Hand in cap (Dott.M.Milazzo)
Gli utili? “NON” ce li mettiamo in tasca. Una storia virtuosa
Storia della Management Technologies, azienda ennese collegata all’Economia di Comunione
Oggi le attività che chiudono i bilanci in pareggio festeggiano e quelle che registrano perdite contenute si ritengono fortunate, a patto che l’azienda sia riuscita a restare solida durante questo ormai lungo tempo di crisi. Se poi il bilancio registra nella voce “utili” cifre precedute da un segno positivo, si può gridare al miracolo, senza enfasi.
Ad Enna, in tema di lavoro, si verifica un fatto strano. Vi ha sede un’azienda che si occupa di software gestionali, la Management Technologies s.r.l. Sono otto soci in tutto, quattro dei quali lavoratori. A titolo di cronaca uno di loro, Marco, è prossimo alle nozze. Dov’è l’anomalia? Il loro statuto prevede che una parte degli utili non venga distribuita fra i soci ma che alimenti un fondo destinato a sostenere l’Economia di Comunione, un’espressione dell’Economia civile.
Il fenomeno è così di rilievo che il Vescovo di Piazza Armerina, Don Rosario Gisana, notoriamente attento anche ai bisogni economici della persone Sua diocesi, ha di recente voluto conoscere da vicino le persone della Management.
Per capirne di più dobbiamo tornare agli inizi degli anni novanta.
Volo di Linea Roma – San Paolo del Brasile, maggio 1991: a bordo vi sono Chiara Lubich e alcuni dei suoi collaboratori. E’ uno dei viaggi che compie in giro per il mondo per andare a trovare le comunità del Movimento dei Focolari, da lei fondato nel 1943, a Trento. Il suo è un movimento cattolico, fondato sulla Spiritualità dell’Unità e sull’amore concreto al prossimo. Durante l’atterraggio verso la metropoli sudamericana, che conta più di dodici milioni di abitanti, agli occhi di Chiara si presenta una scena che le fa stringere il cuore: il surreale quadro dei moderni e ricchi grattaceli circondati dalle favelas, le costruzioni di fortuna nelle quali, proprio a ridosso di essi, cercano di sopravvivere i più poveri dei poveri. E’ la “corona di spine”, come la definì l’allora Cardinale della metropoli brasiliana, infissa nell’opulenza dei quartieri ricchi.
E inizia a pensare ai primi tempi e ad una delle primissime pratiche del piccolo nucleo di persone che avevano dato vita al Movimento, la Comunione dei beni: mettere ciascuno ogni risorsa in comune per costituire il “Capitale di Dio” dal quale ciascuno poteva attingere per le sue necessità. Fu una pratica che si diffuse a tutte le persone che via via entravano a far parte delle comunità, scelta e voluta dai membri nella massima libertà. Fa parte di una semplice conseguenza della vita cristiana messa in atto, niente di più e niente di più semplice. Un modo, insieme ad altri, per rendere attuale il Vangelo.
Di fronte al doloroso contrasto osservato, Chiara ha un’idea. La Comunione dei beni non potrà mai da sola risolvere i problemi della povertà. Gli abitanti delle favelas e di tutti gli indigenti del mondo hanno bisogno di un amore organizzato in modo diverso. E comincia a sognare. Sogna una nuova classe di imprenditori, illuminati dal Vangelo, che creino o trasformino le loro aziende in modo da destinare una parte degli utili per contribuire a risolvere il problema della povertà e condividere benessere e ricchezza. Non più quindi imprenditori che accumulano denaro la per loro prima auto di lusso o per la seconda casa a mare, ma molto, molto di più.
E così il 29 maggio del 1991, durante un incontro con la comunità del Brasile, Chiara pronuncia per la prima volta le parole “Economia di Comunione”: un modello di economia innovativo, sostenuta da aziende i cui imprenditori non si appropriano degli utili ma li destinano una parte agli indigenti o ad opere di tenore sociale, una parte all’azienda stessa perché possa restare sempre al passo con i tempi ed una parte per la formazione di “Uomini nuovi”, persone che pongono alla base del loro operare il Vangelo ed il Bene comune. Da lì a poco l’idea dell’Economia di Comunione si diffonde fra molti imprenditori e diventa oggetto di studio da parte di insigni studiosi di economia come il prof. Luigino Bruni e il prof. Stefano Zamagni.
Ritorniamo ad Enna. I fondatori di Management Technologies, otto anni fa, decidono di applicare questi principi alla allora nascente azienda. Ne intervisto un paio, cominciando da uno dei più giovani, Marco Pintus, uno degli sviluppatori, 31 anni, il prossimo novello sposo.
Stai mettendo su casa e non sei ricco. Non hai avuto mai ripensamenti rispetto agli utili anche da te prodotti, che ti sarebbero spettati e che avete destinato ad altro? Il suo sorriso prelude alla risposta. “No, mai. L’idea di fare dono degli utili della mia azienda per fini sociali è coerente con la mia educazione e le mie scelte. E non ti nascondo che far parte di un progetto economico così importante da valore alla mia vita. E questo mi piace molto.”
A David Cutietti, 38 anni, che si occupa del commerciale, chiedo se ha un episodio che lo ha colpito in modo particolare, durante questi anni. “Ce ne sono alcuni ma credo che il più recente non possa essere taciuto. In una delle ultime assemblee dei soci, il nostro Amministratore Delegato (Fabio Bruno, n.d.r.) ci comunica che abbiamo potuto destinare utili per il fondo dell’Economia di Comunione. Non è una cifra da capogiro ma è per noi il segno che le nostre idee funzionano. Non puoi immaginare i volti di tutti i soci, soprattutto dei più giovani, quando qualcuno propone che tale somma sia destinata ad un’associazione del territorio che si occupa di disabilità e di programmi inclusivi anche in ambito lavorativo. La decisione è unanime e il verbale immediatamente firmato da tutti. Passa un giorno e un’azienda ci dà una commessa per un lavoro, il cui ammontare è assai superiore agli utili destinati. E’ la logica del Vangelo del “Dà e ti sarà dato” e dell’insostituibile bellezza delle conseguenze della gratuità, applicate all’economia e al lavoro.”
Dicevo all’inizio che il Vescovo di Piazza Armerina ha voluto conoscere le persone che hanno dato vita all’azienda: è stato un momento di profonda condivisione, iniziato con l’accoglienza festosa a Dan Rosario offerta non solo dai soci ma anche da loro amici e da molte persone della comunità ennese dei “Focolarini”. Di profondo significato la presenza di tre persone portatrici di disabilità: Andrea Fornaia, Maria Grazia Fiorello e Francesco Nicosia. Insieme ad un piccolo stuolo di amici nell’ambito dell’associazionismo, essi stanno lavorando alla costituzione di una cooperativa sociale “di tipo B”, quella in cui il trenta per cento dei soci lavoratori è portatore di una disabilità. Il loro progetto è quello che condividerà gli utili della Management. “La vostra esperienza – a parlare è il Vescovo rivolgendosi a tutti i presenti – è un segno profetico per il mondo e di speranza per il nostro territorio. E nel prossimo editoriale per Settegiorni (il settimanale diocesano, n.d.r.) in occasione del Santo Natale, parlerò dei vostri principi. Vedere persone che lavorano pensando non solo ai loro bisogni è qualcosa che scalda il cuore”.
Un paio di pensieri per concludere. L’idea che aziende, e nel mondo ce ne sono tante, possano destinare gli utili per sostenere progetti di utilità sociale, contribuendo a risolvere il problema della povertà, è a dir poco geniale, per semplicità, eticità e concretezza. Riflessione numero due: l’Economia di Comunione è realizzata da persone che hanno scelto di vivere per costruire il Bene comune ma il fenomeno è ancora poco conosciuto. E’ certo che molte persone di buona volontà, che in modo autentico si spendono per gli altri, magari non sanno ancora che hanno la possibilità di far parte di questo tanto affascinante quanto concreto progetto. Invito chiunque voglia approfondire la materia a visitare i siti dell’AIPEC(2) (Associazione Italiana Imprenditori per un’Economia di Comunione) e dell’EDC(3) e di guardare le trasmissioni su TV2000 di “Benedetta economia”, condotte dal Prof. Bruni e facilmente reperibili sul web. Fra i lettori ci sarà magari qualcuno che crede ancora che le cose possano cambiare, pure nell’ambito dell’economia. Don Rosario aveva chiesto, all’inizio della Sua visita, di cosa si occupasse l’azienda. “Di software gestionale. Cerchiamo di fare lavorare meglio le imprese” aveva risposto David. Ma la loro testimonianza fa sentire meglio chi ha la fortuna anche solo di conoscerli.
(1) www.focolari.org
(2) www.aipec.it
Marco Milazzo per Hand in cap – Scinardo.it
Eventi
“Siamo centomila medici”.Lettera al Ministro della Salute
Affido alle agenzie la diffusione della lettera sottoscritta dai quasi centomila medici presenti sul gruppo di Facebook “Coronavirus, Sars-CoV-2 e COVID-19” gruppo per soli medici”, di cui faccio parte, indirizzata al Ministro della Salute On. Speranza ed ad altre Istituzioni di riferimento. Il gruppo è nato per condividere esperienze cliniche (diagnosi, terapie farmacologiche, sviluppi ed esiti della malattia da Coronavirus 19) e letteratura scientifica.
Contiene un appello potente alla politica perché sia definitivamente al servizio dei Medici affinché, a loro volta, siano messi in condizione di fare l’unica cosa che vogliono fare: curare i malati e sconfiggere le malattie. Un appello, di fatto, gridato da malati e medici, ad una sola voce, agli amministratori.
Al Ministro della Salute on. Speranza
Ai Governatori di tutte le Regioni
Al presidente della FNOMCEO dott. Filippo Anelli
Ai Presidenti Federali degli Ordini dei Medici Regionali
Siamo un gruppo di circa 100.000 Medici, di tutte le specialità e di tutti i servizi territoriali e ospedalieri sparsi per tutta Italia, nato in occasione di questa epidemia, che da quasi 2 mesi ormai, sta scambiando informazioni sull’insorgenza della malattia causata dal Coronavirus, sul come contenerla, sul come fare, a chi rivolgersi, come orientare la terapia, come e quando trattarla, e siamo pressoché giunti alle stesse conclusioni: i pazienti vanno trattati il più presto possibile sul territorio, prima che si instauri la malattia vera e propria, ossia la polmonite interstiziale bilaterale, che quasi sempre porta il paziente in Rianimazione.
Dagli scambi intercorsi e dalla letteratura mondiale, si è arrivati a capire probabilmente la patogenesi di questa polmonite, con una cascata infiammatoria scatenata dal virus attraverso l’iperstimolazone di citochine (molecole prodotte da varie cellule che causano fenomeni infiammatori, n.d.s.), che diventano tossiche per l’organismo e che aggrediscono tutti i tessuti anche vascolari, provocando fenomeni trombotici e vasculite dei diversi distretti corporei, che a loro volta sono responsabili del quadro variegato di sintomi descritti.
I vari appelli finora promossi da vari Organismi e Organizzazioni sindacali, che noi abbiamo condiviso appieno, sono stati rivolti a chiedere i tamponi per il personale sanitario, a chiedere i dispositivi di sicurezza per tutti gli operatori, che spesso hanno sacrificato la loro vita, pur di dare una risposta ai pazienti, non si sono tirati indietro, nessuno.
Proprio per non vanificare l’abnegazione di medici e personale sanitario, oltre ai 1) Dispositivi di Protezione e ai 2) Tamponi, chiediamo di 3) Rafforzare il Territorio , vero punto debole del Servizio Sanitario Nazionale, con la possibilità per squadre speciali, nel decreto ministeriale del 10 Marzo, definite 4) USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale, dei team formati da personale medico che servono per supportare i malati di Covid 19, non ricoverati o dimessi, n.d.s.) essere attivate immediatamente in tutte le Regioni, in maniera omogenea, senza eccessiva burocrazia, avvalendosi dell’esperienza di noi tutti nel trattare precocemente i pazienti, anche con terapie off label ( l’impiego nella pratica clinica di farmaci somministrati al di fuori delle condizioni autorizzate dagli enti predisposti per patologia, popolazione o posologia, in deroga, per semplificare, rispetto a quanto prescritto dal foglietto illustrativo, n.d.s.), alcune delle quali peraltro già autorizzate dall’ AIFA.
Siamo giunti alla conclusione che il trattamento precoce può fermare il decorso dell’infezione verso la malattia conclamata e quindi arginare, fino a sconfiggere l’epidemia.
Il riconoscimento dei primi sintomi, anche con tamponi negativi (come abbiamo avuto modo di constatare nel 30% dei casi) è di pura pertinenza Clinica, e pertanto chiediamo di mettere a frutto le nostre esperienze cliniche, senza ostacoli burocratici nel prescrivere farmaci, tamponi, Rx e/o TC (esami radiografici o TAC, n.d.s.), ecografia polmonare anche a domicilio, emogasanalisi (prelievo di sangue arterioso per la determinazione della concentrazione dell’ossigeno nel sangue, n.d.s.), tutte cose che vanno a supportare la Clinica, ma che non la sostituiscono.
Lo chiediamo, indipendentemente dagli schieramenti politici e/o da posizioni sindacali, lo chiediamo come Medici che desiderano ed esigono di svolgere il proprio ruolo attivamente e al meglio, dando un contributo alla collettività nell’interesse di tutti.
Lo chiediamo perché tutti gli sforzi fatti finora col distanziamento sociale, non vadano perduti, paventando una seconda ondata di ricoveri d’urgenza dei pazienti tenuti in sorveglianza attiva per 10-15 giorni, ma che non sono stati visitati e valutati clinicamente e che ancora sono in attesa di tamponi.
La mappatura di questi pazienti, asintomatici o paucisintomatici, e di tutti i familiari dei casi conclamati è oltremodo indispensabile per non incorrere in un circolo vizioso, con ondate di ritorno dei contagi appena finirà il ” lock down”
Hand in cap (Dott.M.Milazzo)
Vietato l’acesso ai disabili alla Torre di Federico di Enna
Permettere l’accesso regolamentato alla villa “Torre di Federico” così come disposto dal Comune.
È quanto le associazioni “Vita 21 Enna” (Sindrome di Down) ed “Elpis Onlus” (Autismo), attraverso i loro rispettivi presidenti Marco Milazzo e Rosa Maria La Martina, chiedono al Prefetto, Dr.ssa Matilde Pirrera, dopo aver appreso dalla stampa che ha contestato l’ordinanza del Sindaco Maurizio Dipietro. L’atto del primo cittadino consente alle persone con disabilità l’accesso alla villa comunale “Torre di Federico” in un orario regolamentato, su prenotazione e con la presenza di un accompagnatore opportunamente identificato.
La lettera
“Riteniamo che la sua posizione – scrivono in una lettera al Prefetto i presidenti Milazzo e La Martina – derivi dalla possibilità che si formino assembramenti fra le poche persone che, di mezz’ora in mezz’ora, secondo quanto regolamentato del sindaco, possano passeggiare fra i viali del parco e, quindi, dalla sua presa a cuore della salute dei componenti la nostra comunità cittadina – continuano -. Le parliamo a nome dei soci di due associazioni di genitori di figli disabili, pensando di interpretare anche il pensiero di altri genitori che, come noi, hanno accolto un figlio con un handicap”.
Il particolare momento
In un momento estremamente delicato come quello attuale, in cui il mondo intero si è scoperto fragile, non assicurare questa opportunità a chi già vive una condizione di particolare fragilità psico-fisica può avere ricadute non indifferenti con tutto ciò che esse comportano. Da queste esperienze di vita vissute nella quotidianità complessa e ancor più complicata già nell’ordinario deriva, quindi, l’accorato appello delle due associazioni al Prefetto Pirrera: “la invitiamo a rivedere la sua posizione ed a dare credito a questi genitori che, ben consapevoli dell’opportunità, manterranno ben oltre le regole le dovute distanze all’interno della villa – sono le parole dei presidenti -. L’appuntamento con mezz’ora d’aria potrebbe servire a migliorare lo stato delle nostre famiglie e dei nostri figli, ai quali è difficile spiegare il motivo della forzata permanenza a casa. Siamo certi che potrà immaginare il gravissimo stato di disagio, nel quale versano alcuni di essi – concludono -. Una sua posizione avversa all’ordinanza lo aggreverebbe, accentuando, purtroppo, la distanza dalle Istituzioni che, a volte, chi vive una disabilità è costretto a constatare”.
Hand in cap (Dott.M.Milazzo)
Breve racconto autobiografico per la festa del papà
Non ho mai portato baffi né coppola e le foto antiche che ritraevano madri in piedi dietro austeri padri seduti, circondati da tre, quattro figli maschi con le figlie femmine messe ai margini, mi hanno fatto sempre sorridere e riflettere sui tempi passati: allora il figlio uomo rivestiva valore superiore per il fatto che garantiva la continuità della stirpe e la prosecuzione del lavoro nei campi o nelle officine, entrambi motivi legati, in qualche modo, alla sopravvivenza.
Ma quando un’ecografia ci informa che nella primavera del 2008, a distanza di undici anni dall’ultima di tre figlie, avremmo ripreso ad acquistare pannolini non più con i disegnini rosa, devo ammettere che ho gioito pur considerando i rischi di una gravidanza di genitori più vicini ai cinquanta che non ai quarant’anni.
Altro effetto collaterale del referto è stato quello di fare scattare in me un mal controllato meccanismo chiamato “aspettativa”. L’aspettativa può essere un tipo di attesa profonda e leggera, ma può essere vissuta come pesante e vincolante, che grava su di noi inchiodandoci nel modo in cui gli altri ci vedono ed in cui noi stessi ci vediamo, togliendoci quindi libertà di visione e di scelte.
Sono l’unico fratello maschio insieme a due sorelle femmine e mio padre è figlio unico: il mio prossimo nascituro è quindi l’unica possibilità di non fare morire il mio cognome. Maschio e magari medico anche lui, come il nonno e il padre. Erano pensieri che affioravano, non lo nascondo, alimentando in me aspettative.
Nasce Stefano. Diagnosi di sindrome di Down quasi immediata. Ci sono voluti giorni, forse mesi, ci è voluta la mia famiglia, i miei amici, le mie radici cristiane, ma soprattutto ci è voluta la sua presenza nella mia vita per capire che lui non era il problema ma la soluzione, come può succedere per una medicina miracolosa che risolve una patologia grave senza provocare effetti collaterali.
Stefano guarisce la mia ammalata identità di genitore perché con lui la mia paternità si realizza in tutta la sua pienezza diventando libera, finalmente: le aspettative scompaiono per lasciare il posto al figlio generato non in quanto proiezione di me stesso ma in quanto persona con la sua identità, il suo progetto, il suo potenziale. E se un vero padre deve vivere perché il figlio realizzi il suo progetto di vita, con lui divento compiutamente padre.
C’è di più: questo figlio fa crollare le aspettative riposte nel progresso sociale e nelle scoperte scientifiche. Un contesto social-scientifico che ti invita quanto meno a prendere in considerazione la possibilità di non far nascere Stefano (ricordo la risma di documenti firmati per liberare medici e Stato dalla responsabilità di avere rifiutato l’amniocentesi per eventuali fini abortivi) quanto meno deve avere qualche falla.
Ancora. Stefano ci guida nel mondo della disabilità aiutandoci a scoprire che ciò che accomuna abili e disabili è il sentirci inadeguati di fronte al non previsto, al diverso e al bisogno di abilità. Ma lui è un esempio di realizzazione ed è perfettamente felice così come è. Se ne infischia dei buoni esempi: ha un progetto e vuole che si realizzi quello, non un altro. Dice Einstein: “Se chiedi ad un pesce di salire su un albero lui crederà per tutta la vita di sentirsi uno stupido”.
I figli disabili sono un’accusa formidabile contro il cliché dell’uniformità, contro la stupidità umana che affiora storicamente in tempi diversi ed in modi sempre nuovi, nel mito dell’essere perfetto, del corpo perfetto, degli occhi perfetti, della camminata perfetta.
Loro, inevitabilmente, entrano a far parte delle nostre comunità per far sbilanciare, da un lato, tutte le nostre certezze consolatorie su cui si fonda la comune visione del mondo e per renderci invece stabili, dall’altro, in quello che è il valore della persona: un essere-costruttore di relazioni autentiche fondate sulla reciprocità più disinteressata, che permette a ciascuno di liberamente amare e liberamente essere amati.
Scritto dal padre di un figlio disabile e dedicato a tutti i genitori.
Marco Milazzo – ass.vita21enna@gmail.com
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