Cinema
Fuori colonna, concertazioni cinematografiche
“Fuori Colonna – Concertazioni Cinematografiche”
Viaggio narrativo fra il Cinema e le Musiche dell’ emozione
“Il Cinema va a teatro e si lascia raccontare, sospirare, concertare, sul proscenio affollato di emozioni, uomini, amori, chitarre e coltelli e segreti e luce, fra il Pubblico e lo schermo, che è una cosa sola!
Fuori Colonna è un progetto di e con Ivan Scinardo (Guida narrante), Francesco Maria Martorana (Chitarra ed altre corde pizzicate) e la Compagnia “Tango Disìu” – Le Musiche dei Porti
La narrazione
I codici che compongono il linguaggio cinematografico sono di tipo visivo e sonoro. Con questo spettacolo lo spettatore fa un viaggio nel cinema d’autore e non solo. Fotogramma per fotogramma vengono proposti, attraverso le immagini e la musica, frammenti di cinema emozionale indimenticabili. Le parole e le frasi dimenticate lasceranno il posto alla musica dal vivo.
Un mix di sguardi, atteggiamenti e suoni che sapranno stordire lo spettatore in un ancestrale ricerca delle immagini e dei suoni perduti nella memoria. La visione del frammento di un film diventa dunque fenomeno comunicativo che genera molteplici sfaccettature nel campo delle emozioni.
La musica che conduce
Tutto ha una logica, una sorta di filo rosso che lega il cinema con la musica; nella realizzazione piena di entrambi non viene lasciato nulla al caso. Fuori colonna, diventa dunque una lettura narrativa di un film dove lo spettatore entra appieno nei meccanismi della scrittura, cercando di individuare gli elementi specifici che stanno alla base della sua costruzione. Film fondamentali della storia del cinema, analizzati secondo un piano sequenza che porta la guida narrante e lo spettatore a valutare le motivazioni delle scelte stilistiche effettuate dai registi.
La guida narrante infatti aiuta ad analizzare gli elementi del linguaggio cinematografico, per fare comprendere come si realizza un racconto per immagini. La musica completa la sua parte. L’attenzione si fermerà dunque sulle inquadrature, i campi usati dal regista, l’angolo di ripresa del soggetto, la distanza dalla macchina da ripresa, le frasi e i dialoghi più celebri.
I movimenti di macchina
I movimenti della macchina si mescolano con un tappeto sonoro orchestrato dal vivo, per diventare colonna sonora originale che sa adeguarsi ai vari momenti del frammento di film visto. La musica dunque da sottofondo diventa elemento rafforzativo di quanto espresso visivamente. Ecco perché l’immagine per quanto importante può essere accentuata da uno stato d’animo espresso dalla musica dal vivo. Questo è il cinema delle emozioni, la “concertazione cinematografica” proposta da FUORI COLONNA.
Il musicista
Il musicista è un vero e proprio autore dell’opera cinematografica per la quale compone – e spesso dirige o esegue – la colonna sonora. Questi non agisce solo da supporto: suoni e musiche conferiscono al film certe qualità talmente corpose e necessarie, profonde, seppur apparentemente impalpabili, che spingono il regista – autore primo dell’opera – a ricercarle e desiderarle ardentemente, a trovare con esse l’alchimia che spiani una via sicura alla veicolazione armoniosa del suo intento, di ciò che veramente vuol essere la sua opera, dal motivo originante al final cut.
Del resto, come nella vita il suono ci attraversa arbitrariamente ed in ogni momento, entra in noi senza chiedere il permesso di farlo e lascia i suoi segni emotivi su tanti piani del nostro essere e produrci, non poteva che essere così anche nelle complicate dinamiche della settima arte.
La storia, la prassi e l’aneddotica del Cinema ci consegnano innumerevoli casi ed esempi in proposito; questa complessa arte e i contesti storici del suo fiorire, infine, sono oltremodo connaturati: non si può scartare la necessità di tradurre i più svariati input di una tumultuosa società contemporanea anche in preziose onde sonore.
Il vero cineasta sa bene cos’è la musica e ne coglie l’essenza come sa fare il vero poeta e il bravo pittore; sa che il regista può dare il suo vero taglio, il marchio orgoglioso di paternità del film, solo rivolgendosi ad un artista altro che si metta al suo servizio, il musicista, per domandargli di interpretare in musica il suo pensiero. E la richiesta, inoltre, spesso attiene alla manifestazione di fatti interiori, intimi.
Da qui lo spalancarsi di nuovi mondi immateriali sui fatti della narrazione, sul respirare del tempo che scorre o stagna, sul determinato inequivocabile tratto del carattere di un attore, di un’attrice, della differenza sostanziale che passa tra essi e tra i personaggi di cui si sono vestiti, in sostanza di ciò che di ogni attore, cosa, luogo, non si può dire con le “sole” immagini.
Con la musica, poi, da spettatori possiamo districarci fra la congerie di situazioni in cui anche una sola sequenza filmica può trascinarci: la colonna sonora rende chiare molte cose che, altrimenti, potrebbero non esserlo – la cinematografia è già, di per sé, vita trasfigurata! – e ci coinvolge, ci abbraccia nel fatto d’arte seppure siamo soltanto seduti davanti lo schermo e non dentro la scena, dentro ciò che vediamo accadere.
Per il raggiungimento del medesimo fine, nella musica che serve l’immagine possiamo trovare l’apologia del contrasto con le immagini girate o la sottolineatura delle stesse; è chiaro che c’è una resa delle cose troppo fine perché non sia propria dell’animo umano: è la summa delle latenze che rendono le immagini in movimento qualcosa di più.
Quando, allora, il film, l’opera d’arte compiuta, è arrivato a noi e ci è piaciuto, sappiamo per certo che è figlio di un percorso intriso dell’impegno profuso dai suoi lavoranti e del lavoro ben fatto in relazione a molteplici linguaggi ed a maestranze svariatissime, musicisti inclusi.
Potrebbe, perciò, apparire pretestuosa un’operazione come quella qui proposta: la proiezione di un film finito, completo, o di parti di esso con nuove musiche giustapposte dal vivo; potrebbe apparire inutile e banale: falso, e anche sbagliato!
Né inutile, né banale è questo momento in cui, grazie alla forza comunicativa di raffinati musicisti scienti della simbiosi del proprio lavoro con il linguaggio cinematografico, nasce un’avventura: l’esperienza di un Cinema non pre-visto ma partecipato, non goduto soltanto come opera finita ma nel coinvolgimento di un’ideale sua nuova realizzazione.
La platea diviene parte del respiro collettivo dell’opera d’arte; quanto proiettato – sono film cult! – cambia magicamente volto mentre il musicista ne ridisegna le trame interiori essendo certamente al servizio delle immagini ma anche influenzato dal pubblico in sala in quanto si affida, qui, più alla sua sensibilità “sonora” e di improvvisatore che ad una minuziosa partitura.
Il rispetto per ogni opera filmica e per gli artisti che l’hanno realizzata è totale; magnetizzati dall’onda di questo incantato rispetto, qui avviene qualcos’altro, che è caldo e partecipativo e prende le mosse proprio da film che si sono molto amati: avviene qualcosa di vivo e condiviso.
E per il film non c’è una nuova veste, c’è un’altra veste; è un divertissement che crea spessore nella relazione fra lo schermo e il pubblico e lo fa con leggerezza: per il film, non un oltraggio ma un omaggio, un fuori programma, un “fuori colonna”.
Cinema
Le Giornate del cinema per la scuola
Al via le Giornate nazionali del cinema per la scuola: l’inaugurazione con il Sottosegretario Borgonzoni
La senatrice aprirà lunedì 4 novembre le Giornate nazionali del cinema per la scuola 2024, promosse dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura in collaborazione con Anec
Sarà la sottosegretaria alla Cultura, Lucia Borgonzoni, ad aprire lunedì 4 novembre le Giornate nazionali del cinema per la scuola 2024, promosse dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura in collaborazione con Anec (Associazione Nazionale Esercenti Cinematografici), nell’ambito del Piano nazionale cinema e immagini per la scuola. Per il secondo anno consecutivo, docenti e dirigenti scolastici di tutta Italia si riuniranno a Palermo, presso i Cantieri Culturali alla Zisa, trasformati fino al 6 novembre in una grande “Città del cinema per la scuola”. Il programma prenderà avvio alle 15:00 con la cerimonia inaugurale al Cinema De Seta, promossa dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura.
L’inaugurazione con il vice ministro
La cerimonia sarà aperta dai saluti del sottosegretario alla Cultura, Lucia Borgonzoni, e vedrà la partecipazione del direttore generale della Direzione Generale per la Comunicazione e le Relazioni Istituzionali del Mim, Giuseppe Pierro, e di Bruno Zambardino, referente per il Piano Nazionale Cinema per la Scuola presso la Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del Mic, che illustreranno le novità del Piano Cips. Alle 16:30, avrà luogo la presentazione dei film in uscita destinati al pubblico scolastico, a cura di Circuito Cinema Scuola e delle case di produzione e distribuzione Universal Pictures e Warner Bros, che presenterà il suo ultimo film d’animazione: Buffalo Kids di Juan Jesús García Galocha e Pedro Solís García (Spagna 2024, 93′), uscito nelle sale il 31 ottobre.
Alle 20:30 si terrà l’evento di punta della prima giornata: la presentazione in anteprima nazionale del film Criature (Italia 2024) di Cécile Allegra, tratto dall’omonimo romanzo della stessa autrice e previsto nelle sale dal 5 dicembre. Al Cinema De Seta, lunedì sera, sarà presente la regista Cécile Allegra, accompagnata da un collegamento in diretta con l’attore protagonista Marco D’Amore, noto per il suo ruolo nella serie Gomorra.
Fonte: cinecittanews.it
Cinema
REAL al Festival dei Popoli
‘REAL’, al Festival dei Popoli l’anteprima del film di Adele Tulli
Una produzione Pepito Produzioni e FilmAffair con Rai Cinema e Luce Cinecittà in collaborazione con Les Films d’Ici. In sala dal 14 novembre con Luce Cinecittà
Arriva nei cinema dopo l’acclamata prima mondiale all’ultimo Festival di Locarno e il Premio della Giuria al Festival del Film di Villa Medici dedicato al rapporto tra cinema e arti contemporanee, REAL, il nuovo film di Adele Tulli. Real sarà presentato in anteprima al 65. Festival dei Popoli, il più antico appuntamento del cinema documentario d’Europa, domenica 3 novembre alle 19.30 al Cinema La Compagnia di Firenze, alla presenza della regista.
Dopo il successo della sua opera prima Normal (presentato alla Berlinale, vincitore della Menzione Opera Prima ai Nastri d’Argento e acclamato in numerosi festival internazionali), Real sbarca sugli schermi il 14 novembre, distribuito da Luce Cinecittà. Il film è prodotto da Pepito Produzioni e FilmAffair con Rai Cinema e Luce Cinecittà, in collaborazione con Les Films d’Ici. La distribuzione internazionale è affidata a Intramovies.
Adele Tulli scrive e dirige un nuovo viaggio visionario, poetico e inatteso dentro un mondo in cui siamo quotidianamente immersi, talmente abituale da non farci più rendere conto di quanto sia in realtà sconosciuto ed estraniante: il mondo digitale. Una realtà che ha rivoluzionato le vite di tutti e che il documentario esplora con lenti tecnologiche, creative e relazionali. Con uno sguardo inedito e curioso, Real ci porta in un territorio ineffabile, alieno e al contempo familiare.
Scritto e diretto da Adele Tulli, REAL vede la fotografia di Clarissa Cappellani e Francesca Zonars, il montaggio di Ilaria Fraioli e Adele Tulli, le musiche originali di Andrea Koch e la produzione creativa di Laura Romano. È prodotto da Agostino Saccà per Pepito Produzioni, Valeria Adilardi, Luca Ricciardi, Laura Romano e Mauro Vicentini per FilmAffair, in collaborazione con Charlotte Uzu di Les Films d’Ici.
La sinossi di Real
Reale [dal lat. mediev. realis, derivato di res “cosa”] – 1. Che è, che esiste veramente, effettivamente e concretamente. La nostra concezione comune di “realtà” era fatta di oggetti tangibili, di relazioni corporee, di esperienze ed eventi in spazi fisici. Tuttavia, un processo inarrestabile di accelerazione digitale ha trasformato radicalmente il nostro pianeta, le nostre società e noi stessi: i dispositivi digitali non sono più semplici strumenti, ma porte d’accesso a una nuova realtà. I nostri smartphone e computer ci conducono in un universo aumentato in crescita esponenziale, che esperiamo quasi sempre senza contatto fisico. Un mondo digitale dove trascorriamo la maggior parte del nostro tempo, cercandovi felicità, soddisfazione, rapporti, conoscenza e nuove esperienze. Ma allora, cosa è oggi ‘reale’?
R E A L è un viaggio filmico, visionario e coinvolgente nel mondo disincarnato della rete, un multiverso digitale parallelo in cui ogni cosa esistente è trasformata dalla fisica degli atomi alla logica dei bit. È un documentario creativo che esplora la trasformazione dell’esperienza umana nell’era digitale, facendo luce sui molti aspetti, a tratti perturbanti, della vita iperconnessa: i protagonisti – umani, robotici, virtuali – affrontano relazioni digitali, lavori virtuali, cybersessualità, abitazioni e città futuristiche, automatizzate e sorvegliate. Raccontano una cultura dell’autorappresentazione, di nuove dipendenze e patologie, di alienazione e isolamento, ma anche di identità libere dai confini fisici del corpo.
R E A L adotta uno sguardo sperimentale, utilizzando poeticamente le stesse tecnologie che definiscono il mondo digitale: visori, webcam, smartphone, videocamere di sorveglianza e sguardi meccanici che ci accompagnano in un nuovo modo di vivere la realtà. Senza risposte o giudizi, ma con la curiosità di uno sguardo che esplora un nuovo pianeta, Real ci conduce al di là e al di qua di un confine incerto.
Cinema
Pupi Avati e il conformismo
Pupi Avati, o “l’anticonformismo del conformismo”
La presentazione del volume ‘Pupi Avati fuori dal cinema italiano’ al Museo Etrusco di Roma, alla presenza dei fratelli Avati. Steve Della Casa intervista il regista e l’autore del libro, Massimiliano Perrotta
“Il mio libro inizia con una cena a casa di Laura Betti, dove Pupi Avati era appena arrivato da Bologna con due film che erano andati male. E proprio lì, dove c’erano Bellocchio, Bertolucci, Moravia, Pasolini… gli scappò detto ‘io sono democristiano’: la cosa più conformista, che però in quel consesso coincideva col massimo dell’eresia. Su questo paradosso, su questa contraddizione, lui ha costruito la sua carriera e io ho costruito il mio libro”.
Così Massimiliano Perrotta presenta al pubblico il suo Pupi Avati fuori dal cinema italiano in una gremita Sala della Fortuna del Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma. Una biografia decisamente sui generis, appena uscita con Edizioni Sabinae, che in otto capitoli raccoglie altrettanti articoli già pubblicati dall’autore catanese sull’’Huffington Post’. Accanto a lui il regista, fresco della Laurea ad Honorem in Italianistica appena conferitagli all’Università Roma Tre, mentre in prima fila siede l’inseparabile fratello, Antonio Avati.
A moderare l’incontro è Steve della Casa, critico cinematografico e direttore artistico, storico conduttore radiofonico di ‘Hollywood Party’ nonché regista, autore e Conservatore della Cineteca Nazionale.
“L’anticonformismo del conformismo è la chiave di lettura che il libro dà alla carriera di Pupi Avati”, rimarca Della Casa, dopo aver presentato il regista, accolto da un lungo applauso, come ‘il più grande affabulatore che ho conosciuto nella mia carriera’: “una carriera che ha parecchi punti che sorprendono, come dimostra il volume stesso. Ad esempio quando qualche anno fa ho scoperto che gran parte dell’ultimo film di Pasolini, Salò, è stato scritto da Pupi Avati, rispetto ai suoi lavori successivi mi sembrava una cosa eccentrica. Invece poi non lo è affatto. Questo libro è molto interessante e controcorrente, perché è una biografia non esaltatoria del soggetto e non ha un’esigenza di completezza: racconta un preciso punto, la posizione eccentrica di Pupi Avati all’interno della galassia del cinema italiano”.
“Il libro di Massimiliano (Perrotta, ndr) apre con la storia di quella cena, ma non è che io sono arrivato là e ho detto così, dal nulla, ‘sono democristiano’”, precisa ridendo Pupi Avati, che prende la parola confermandosi esattamente nel ruolo in cui è stato presentato e snocciolando anche in questa occasione decine di aneddoti più che divertenti sui suoi 85 anni di vita, di famiglia e di cinema, spesso mimando il racconto la voce con vere e proprie gag.
“Quello era il risultato di una serie di considerazioni di noi che arriviamo a Roma (io e mio fratello Antonio, ndr) con due ‘cadaveri’ di insuccessi, come allora si diceva”, continua il regista. “Anche dietro alla stessa scelta di questo piccolo nome, ‘Pupi’ Avati, c’era una cultura, un mondo, dei genitori, dei nonni, delle zie, la campagna vissuta nel primo dopoguerra… C’erano le favole contadine terrorizzanti che ci raccontavano prima di andare a letto nelle camere scricchiolantissime, come la favola del ‘prete donna’… E poi c’era la chiesa, l’educazione cattolica preconciliare, piena di inferno e di diavolo dappertutto. Ecco, avendo tenuto dentro di me con riconoscenza quell’immaginario che si è andato a formare laggiù, in quel tempo remoto, con una grande nostalgia… Perché allora non c’era niente, a parte i campi… E allora riempivi quel niente con l’immaginazione, col racconto orale, che era fondamentale. Magari alcuni dei miei parenti erano pressoché analfabeti, non avrebbero mai saputo scrivere… ma sapevano raccontare. E saper raccontare – come sapeva fare nostra madre, una narratrice fantastica, che da quando salivamo in macchina da via Saragozza a Bologna fino a Roma non si interrompeva un minuto – era una cosa preziosissima. Questa è l’Italia dalla quale vengo, che non aveva quasi nulla, ma aveva tantissimo, perché ti permetteva di immaginare, che oggi è una cosa quasi proibita”.
Tornando al libro, anche per chi non abbia letto in precedenza i suoi articoli online, lo stile del racconto di Perrotta appare esplicito fin dalle prime pagine e non lesina – ora qua ora là – personalissimi epiteti ai grandi maestri della settima arte, destinati a far discutere. Ma anche nei titoli scelti per dividere il volume: si va da Un democristiano nel salotto – dove si racconta la famosa cena di cui sopra – per poi passare a Il Truffaut dell’Italietta, La poesia democristiana, o Agli antipodi del fighettismo, all’interno del quale, ad esempio, l’autore scrive: “Glamour: ecco una parola che non si addice al cinema di Pupi Avati. Egli si colloca agli antipodi del fighettismo artistico e di quello sociale (…). Mentre il fighettismo idolatra i vincenti, Avati simpatizza per i candidi, per gli insicuri, per gli sfigati”.
“Pupi Avati è fuori dal cinema italiano per una ontologica estraneità agli schemi culturali che nell’ultimo mezzo secolo lo hanno dominato”, scrive ancora Perrotta nel primo capitolo: “non ha fede nella storia, non crede nel progresso, non lotta contro il potere, non gli interessano i temi sociali, non si batte per le nobili cause, non vuole denunciare nulla, non racconta la crisi dell’Occidente, non segue le mode, non ostenta citazioni, non è laico. Per la stessa ragione il cinema italiano ama poco Pupi Avati: lo tratta con condiscendenza, premia raramente i suoi film, fatica a riconoscergli lo status di autore con la a maiuscola. (…). Il cinema di Pupi Avati non va rivalutato o sdoganato: va letto con occhi vergini, con occhi postnovecenteschi, con gli occhi di domani”.
“Il cinema di Pupi è personalissimo, senza quella aggressività che altri autori cercano di imporre sulla materia narrata e sulla realtà con la loro cifra”, continua l’autore del libro in sala. “Anche nei riguardi del film horror, lui lo fa a tutti gli effetti, rispettandone i codici ma poi arricchendone il contesto con il suo sguardo. Anche in Salò, certo, c’è la sua firma, ma discreta: non c’è nulla che lui faccia, anche per la tv, che non rispetti quel che gli viene chiesto, e che però sia al tempo un film di Pupi Avati a tutti gli effetti, con tutte le sue cifre stilistiche, ma sempre con discrezione, con quel senso della misura che secondo me è quello che, se da un lato lo rende amabile, lo ha visto penalizzato da parte della critica. Ma il tempo secondo me dà ragione a lui”.
“L’argomento del film di genere, presente nel libro, è una preoccupazione che Pupi ha a livello di prospettiva”, precisa Steve Della Casa. “È molto attento anche a quello che avviene anche dal punto di vista commerciale nel cinema italiano, e alla sua capacità di trovare un pubblico. Praticare il cinema ‘di genere’ è stata una caratteristica del cinema italiano negli anni del suo massimo splendore. Diceva Giuliano Montaldo che se si potevano fare i film di Bertolucci e Pasolini era perché si facevano quelli di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, che incassavano, pensate, quasi il 10% del totale nel cinema italiano, consentendo agli altri di sperimentare. E poi c’era un’osmosi tra cinema d’autore e di genere, che si confrontavano continuamente. Nell’horror che fa Pupi Avati, ad esempio, gli effetti speciali hanno un ruolo piccolissimo, il suo è un horror di atmosfera: la paura ti arriva da altre cose”.
A chiudere la pubblicazione, un’interessante ‘raccolta nella raccolta’ tratta da libri, riviste e/o quotidiani, intitolata Fior da Fiore, che a partire dal 1970 fino al 2024 riporta i punti di vista delle più note firme del grande schermo nei confronti del cinema di Pupi Avati: Miccichè, Farassino, Bignardi, Bertetto, Caprara (Valerio), Anselmi, Fofi, Morandini, Ferzetti (Fausto), Rondolino, Tornabuoni, Crespi, Sarno, Kezich, Nepoti, Brunetta, Mereghetti, Rondi, Mancuso, Salvagnini, Giusti, Zappoli e Siniscalchi.
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