le stagioni sono su Prime video sotto il titolo di The Handmaid’s Tale. Il suo ideatore Bruce Miller, forse non si aspettava tanto successo, grazie all’attrice protagonista Elisabeth Moss che interpreta June. Sono molto simili la Moss e la Graziosi, nel cinema la prima è  dentro il regime teocratico totalitario di Gilead, catturata mentre tentava di fuggire in Canada con suo marito, Luke, e sua figlia, Hannah. Grazie alla sua fertilità, diventa una ancella del comandante Fred Waterford (da qui il nome Difred) e sua moglie, Serena Joy; l’altra Viola Graziosi, in Teatro, si immerge nel testo, tradotto da Camillo Pennati.

Viola Graziosi

Per lei tutto ha avuto inizio 5 anni su un input di Laura Palmieri di Radio 3 che le chiese di portare in scena questa incredibile storia, proprio il giorno della festa della donna. Il palco è come una sorta di anfiteatro dove tante paia di scarpe rosse, delimitano un semicerchio con al centro un abito rosso che ci richiama alle antiche vestali. Viola inizia il suo racconto illuminata soltanto da un occhio di bue che le delimita luci e ombre sul viso e sul corpo.

Un viaggio introspettivo

Lo spettatore vive una sorta di viaggio introspettivo amando il coraggio di una donna che diventa emblema anche  di alcuni movimenti di protesta a sostegno dei diritti delle donne. “Nolite te bastardes carborundorum” e “Ci sono domande?” Sono due frasi ricorrenti nell’opera, spesso usate come motto di emancipazione femminile, ed è proprio il racconto di Viola Graziosi che spinge il pubblico quasi a una catarsi liberatoria in cui in scena, attraverso la parola, il corpo si svela non soltanto come mezzo di procreazione.

La repubblica di Gilead

Nel racconto dell’ancella in versione teatrale e televisiva lo spettatore è spinto a detestare i comandanti di una Repubblica, Gilead, dove le donne sono asservite a loro per scopi riproduttivi e dove quelle non fertili o troppo anziane sono dichiarate “Nondonne” e quindi eliminate.

Sorvegliate e divise in categorie secondo il colore dei vestiti: azzurro le Mogli; verde le Marte, le domestiche; marrone le Zie, sorveglianti; rosso le Ancelle, le uniche in grado di procreare. Nessuna può disobbedire, pena la morte o la deportazione. Non hanno bisogno di leggere, di scrivere, di pensare, di stancarsi troppo. Non vanno in giro da sole di modo che non possano essere importunate. Sono vestite di rosso con un cappuccetto bianco, in modo tale da non venir troppo viste e possono anche evitare di guardare, se non vogliono.

Viola Graziosi, Ivan Scinardo, Graziano Piazz

E’ un racconto immaginato in un futuro irreale e forse Viola Graziosi, con questa “opera magna” vuole farci comprendere come la donna sia ancora oggi discriminata da una becera cultura maschile che non si rassegna!

 

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