Connect with us

Cinema

Impressionisti Segreti: il documentario

Published

on

Manet, Caillebotte, Monet, Berthe Morisot, Cézanne, Sisley, Signac: arriva sul grande schermo, solo il 10, 11 e 12 febbraio, il docu-film che rivela cinquanta inediti capolavori del movimento che ha rivoluzionato la storia dell’arte moderna

Come guardavano il mondo gli impressionisti? Che rapporto avevano con la tecnica, con il colore, con la luce e con l’universo di forme che componeva la realtà davanti ai loro occhi? Come furono accolte le loro opere? Come sono passate dall’essere rifiutate da critica e pubblico a diventare in pochi anni tra le più amate nel mondo?

Per scoprirlo, arriva al cinema il docu-film prodotto da Ballandi e Nexo Digital e diretto da Daniele Pini, ideato per raccontare la rivoluzione artistica del movimento impressionista attraverso cinquanta tesori nascosti esposti per la prima volta a Roma fino all’8 marzo a Palazzo Bonaparte in occasione della mostra prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia.

Impressionisti segreti è un viaggio immersivo all’interno dell’intimità degli impressionisti e dei loro quadri che si propone di offrire una visita “privilegiata” che stimoli la curiosità degli spettatori e regali loro una prospettiva sulle opere complementare all’esperienza dal vivo, permettendo agli spettatori in sala di immergersi nel lavoro dei pittori e coglierne dettagli inediti.

Le due curatrici della mostra -Claire Durand-Ruel (storica dell’arte esperta di Camille Pissarro e pro-nipote del celebre mercante d’arte Paul Durand-Ruel) e Marianne Mathieu (esperta di Berthe Morisot e direttrice scientifica delle collezioni del Musée Marmottan Monet di Parigi)- accompagneranno gli spettatori in un percorso articolato, dove immagini di ampio respiro troveranno il loro contrappunto ideale nelle analisi compiute da esperti, storici, artisti e altre figure legate al mondo della pittura moderna e della cultura visuale. I quadri della mostra, opere di Manet, Caillebotte, Monet, Berthe Morisot, Cézanne, Sisley, Signac, saranno sia il punto di partenza che quello di arrivo nell’approfondimento dei percorsi dei singoli autori e delle peculiarità del movimento. All’interno del film troveranno spazio anche il racconto dell’allestimento della mostra e quello dell’inaugurazione, un focus su Palazzo Bonaparte, luogo di grande fascino che aprirà per la prima volta le sue porte agli spettatori per quest’occasione speciale, e un approfondimento sulle figure del curatore e del collezionista, per porre l’accento sui molteplici aspetti del lavoro che ha portato alla realizzazione dell’ambizioso progetto Gli Impressionisti segreti.

Attraverso un approfondimento che è anche una confessione intima, verranno evocati i caratteri più riservati e meno noti degli impressionisti, anche grazie agli interventi di esperti come gli storici dell’arte Alain Tapié e Sergio Gaddi, la scrittrice e saggista Melania Mazzucco, il fotografo e regista Fabio Lovino, l’artista Giuliano Giuman e il collezionista Scott Black.

DANIELE PINI, NOTE DI REGIA

Abbiamo reso la mostra un confessionale intimo, dove il “segreto degli impressionisti” potesse essere evocato. Gli spazi sono stati trattati con l’utilizzo di luci a goccia e di riempimenti ai fondali per dare profondità e atmosfera all’ambiente. I quadri della mostra sono stati così resi i veri protagonisti del nostro film: le inquadrature larghe sono spesso accompagnate da lenti avvicinamenti con movimenti di camera fluidi che fanno perno sul quadro stesso. La vista frontale dei quadri è sia statica sia caratterizzata da lentissimi movimenti in – out. Porzioni del quadro vengono quindi isolate per accompagnarne il racconto: soggetto, composizione, colore. I dettagli, unitamente alle scansioni ad alta risoluzione, regalano enfasi ai volumi delle pennellate, attraverso l’utilizzo di tubi Kino che creano giochi di ombre e luci. Il rapporto diretto e personale dei testimoni con l’opera è accentuato da lenti movimenti di camera che rendono dinamica ed evocativa la descrizione delle opere. L’intervistato può, di volta in volta, essere spalle all’opera, guardarla direttamente o affiancarla. In alternanza ai contenuti delle interviste, e spesso ad introduzione di un nuovo quadro da analizzare, le coperture dei testimoni che si aggirano per la mostra e osservano i dipinti sono pensate con un taglio cinematografico per evidenziare la fascinazione verso opere inedite e stabilire una connessione forte tra l’intervistato e il quadro di cui sta parlando.

IL REGISTA

Daniele Pini è nato a Roma nel 1987. Dopo aver conseguito il diploma di maturità classica si appassiona al mondo del cinema e della regia, che coltiverà parallelamente al suo lavoro presso un’azienda di assicurazioni inglese. Dopo essere stato ammesso ai corsi ordinari di regia presso il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, consegna le dimissioni e trasforma la sua passione in lavoro. Durante questo periodo realizza numerosi corti, che vengono distribuiti a livello nazionale e che partecipano a diversi festival. Il cortometraggio “L’autista” viene distribuito da Mediaset Premium Cinema mentre il suo cortometraggio di diploma “Rocky” vince il premio Rai Cinema al Giffoni Film Festival. Ha realizzato vari spot e il videoclip “Che vita meravigliosa” di Diodato.

GLI INTERVISTATI

Claire Durand-Ruel (curatrice della mostra)

È una storica dell’arte, specialista ed esperta di Camille Pissarro. È pro-nipote del celebre mercante d’arte Paul Durand-Ruel, che organizzò la prima grande mostra impressionista a Parigi.

Marianne Mathieu (curatrice della mostra)

Esperta di Berthe Morisot, è direttrice scientifica delle collezioni del Musée Marmottan Monet di Parigi.

Alain Tapié (storico dell’arte)

Nel 2003 fu nominato direttore del Palais des Beaux-Arts di Lille e del Museo Hospice Comtesse, una posizione che ricopre ancora oggi. Ha anche pubblicato opere su temi diversi come l’impressionismo e la Normandia, i manieristi del Nord, il simbolismo e la botanica nella pittura nel 17° secolo, il barocco e i gesuiti.

Melania Mazzucco (scrittrice, saggista)

Dopo la laurea in storia della letteratura italiana moderna e contemporanea e gli studi al Centro sperimentale di cinematografia ha iniziato a scrivere romanzi, saggi -molti incentrati sulla storia dell’arte- e sceneggiature. Ha vinto il Premio Strega nel 2003 e diversi premi internazionali.

Fabio Lovino (fotografo e regista)

Inizia a lavorare come fotografo professionista durante gli anni Ottanta, realizzando fotografie per la pubblicità e ritratti di vari musicisti. In seguito, realizza anche le copertine degli album di importanti artisti italiani e stranieri (Mark Knopfler, Elisa, Caparezza, Subsonica, Marina Rei, Alex Britti, Sergio Cammariere, Morrissey) e i ritratti di attori come Robert De Niro, Al Pacino, Benicio del Toro.

Sergio Gaddi (critico d’arte)
Divulgatore culturale, ha una costante attività nazionale di conferenze e incontri sull’arte. Dal 2016 ha una rubrica televisiva a Unomattina Estate su Rai 1.

Giuliano Giuman (artista)

Comincia la sua carriera studiando musica, conservando però la passione per la pittura che lo porta a frequentare nel 1964 lo studio di Gerardo Dottori, futurista, padre dell’aeropittura. Nel 1982 inizia un percorso di ricerca tra musica e pittura, coinvolgendo pure il vetro, che diventerà l’elemento caratterizzante della sua espressione artistica. Dal 1999, a Milano, insegna all’Accademia di Brera il linguaggio delle vetrate.

Scott Black (collezionista)

Finanziere, filantropo e collezionista d’arte. È fondatore della Delphi Management, una società di consulenza che vanta tra i suoi clienti anche Michael Bloomberg.

LA MOSTRA

La mostra Impressionisti segreti, ospitata a Palazzo Bonaparte, spazio Generali Valore Cultura, fino all’8 marzo è un’opportunità unica per ripercorrere la storia dell’Impressionismo tramite cinquanta capolavori di grandi artisti quali Monet, Renoir, Cézanne, Pissarro, Gauguin e tanti altri, custoditi nelle più importanti collezioni private e generosamente prestati solo per questa straordinaria occasione.

La cura della mostra è affidata a due esperte di fama internazionale: Marianne Mathieu, direttrice scientifica del Musée Marmottan Monet di Parigi e Claire Durand-Ruel, discendente di Paul Durand-Ruel, colui che ridefinì il ruolo del mercante d’arte e primo sostenitore degli impressionisti.

La mostra, prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia, gode del patrocinio del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, dell’Ambasciata di Francia in Italia e della Regione Lazio. È realizzata in collaborazione con l’Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali di Roma Capitale, ed è sostenuta da Generali Italia attraverso Valore Cultura, il programma per rendere l’arte e cultura accessibili a un pubblico sempre più ampio.

Special partner della mostra è Q8.

L’evento rientra nel progetto “L’Arte della solidarietà”, realizzato da Susan G. Komen Italia e Arthemisia, insieme per portare bellezza anche nelle vite delle persone meno fortunate.

PALAZZO BONAPARTE

Palazzo Bonaparte, splendido edificio barocco in Piazza Venezia che prende il nome da Maria Letizia Ramolino, madre di Napoleone, che vi abitò fino al 1836. Da sempre utilizzato come residenza privata, diventa accessibile al pubblico grazie alla partnership tra Generali Italia e Arthemisia.

La Grande Arte al Cinema è un progetto originale ed esclusivo di Nexo Digital.

Nel 2020 la Grande Arte al Cinema è distribuita in esclusiva per l’Italia da Nexo Digital con i media partner Radio Capital, Sky Arte, MYmovies.it, Arte.it e in collaborazione con Abbonamento Musei.

(Fonte: www.romadailynews.it)

Cinema

Le Giornate del cinema per la scuola

Published

on

Al via le Giornate nazionali del cinema per la scuola: l’inaugurazione con il Sottosegretario Borgonzoni

La senatrice aprirà lunedì 4 novembre le Giornate nazionali del cinema per la scuola 2024, promosse dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura in collaborazione con Anec

Sarà la sottosegretaria alla Cultura, Lucia Borgonzoni, ad aprire lunedì 4 novembre le Giornate nazionali del cinema per la scuola 2024, promosse dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura in collaborazione con Anec (Associazione Nazionale Esercenti Cinematografici), nell’ambito del Piano nazionale cinema e immagini per la scuola. Per il secondo anno consecutivo, docenti e dirigenti scolastici di tutta Italia si riuniranno a Palermo, presso i Cantieri Culturali alla Zisa, trasformati fino al 6 novembre in una grande “Città del cinema per la scuola”. Il programma prenderà avvio alle 15:00 con la cerimonia inaugurale al Cinema De Seta, promossa dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura.

L’inaugurazione con il vice ministro

La cerimonia sarà aperta dai saluti del sottosegretario alla Cultura, Lucia Borgonzoni, e vedrà la partecipazione del direttore generale della Direzione Generale per la Comunicazione e le Relazioni Istituzionali del Mim, Giuseppe Pierro, e di Bruno Zambardino, referente per il Piano Nazionale Cinema per la Scuola presso la Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del Mic, che illustreranno le novità del Piano Cips. Alle 16:30, avrà luogo la presentazione dei film in uscita destinati al pubblico scolastico, a cura di Circuito Cinema Scuola e delle case di produzione e distribuzione Universal Pictures e Warner Bros, che presenterà il suo ultimo film d’animazione: Buffalo Kids di Juan Jesús García Galocha e Pedro Solís García (Spagna 2024, 93′), uscito nelle sale il 31 ottobre.

Alle 20:30 si terrà l’evento di punta della prima giornata: la presentazione in anteprima nazionale del film Criature (Italia 2024) di Cécile Allegra, tratto dall’omonimo romanzo della stessa autrice e previsto nelle sale dal 5 dicembre. Al Cinema De Seta, lunedì sera, sarà presente la regista Cécile Allegra, accompagnata da un collegamento in diretta con l’attore protagonista Marco D’Amore, noto per il suo ruolo nella serie Gomorra.

Fonte: cinecittanews.it

Continue Reading

Cinema

REAL al Festival dei Popoli

Published

on

‘REAL’, al Festival dei Popoli l’anteprima del film di Adele Tulli

Una produzione Pepito Produzioni e FilmAffair con Rai Cinema e Luce Cinecittà in collaborazione con Les Films d’Ici. In sala dal 14 novembre con Luce Cinecittà

Arriva nei cinema dopo l’acclamata prima mondiale all’ultimo Festival di Locarno e il Premio della Giuria al Festival del Film di Villa Medici dedicato al rapporto tra cinema e arti contemporanee, REAL, il nuovo film di Adele Tulli. Real sarà presentato in anteprima al 65. Festival dei Popoli, il più antico appuntamento del cinema documentario d’Europa, domenica 3 novembre alle 19.30 al Cinema La Compagnia di Firenze, alla presenza della regista.

Dopo il successo della sua opera prima Normal (presentato alla Berlinale, vincitore della Menzione Opera Prima ai Nastri d’Argento e acclamato in numerosi festival internazionali), Real sbarca sugli schermi il 14 novembre, distribuito da Luce Cinecittà. Il film è prodotto da Pepito Produzioni e FilmAffair con Rai Cinema e Luce Cinecittà, in collaborazione con Les Films d’Ici. La distribuzione internazionale è affidata a Intramovies.

Adele Tulli scrive e dirige un nuovo viaggio visionario, poetico e inatteso dentro un mondo in cui siamo quotidianamente immersi, talmente abituale da non farci più rendere conto di quanto sia in realtà sconosciuto ed estraniante: il mondo digitale. Una realtà che ha rivoluzionato le vite di tutti e che il documentario esplora con lenti tecnologiche, creative e relazionali. Con uno sguardo inedito e curioso, Real ci porta in un territorio ineffabile, alieno e al contempo familiare.

Scritto e diretto da Adele Tulli, REAL vede la fotografia di Clarissa Cappellani e Francesca Zonars, il montaggio di Ilaria Fraioli e Adele Tulli, le musiche originali di Andrea Koch e la produzione creativa di Laura Romano. È prodotto da Agostino Saccà per Pepito Produzioni, Valeria Adilardi, Luca Ricciardi, Laura Romano e Mauro Vicentini per FilmAffair, in collaborazione con Charlotte Uzu di Les Films d’Ici.

La sinossi di Real

Reale [dal lat. mediev. realis, derivato di res “cosa”] – 1. Che è, che esiste veramente, effettivamente e concretamente. La nostra concezione comune di “realtà” era fatta di oggetti tangibili, di relazioni corporee, di esperienze ed eventi in spazi fisici. Tuttavia, un processo inarrestabile di accelerazione digitale ha trasformato radicalmente il nostro pianeta, le nostre società e noi stessi: i dispositivi digitali non sono più semplici strumenti, ma porte d’accesso a una nuova realtà. I nostri smartphone e computer ci conducono in un universo aumentato in crescita esponenziale, che esperiamo quasi sempre senza contatto fisico. Un mondo digitale dove trascorriamo la maggior parte del nostro tempo, cercandovi felicità, soddisfazione, rapporti, conoscenza e nuove esperienze. Ma allora, cosa è oggi ‘reale’?

R E A L è un viaggio filmico, visionario e coinvolgente nel mondo disincarnato della rete, un multiverso digitale parallelo in cui ogni cosa esistente è trasformata dalla fisica degli atomi alla logica dei bit. È un documentario creativo che esplora la trasformazione dell’esperienza umana nell’era digitale, facendo luce sui molti aspetti, a tratti perturbanti, della vita iperconnessa: i protagonisti – umani, robotici, virtuali – affrontano relazioni digitali, lavori virtuali, cybersessualità, abitazioni e città futuristiche, automatizzate e sorvegliate. Raccontano una cultura dell’autorappresentazione, di nuove dipendenze e patologie, di alienazione e isolamento, ma anche di identità libere dai confini fisici del corpo.

R E A L adotta uno sguardo sperimentale, utilizzando poeticamente le stesse tecnologie che definiscono il mondo digitale: visori, webcam, smartphone, videocamere di sorveglianza e sguardi meccanici che ci accompagnano in un nuovo modo di vivere la realtà. Senza risposte o giudizi, ma con la curiosità di uno sguardo che esplora un nuovo pianeta, Real ci conduce al di là e al di qua di un confine incerto.

Continue Reading

Cinema

Pupi Avati e il conformismo

Published

on

Pupi Avati, o “l’anticonformismo del conformismo”

La presentazione del volume ‘Pupi Avati fuori dal cinema italiano’ al Museo Etrusco di Roma, alla presenza dei fratelli Avati. Steve Della Casa intervista il regista e l’autore del libro, Massimiliano Perrotta

“Il mio libro inizia con una cena a casa di Laura Betti, dove Pupi Avati era appena arrivato da Bologna con due film che erano andati male. E proprio lì, dove c’erano Bellocchio, Bertolucci, Moravia, Pasolini… gli scappò detto ‘io sono democristiano’: la cosa più conformista, che però in quel consesso coincideva col massimo dell’eresia. Su questo paradosso, su questa contraddizione, lui ha costruito la sua carriera e io ho costruito il mio libro”.

Così Massimiliano Perrotta presenta al pubblico il suo Pupi Avati fuori dal cinema italiano in una gremita Sala della Fortuna del Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma. Una biografia decisamente sui generis, appena uscita con Edizioni Sabinae, che in otto capitoli raccoglie altrettanti articoli già pubblicati dall’autore catanese sull’’Huffington Post’. Accanto a lui il regista, fresco della Laurea ad Honorem in Italianistica appena conferitagli all’Università Roma Tre, mentre in prima fila siede l’inseparabile fratello, Antonio Avati.

A moderare l’incontro è Steve della Casa, critico cinematografico e direttore artistico, storico conduttore radiofonico di ‘Hollywood Party’ nonché regista, autore e Conservatore della Cineteca Nazionale.

L’anticonformismo del conformismo è la chiave di lettura che il libro dà alla carriera di Pupi Avati”, rimarca Della Casa, dopo aver presentato il regista, accolto da un lungo applauso, come ‘il più grande affabulatore che ho conosciuto nella mia carriera’: “una carriera che ha parecchi punti che sorprendono, come dimostra il volume stesso. Ad esempio quando qualche anno fa ho scoperto che gran parte dell’ultimo film di Pasolini, Salò, è stato scritto da Pupi Avati, rispetto ai suoi lavori successivi mi sembrava una cosa eccentrica. Invece poi non lo è affatto. Questo libro è molto interessante e controcorrente, perché è una biografia non esaltatoria del soggetto e non ha un’esigenza di completezza: racconta un preciso punto, la posizione eccentrica di Pupi Avati all’interno della galassia del cinema italiano”.

“Il libro di Massimiliano (Perrotta, ndr) apre con la storia di quella cena, ma non è che io sono arrivato là e ho detto così, dal nulla, ‘sono democristiano’”, precisa ridendo Pupi Avati, che prende la parola confermandosi esattamente nel ruolo in cui è stato presentato e snocciolando anche in questa occasione decine di aneddoti più che divertenti sui suoi 85 anni di vita, di famiglia e di cinema, spesso mimando il racconto la voce con vere e proprie gag.

“Quello era il risultato di una serie di considerazioni di noi che arriviamo a Roma (io e mio fratello Antonio, ndr) con due ‘cadaveri’ di insuccessi, come allora si diceva”, continua il regista. “Anche dietro alla stessa scelta di questo piccolo nome, ‘Pupi’ Avati, c’era una cultura, un mondo, dei genitori, dei nonni, delle zie, la campagna vissuta nel primo dopoguerra… C’erano le favole contadine terrorizzanti che ci raccontavano prima di andare a letto nelle camere scricchiolantissime, come la favola del ‘prete donna’… E poi c’era la chiesa, l’educazione cattolica preconciliare, piena di inferno e di diavolo dappertutto. Ecco, avendo tenuto dentro di me con riconoscenza quell’immaginario che si è andato a formare laggiù, in quel tempo remoto, con una grande nostalgia… Perché allora non c’era niente, a parte i campi… E allora riempivi quel niente con l’immaginazione, col racconto orale, che era fondamentale. Magari alcuni dei miei parenti erano pressoché analfabeti, non avrebbero mai saputo scrivere… ma sapevano raccontare. E saper raccontare – come sapeva fare nostra madre, una narratrice fantastica, che da quando salivamo in macchina da via Saragozza a Bologna fino a Roma non si interrompeva un minuto – era una cosa preziosissima. Questa è l’Italia dalla quale vengo, che non aveva quasi nulla, ma aveva tantissimo, perché ti permetteva di immaginare, che oggi è una cosa quasi proibita”.

Tornando al libro, anche per chi non abbia letto in precedenza i suoi articoli online, lo stile del racconto di Perrotta appare esplicito fin dalle prime pagine e non lesina – ora qua ora là – personalissimi epiteti ai grandi maestri della settima arte, destinati a far discutere. Ma anche nei titoli scelti per dividere il volume: si va da Un democristiano nel salotto – dove si racconta la famosa cena di cui sopra – per poi passare a Il Truffaut dell’Italietta, La poesia democristiana, o Agli antipodi del fighettismo, all’interno del quale, ad esempio, l’autore scrive: “Glamour: ecco una parola che non si addice al cinema di Pupi Avati. Egli si colloca agli antipodi del fighettismo artistico e di quello sociale (…). Mentre il fighettismo idolatra i vincenti, Avati simpatizza per i candidi, per gli insicuri, per gli sfigati”.

“Pupi Avati è fuori dal cinema italiano per una ontologica estraneità agli schemi culturali che nell’ultimo mezzo secolo lo hanno dominato”, scrive ancora Perrotta nel primo capitolo: “non ha fede nella storia, non crede nel progresso, non lotta contro il potere, non gli interessano i temi sociali, non si batte per le nobili cause, non vuole denunciare nulla, non racconta la crisi dell’Occidente, non segue le mode, non ostenta citazioni, non è laico. Per la stessa ragione il cinema italiano ama poco Pupi Avati: lo tratta con condiscendenza, premia raramente i suoi film, fatica a riconoscergli lo status di autore con la a maiuscola. (…). Il cinema di Pupi Avati non va rivalutato o sdoganato: va letto con occhi vergini, con occhi postnovecenteschi, con gli occhi di domani”.

“Il cinema di Pupi è personalissimo, senza quella aggressività che altri autori cercano di imporre sulla materia narrata e sulla realtà con la loro cifra”, continua l’autore del libro in sala. “Anche nei riguardi del film horror, lui lo fa a tutti gli effetti, rispettandone i codici ma poi arricchendone il contesto con il suo sguardo. Anche in Salò, certo, c’è la sua firma, ma discreta: non c’è nulla che lui faccia, anche per la tv, che non rispetti quel che gli viene chiesto, e che però sia al tempo un film di Pupi Avati a tutti gli effetti, con tutte le sue cifre stilistiche, ma sempre con discrezione, con quel senso della misura che secondo me è quello che, se da un lato lo rende amabile, lo ha visto penalizzato da parte della critica. Ma il tempo secondo me dà ragione a lui”.

“L’argomento del film di genere, presente nel libro, è una preoccupazione che Pupi ha a livello di prospettiva”, precisa Steve Della Casa. “È molto attento anche a quello che avviene anche dal punto di vista commerciale nel cinema italiano, e alla sua capacità di trovare un pubblico. Praticare il cinema ‘di genere’ è stata una caratteristica del cinema italiano negli anni del suo massimo splendore. Diceva Giuliano Montaldo che se si potevano fare i film di Bertolucci e Pasolini era perché si facevano quelli di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, che incassavano, pensate, quasi il 10% del totale nel cinema italiano, consentendo agli altri di sperimentare. E poi c’era un’osmosi tra cinema d’autore e di genere, che si confrontavano continuamente. Nell’horror che fa Pupi Avati, ad esempio, gli effetti speciali hanno un ruolo piccolissimo, il suo è un horror di atmosfera: la paura ti arriva da altre cose”.

A chiudere la pubblicazione, un’interessante ‘raccolta nella raccolta’ tratta da libri, riviste e/o quotidiani, intitolata Fior da Fiore, che a partire dal 1970 fino al 2024 riporta i punti di vista delle più note firme del grande schermo nei confronti del cinema di Pupi Avati: Miccichè, Farassino, Bignardi, Bertetto, Caprara (Valerio), Anselmi, Fofi, Morandini, Ferzetti (Fausto), Rondolino, Tornabuoni, Crespi, Sarno, Kezich, Nepoti, Brunetta, Mereghetti, Rondi, Mancuso, Salvagnini, Giusti, Zappoli e Siniscalchi.

Continue Reading

In Tendenza