Editoriali
Il congelamento affettivo
Uno dei più attenti e illuminati pensatori del nostro tempo è Massimo Recalcati, psicoanalista, 50 anni, grande sostenitore del pensiero lacaniano. Recentemente ha scritto un articolo dal titolo: Perché l’anestesia dei sentimenti è un rischio della nostra civiltà. Il suo pensiero di riverbera su temi di scottante attualità e declina la parola: “alessitimia” cioè la profonda difficoltà a riconoscere e a nominare i propri stati emotivi. Si tratta di un congelamento affettivo della vita umana. La sua diffusione più recente sembra indicarci che questa sindrome intercetti un disagio specifico della nostra civiltà. L’esperto fa un’analisi del nostro tempo non più dominato da grandi figure carismatiche capaci di catalizzare l’attenzione delle folle, ma quello che lui definisce “di un conformismo sospinto che tende a spegnere il desiderio del soggetto in un grigio uniformismo”. Recalcati nel suo articolo richiama un grande psicoanalista, Winnicott, che già negli anni 50-60 del secolo scorso, parlava di nuove forme di sofferenza da parte di soggetti che non provavano più emozioni. Il risultato è una vita che si smarrisce in superficie perché non è più in grado di entrare in contatto con il proprio desiderio. Winnicott ha descritto queste personalità con il termine di “falso sé”. Si tratta di soggetti che indossano una maschera sociale per scongiurare il rischio del proprio crollo e che, in questo modo, perdono la capacità di «vivere creativamente » e di «sentirsi reali». Meglio allora diventare una macchina efficiente priva di emozioni. Recalcati cita il giornalista Michele Serra che nella sua rubrica Amaca scrive dell’orrore per l’assassinio dell’archeologo Khaled Assad, tragicamente ucciso a Palmira lo scorso agosto dai miliziani dell’Isis per aver nascosto e salvato centinaia di statue dalla furia iconoclasta dei sunniti radicali. Una morte che non ha trovato alcuna eco significativa in Occidente. L’analisi dello psicologo va letta guardando molte facce della stessa medaglia e cioè il progressivo impoverimento dell’uomo in termini di svuotamento di valori ed emozioni. Non si guarda più la persona come contenitore di idee e risorse utili per la società ma come una sorta di robot che conduce apparentemente una vita normale ma che nasconde una profonda insoddisfazione interiore. Pietro Bianchi scrive di Recalcati: le riflessioni di Recalcati sono ormai diventate parte del discorso culturale pubblico. L’influenza di un intellettuale non la si giudica soltanto dagli interventi di cui è direttamente protagonista, ma anche da come le sue parole d’ordine e riflessioni diventino patrimonio collettivo e si riproducano in modo “virale” indipendentemente dal suo controllo. C’è da crederci! (nella foto: Massimo Recalcati)