Editoriali
Famiglie rassegnatevi, i migliori cervelli fuggono!
Una delle più autorevoli riviste internazionali di economia e lavoro, “Science and Public Policy”, ha pubblicato integralmente una ricerca, poi ripresa in sintesi dalla testata Affari Sociali, a firma di Nascia e Pianta, dal titolo: “L’emigrazione dei ricercatori italiani”. Emerge un dato gravissimo: negli ultimi 12 anni oltre 14 mila dottori di ricerca hanno lasciato l’università italiana per andare a lavorare all’estero. Un fenomeno in costante crescita che riguarda tutte le professioni che richiedono personale altamente qualificato. La ricerca promossa dal Joint Research Center della Commissione europea, ha utilizzato i dati della rilevazione MORE3 sulla mobilità dei ricercatori italiani, analizzando il fenomeno della mobilità forzata dei ricercatori italiani. Si tutti è emerso l’alto livello di soddisfazione nel lavorare all’estero, vuoi per le gratificazioni personali, vuoi anche per gli stipendi di gran lunga superiori a quelli del nostro paese. In pochi decidono di rientrare e preferiscono spendere fuori i loro titoli, conquistati in duri e lunghi anni nelle università italiane. La conseguenza è che gli investimenti delle famiglie, nel portare alla laurea i figli, vanno a vantaggio degli altri stati che si ritrovano così professionisti formati che vengono incentivati con stipendi e agevolazioni finanziarie vantaggiose anche per l’acquisto della prima casa. Gli sforzi della politica “nostrana“ sono irrilevanti rispetto alle misure che vengono adottate dagli altri governi che, certamente, attraverso l’uso dei crediti, valorizzano molto di più i giovani talenti, desiderosi di stabilità lavorativa ed economica. Nel report c’è un dato che spicca su tutti: tra il 2016 e il 2017 abbiamo perso 28 mila laureati italiani emigrati all’estero, al netto dei rimpatri. Quasi 11 mila autori originariamente in Italia, tra il 2002 e il 2016 si sono spostati in istituzioni scientifiche estere. Tutti i dati mostrano un’accelerazione a partire dal 2010. Sono passati ormai più di 10 anni da quando due giornalisti, Davide Carlucci e Antonio Castaldo, pubblicarono un libro dal titolo: “Un Paese di Baroni”, in cui raccontavano di truffe, favori, abusi di potere, logge segrete e criminalità organizzata, in seno alle università italiane. Eppure sembra non essere cambiato nulla; hanno raccontato, accanto all’università dei privilegi, anche quella di chi lavora seriamente tutti i giorni e per pochi soldi e soprattutto hanno voluto riportare le storie e le testimonianze di chi si è ribellato contro i concorsi truccati, contro un «sistema fortissimo basato molto sull’obbedienza e poco sul merito», così lo hanno definito nel libro. Citando i sempre più numerosi casi di intercettazioni fai da te di studenti, aspiranti ricercatori o docenti che si sono presentati nell’università dei baroni a colloquio con i prof muniti di registratori portatili per memorizzare «le regole del gioco». Negli ultimi anni proprio queste intercettazioni hanno portato a più di un’inchiesta contro prepotenze e abusi. Ma il fenomeno, stando ai risultati sulla fuga dei cervelli all’estero, pare non si sia mai fermato