Cinema

Isabella Ragonese si racconta nella sua Palermo

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Ironica, divertente, mai banale con una nostalgia per il passato, legato ai ricordi di una  infanzia forse mai finita, nonostante i suoi 37 anni trascorsi tra teatri  e set cinematografici. Isabella Ragonese, è tornata nella sua Palermo, invitata da Elisa Parrinello, per la rassegna “Oravicunto”prodotto dal Teatro Ditirammu.

L’ultimo appuntamento dell’anno con i recital, i racconti e i monologhi, con un unico grande denominatore: “la parola”, ha visto ancora una volta il teatro più piccolo della città, stracolmo.  La Ragonese è un fiume in piena, con i genitori in sala, la professoressa del liceo che le chiede a bruciapelo perché non va a recitare al teatro antico di Taormina e lei imbarazzata risponde che metterà questo desiderio nella lista del 2019. Tanti gli amici e i familiari che hanno voluto partecipare a quest’ultimo incontro, che si è aperto, come per tutti i precedenti, con l’accompagnamento musicale del tamburello di Giovanni Parrinello. Elisa e Isabella, sono amiche da sempre e questo si vede subito sul palco. Stesso nome delle rispettive mamme, Rosa, stesso colore di capelli, stessa straordinaria energia. Quasi due ore di narrazione da parte di entrambe a sottolineare una carriera di straordinari successi. Isabella non ha fatto nessuna delle due scuole di recitazione più importanti in Italia, il Centro Sperimentale di Cinematografia o la Silvio D’Amico, si è formata in quello straordinario laboratorio teatrale cittadino, voluto dal regista e drammaturgo Michele Perriera, scomparso 8 anni fa.  I ricordi di Isabella si fermano spesso nei numerosi ruoli che proprio Perriera le affidava; Si commuove quando rivede il suo viso in santa Rosalia, o l’angelo di Quisquina.  Il debutto a 19 anni all’Agricantus con lo spettacolo “Bestino”,  e poi “Le serve di Genet” in cui interpretava tutti i ruoli. Ma quando racconta la storia su come riempire il palco di fiori che Isabella Ragonese tira fuori il meglio di sé. Era troppo costoso e così decise di rastrellare  tutti i fiori quasi appassiti, lasciati dai venditori fuori dalle mura del cimitero dei Rotoli. Le domande di Elisa Parrinello, sono informali e speso irriverenti; quando le chiede un ricordo indimenticabile dell’infanzia, Isabella ricorda il carnevale;  vestita da coccinella, con la calzamaglia e un cerchietto con le corna che le cadevano sempre in fronte. Il fotografo per poterle fare la foto le disse in palermitano “isati (alzati) i coirna”. Il momento più intenso è quando sullo schermo scorrono le immagini del film “Nuovomondo” e in sala c’è il regista Emanuele Crialesea omaggiarla; ammette di essersi innamorato di questa ragazzina e di non avere avuto dubbi nel 2006 nell’affidarle il ruolo da protagonista. A interrompere questa lunga intervista sul palco, un fuori programma con i creatori della nuova etichetta musicale The vito Records, Giovanni Parrinello e Marco Raccugliache con la piccola Iara, figlia di Elisa, e Giacomo Scinardo alla chitarra elettrica, hanno presentano lo splendido brano: “Masterpiece” scritto per il festino di Santa Rosalia, che purtroppo il Ditirammu non si è aggiudicato la scorsa estate.  Il finale è un caloroso riconoscimento del pubblico in sala per questa straordinaria attrice palermitana che nel 2010 vinse il “Nastro d’Argento come migliore attrice non protagonista” per le sue interpretazioni nei film: “La nostra vita” e “Due vite per caso”.  Bello e struggente  inoltre anche il suo ruolo nella commedia romantica: “Dieci inverni” con la regia dell’esordiente Valerio Mieli. Con grande naturalezza risponde alla domanda della Parrinello su come si è trovata a interpretare  la parte di amante di una donna (Valeria Solarino) nel film “Viola di mare”. E poi il successo con “La nostra vita” di Daniele Luchetti, “Un altro mondo”  di Silvio Muccino, “Il giovane favoloso” con Elio Germano, che le ha dato le maggiori soddisfazioni. Sul rapporto cinema – teatro la Ragonese fa riferimento alla sua spola tra Palermo e Roma con punte di romantica nostalgia. Ma se c’è un lavoro che mette insieme le due arti è il film di Sergio Rubini, “Dobbiamo parlare” portato prima in scena a teatro dagli stessi 4 attori, con Isabella che a un certo punto, per la rabbia, scaglia a terra una bottiglia di vetro che si frantuma. Al cinema puoi farla, dice,  ma al teatro no, perché i cocci possono finire sul pubblico in prima fila e allora l’utilizzo di una bottiglia di zucchero che durante la rappresentazione si scioglie in mano.  Sullo schermo scorre uno showreeel della sua carriera mentre l’attenzione si ferma su un frammento del film: “Il padre d’Italia, diretto da Fabio Mollo, un road movie con coprotagonista uno straordinario Luca Marinelli che vinse poi il David di Donatello come protagonista del film: “Lo chiamavano Jeeg Robot”. Pubblico soddisfatto per una rassegna “Oravicunto” che riprenderà anche nel 2019,  e sarà ancora un successo.

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