Cultura
La parola ai giovani, lo dice Umberto Galimberti
Uno dei miei autori preferiti è il filosofo Umberto Galimberti, l’ho scoperto quando studiavo all’università e ho divorato tutti i suoi libri. In questi giorni è in giro nelle librerie italiane a presentare il suo ultimo lavoro: “La parola ai giovani. Dialogo con la generazione del nichilismo attivo”. Avevo segnato molti passaggi interessanti sul suo precedente volume, “Il nichilismo e i giovani”, leggendo una intervista, a margine di un evento letterario, mi hanno colpito alcune considerazioni del filosofo che qui riporto: “Questi giovani che mi hanno contattato scrivono molto bene. Hanno un certo tasso di autoironia, virtù essenziale per muoversi nel mondo. Sono consapevoli di vivere in una realtà nichilista, ma si danno da fare, con un esame della realtà molto serio. Nei confronti dei loro genitori hanno un atteggiamento di sostanziale sfiducia. Ne rigettano la cultura del denaro, dell’immagine, della competitività. Si riconoscono in valori diversi. Nei confronti della scuola sono molto critici. Vedono i loro professori come demotivatori. La lettura non è una priorità e la formazione passa da riassunti e rete. Il futuro non è più percepito come una promessa, ma come una minaccia, è imprevedibile. I giovani si chiedono: perché mi devo impegnare? Perché mi devo dare da fare se il futuro non mi promette niente? Ci si chiede anche perché stare al mondo, tant’è che in Italia si suicidano quattrocento studenti all’anno, una cifra significativa. Tuttavia emerge un 10 per cento della popolazione giovanile di nichilisti attivi, che non misconoscono il nichilismo ma si danno da fare”. Dal libro emerge anche una tendenza da parte dei giovani a privilegiare questioni di economia e non di politica; “d’altronde, afferma Galimberti, queste persone spesso sono alla ricerca di lavoro e quindi di un’affermazione sociale. Il lavoro non lo crea la politica, lo crea l’economia; e aggiunge: il denaro se ne frega dell’uomo, guarda ai profitti”. Molti gli spunti che meritano una serie di articoli di approfondimento; ma quando le due principali centrali educative, la famiglia e la scuola, segnano il passo, sfiducia nella prima e demotivazione nella classe dei docenti, allora è necessario fermarsi a riflettere e individuare possibili vie di fuga da un progressivo regresso della società che sembra essersi ormai senza speranze. L’analisi di Galimberti come sempre è schietta e spietata; da genitore mi interrogo se ho fatto e continuo a fare bene nell’educazione dei miei figli, non so se un insegnate si pone gli stessi interrogativi. Forse rimarrebbe la magra consolazione di dedicarsi alla lettura di questo libro, più e più volte, per trovare delle risposte?