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Cinema

Filippo Luna, straordinario attore e acting coach

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Attore poliedrico ed eclettico, capace di spaziare dal teatro, alla televisione, al cinema e anche alla pubblicità.  Definire Filippo Luna, classe ’69, è davvero complicato, se si considera che in oltre 25 anni di carriera la sua “inquietudine” artistica si è straordinariamente espressa nei numerosi personaggi che ha interpretato. Da qualche anno si è cucito addosso, come un vestito, un importante mestiere del cinema, “l’acting coach”. In America è un ruolo consolidato, in Italia stenta ancora a decollare, probabilmente perché ci sono poche figure specializzate. La definizione è proprio “allenatore di attori” e ha il compito di preparare il professionista e non a entrare nella parte e nelle scene, approfondendo i personaggi scritti dagli sceneggiatori, con un rigoroso studio del contesto in cui andranno esprimersi. Lo aveva già fatto per il film “Salvo” di Antonio Piazza e Fabio Grassadonia, che vinse a Cannes la settimana della critica ed è stato riconfermato anche per Sicilian Ghost Story, il film dedicato al piccolo Giuseppe Di Matteo, trucidato dalla mafia. In quest’ultimo Luna ha svolto il difficile e complesso lavoro di selezione di quelli che poi sono  diventati i 6 giovanissimi protagonisti, capitanati,  al loro primo esordio nel cinema, da Julia Jedlikowska (Luna) e Gaetano Fernandez (Giu­sep­pe). Questi ultimi, il 23 maggio dello scorso anno, sono stati a lungo applauditi assieme al loro coach, dagli studenti che hanno viaggiato a bordo della nave della legalità. Prima dell’inizio delle riprese l’acting coach li ha seguiti per un lungo laboratorio, immersi nella natura siciliana. Giorno dopo giorno Luna ha costruito assieme a loro i due personaggi, partendo dalle rispettive personalità, per poi adattarle ai ruoli; una volta sul set gli attori  erano pronti a girare, senza bisogno di ulteriori indicazioni da parte dei registi. L’acting coach deve fare si che il training dell’attore miri al raggiungimento di una padronanza completa delle capacità tecniche ed emotive. Alla base ci sono: concentrazione, osservazione e ascolto assieme alle tecniche che riguardano la consapevolezza dei movimenti del proprio corpo davanti la macchina da presa, la dizione, la respirazione. Solo dopo aver lavorato a lungo su questi aspetti il coach passa al singolo personaggio aiutandolo nella performance recitativa.

Ma chi è Filippo Luna? I suoi genitori si erano accorti subito del suo talento; loro di San Guseppe Jato, piccolo comune della provincia palermitana, fecero un’eccezione  rispetto a tutti gli altri figli, decisero infatti di farlo nascere a Palermo, nella “capitale” siciliana.  Forse è questo che ha influito nel suo percorso di crescita e professionale. Giovane 24enne venne selezionato e scelto a frequentare la scuola dell’I.N.D.A., l’Istituto del dramma antico fondato da Giusto Monaco a Siracusa. Per due anni frequenta i corsi di recitazione, danza e canto. Studia con Vincenzo Pirrotta, con il quale strinse un legame professionale intenso e duraturo;  4 anni di collaborazione ininterrotta dal 2004 al 2008 interpretando “U Ciclopu”, “La Sagra del Signore della Nave”, “Filottete” e “La Ballata delle Balate”. Come tutti i giovani pieni di energia Filippo Luna decise quindi di partire per Roma, probabilmente con il sogno nel cassetto di tutti gli aspiranti attori di debuttare nella città degli artisti. Ma bisognava pur mantenersi nei 10 anni di permanenza e così nel 1998, dopo un anno di lavoro in una società editoriale, come direttore dell’ufficio marketing, alla proposta di un’assunzione con contratto a tempo indeterminato, lui rifiutò per tornare  nella sua amata Palermo e esaudire il desiderio di fare l’attore e non l’impiegato.  Da San Giuseppe Jato a Siracusa, a Roma e quindi a Palermo, un triangolo che si chiude nell’isola che lo ricompensa con straordinari successi. Lo guardi negli occhi ed è raggiante; si sente fortunato Filippo Luna, per le tantissime partecipazioni da protagonista e interprete.

Nel 2010 arriva uno dei più importanti riconoscimenti alla carriera: il premio della Critica Teatrale dell’Associazione nazionale dei critici, che ogni anno viene assegnato a registi, attori, drammaturghi, a tutti coloro insomma che contribuiscono a far crescere, con punte d’eccellenza, il teatro contemporaneo.

Ma se c’è uno spettacolo di cui Filippo Luna va fiero è “Le mille bolle blu”, scritto dal giornalista Totò Rizzo. Questo monologo per Luna ha rappresentato un cambiamento epocale nel personale approccio al teatro, coinvolgendosi emotivamente su un tema così difficile come l’omosessualità. Nei suoi ricordi più belli  c’è il grande Mario Luzzi, che durante le prove generali del “Fiore del dolore”, convocò la compagnia e disse che lo spettacolo iniziava quando Filippo Luna entrava in scena. Una ricerca continua della qualità nel mestiere dell’attore,  che prima o poi regala un successo sicuro. La sua esperienza professionale è legata prevalentemente al teatro, innumerevoli i suoi lavori: Assalto al cielo, Edipo Re, L’Agnello del Povero, I Giganti della Montagna, Antigone, Alcesti per la  regia di Sandro Sequi; e ancora Repertorio dei pazzi della città di Palermo di Roberto Alaimo, premio Eti 1992, “Il Principe e il Povero, Martorio, Il malato immaginario. E’ stato Corifeo ne “Il ciclope”, diretto da Giancarlo Sammartano al teatro greco di Siracusa.

Luna ha un legame indissolubile con il Teatro Ditirammu e il compianto fondatore Vito Parrinello che scrisse assieme alla moglie Rosa Mistretta nel 2004: “A Munti Piddirinu c’è una Rosa”, triunfu per Santa Rosalia”.

Straordinario attore non solo  di teatro, ma anche di cinema. Ficarra e Picone lo hanno voluto nei loro film; Donatella Maiorca in Viola di mare, Emanuele Crialese in Novomondo e Terraferma. Indimenticabile il ruolo di Massimo Ciancimino nel film “La Trattativa” di Sabina Guzzanti; attore protagonista ne: “Lo scambio”, primo lungometraggio di Salvo Cuccia. Ha da poco finito di girare “Una Storia senza nome” di Roberto Andò, interpretando il ruolo dell’avvocato Seminerio, assieme a Alessandro Gassmann, Micaela Ramazotti e altri importanti attori italiani. Tanta tv per lui; “Il Commissario Montalbano”, Squadra Antimafia, Il commissario Maltese, La mafia uccide solo d’estate, nel ruolo del ragionier Cersaoli.

Difficile comunque riuscire a condensare la carriera di un talento artistico così straordinario e riuscire ad elencare tutti i lavori che ha fatto.

C’è un particolare che gli amici più intimi di Filippo Luna conoscono di lui, lo ha rivelato anche durante una intervista: quando nel mio naso mi si allargano le narici, che lui chiama “pampere”, vuole dire che sto recitando. Chi mi conosce bene lo sa dicendomi subito che mi sto arrampicando sugli specchi.

giuliaparlatophotography@gmail.com

da sinistra: Rosa Mistretta, Stefania Blandeburgo, Filippo Luna, Vito Parrinello

Cinema

Le Giornate del cinema per la scuola

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Al via le Giornate nazionali del cinema per la scuola: l’inaugurazione con il Sottosegretario Borgonzoni

La senatrice aprirà lunedì 4 novembre le Giornate nazionali del cinema per la scuola 2024, promosse dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura in collaborazione con Anec

Sarà la sottosegretaria alla Cultura, Lucia Borgonzoni, ad aprire lunedì 4 novembre le Giornate nazionali del cinema per la scuola 2024, promosse dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura in collaborazione con Anec (Associazione Nazionale Esercenti Cinematografici), nell’ambito del Piano nazionale cinema e immagini per la scuola. Per il secondo anno consecutivo, docenti e dirigenti scolastici di tutta Italia si riuniranno a Palermo, presso i Cantieri Culturali alla Zisa, trasformati fino al 6 novembre in una grande “Città del cinema per la scuola”. Il programma prenderà avvio alle 15:00 con la cerimonia inaugurale al Cinema De Seta, promossa dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura.

L’inaugurazione con il vice ministro

La cerimonia sarà aperta dai saluti del sottosegretario alla Cultura, Lucia Borgonzoni, e vedrà la partecipazione del direttore generale della Direzione Generale per la Comunicazione e le Relazioni Istituzionali del Mim, Giuseppe Pierro, e di Bruno Zambardino, referente per il Piano Nazionale Cinema per la Scuola presso la Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del Mic, che illustreranno le novità del Piano Cips. Alle 16:30, avrà luogo la presentazione dei film in uscita destinati al pubblico scolastico, a cura di Circuito Cinema Scuola e delle case di produzione e distribuzione Universal Pictures e Warner Bros, che presenterà il suo ultimo film d’animazione: Buffalo Kids di Juan Jesús García Galocha e Pedro Solís García (Spagna 2024, 93′), uscito nelle sale il 31 ottobre.

Alle 20:30 si terrà l’evento di punta della prima giornata: la presentazione in anteprima nazionale del film Criature (Italia 2024) di Cécile Allegra, tratto dall’omonimo romanzo della stessa autrice e previsto nelle sale dal 5 dicembre. Al Cinema De Seta, lunedì sera, sarà presente la regista Cécile Allegra, accompagnata da un collegamento in diretta con l’attore protagonista Marco D’Amore, noto per il suo ruolo nella serie Gomorra.

Fonte: cinecittanews.it

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REAL al Festival dei Popoli

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‘REAL’, al Festival dei Popoli l’anteprima del film di Adele Tulli

Una produzione Pepito Produzioni e FilmAffair con Rai Cinema e Luce Cinecittà in collaborazione con Les Films d’Ici. In sala dal 14 novembre con Luce Cinecittà

Arriva nei cinema dopo l’acclamata prima mondiale all’ultimo Festival di Locarno e il Premio della Giuria al Festival del Film di Villa Medici dedicato al rapporto tra cinema e arti contemporanee, REAL, il nuovo film di Adele Tulli. Real sarà presentato in anteprima al 65. Festival dei Popoli, il più antico appuntamento del cinema documentario d’Europa, domenica 3 novembre alle 19.30 al Cinema La Compagnia di Firenze, alla presenza della regista.

Dopo il successo della sua opera prima Normal (presentato alla Berlinale, vincitore della Menzione Opera Prima ai Nastri d’Argento e acclamato in numerosi festival internazionali), Real sbarca sugli schermi il 14 novembre, distribuito da Luce Cinecittà. Il film è prodotto da Pepito Produzioni e FilmAffair con Rai Cinema e Luce Cinecittà, in collaborazione con Les Films d’Ici. La distribuzione internazionale è affidata a Intramovies.

Adele Tulli scrive e dirige un nuovo viaggio visionario, poetico e inatteso dentro un mondo in cui siamo quotidianamente immersi, talmente abituale da non farci più rendere conto di quanto sia in realtà sconosciuto ed estraniante: il mondo digitale. Una realtà che ha rivoluzionato le vite di tutti e che il documentario esplora con lenti tecnologiche, creative e relazionali. Con uno sguardo inedito e curioso, Real ci porta in un territorio ineffabile, alieno e al contempo familiare.

Scritto e diretto da Adele Tulli, REAL vede la fotografia di Clarissa Cappellani e Francesca Zonars, il montaggio di Ilaria Fraioli e Adele Tulli, le musiche originali di Andrea Koch e la produzione creativa di Laura Romano. È prodotto da Agostino Saccà per Pepito Produzioni, Valeria Adilardi, Luca Ricciardi, Laura Romano e Mauro Vicentini per FilmAffair, in collaborazione con Charlotte Uzu di Les Films d’Ici.

La sinossi di Real

Reale [dal lat. mediev. realis, derivato di res “cosa”] – 1. Che è, che esiste veramente, effettivamente e concretamente. La nostra concezione comune di “realtà” era fatta di oggetti tangibili, di relazioni corporee, di esperienze ed eventi in spazi fisici. Tuttavia, un processo inarrestabile di accelerazione digitale ha trasformato radicalmente il nostro pianeta, le nostre società e noi stessi: i dispositivi digitali non sono più semplici strumenti, ma porte d’accesso a una nuova realtà. I nostri smartphone e computer ci conducono in un universo aumentato in crescita esponenziale, che esperiamo quasi sempre senza contatto fisico. Un mondo digitale dove trascorriamo la maggior parte del nostro tempo, cercandovi felicità, soddisfazione, rapporti, conoscenza e nuove esperienze. Ma allora, cosa è oggi ‘reale’?

R E A L è un viaggio filmico, visionario e coinvolgente nel mondo disincarnato della rete, un multiverso digitale parallelo in cui ogni cosa esistente è trasformata dalla fisica degli atomi alla logica dei bit. È un documentario creativo che esplora la trasformazione dell’esperienza umana nell’era digitale, facendo luce sui molti aspetti, a tratti perturbanti, della vita iperconnessa: i protagonisti – umani, robotici, virtuali – affrontano relazioni digitali, lavori virtuali, cybersessualità, abitazioni e città futuristiche, automatizzate e sorvegliate. Raccontano una cultura dell’autorappresentazione, di nuove dipendenze e patologie, di alienazione e isolamento, ma anche di identità libere dai confini fisici del corpo.

R E A L adotta uno sguardo sperimentale, utilizzando poeticamente le stesse tecnologie che definiscono il mondo digitale: visori, webcam, smartphone, videocamere di sorveglianza e sguardi meccanici che ci accompagnano in un nuovo modo di vivere la realtà. Senza risposte o giudizi, ma con la curiosità di uno sguardo che esplora un nuovo pianeta, Real ci conduce al di là e al di qua di un confine incerto.

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Pupi Avati e il conformismo

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Pupi Avati, o “l’anticonformismo del conformismo”

La presentazione del volume ‘Pupi Avati fuori dal cinema italiano’ al Museo Etrusco di Roma, alla presenza dei fratelli Avati. Steve Della Casa intervista il regista e l’autore del libro, Massimiliano Perrotta

“Il mio libro inizia con una cena a casa di Laura Betti, dove Pupi Avati era appena arrivato da Bologna con due film che erano andati male. E proprio lì, dove c’erano Bellocchio, Bertolucci, Moravia, Pasolini… gli scappò detto ‘io sono democristiano’: la cosa più conformista, che però in quel consesso coincideva col massimo dell’eresia. Su questo paradosso, su questa contraddizione, lui ha costruito la sua carriera e io ho costruito il mio libro”.

Così Massimiliano Perrotta presenta al pubblico il suo Pupi Avati fuori dal cinema italiano in una gremita Sala della Fortuna del Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma. Una biografia decisamente sui generis, appena uscita con Edizioni Sabinae, che in otto capitoli raccoglie altrettanti articoli già pubblicati dall’autore catanese sull’’Huffington Post’. Accanto a lui il regista, fresco della Laurea ad Honorem in Italianistica appena conferitagli all’Università Roma Tre, mentre in prima fila siede l’inseparabile fratello, Antonio Avati.

A moderare l’incontro è Steve della Casa, critico cinematografico e direttore artistico, storico conduttore radiofonico di ‘Hollywood Party’ nonché regista, autore e Conservatore della Cineteca Nazionale.

L’anticonformismo del conformismo è la chiave di lettura che il libro dà alla carriera di Pupi Avati”, rimarca Della Casa, dopo aver presentato il regista, accolto da un lungo applauso, come ‘il più grande affabulatore che ho conosciuto nella mia carriera’: “una carriera che ha parecchi punti che sorprendono, come dimostra il volume stesso. Ad esempio quando qualche anno fa ho scoperto che gran parte dell’ultimo film di Pasolini, Salò, è stato scritto da Pupi Avati, rispetto ai suoi lavori successivi mi sembrava una cosa eccentrica. Invece poi non lo è affatto. Questo libro è molto interessante e controcorrente, perché è una biografia non esaltatoria del soggetto e non ha un’esigenza di completezza: racconta un preciso punto, la posizione eccentrica di Pupi Avati all’interno della galassia del cinema italiano”.

“Il libro di Massimiliano (Perrotta, ndr) apre con la storia di quella cena, ma non è che io sono arrivato là e ho detto così, dal nulla, ‘sono democristiano’”, precisa ridendo Pupi Avati, che prende la parola confermandosi esattamente nel ruolo in cui è stato presentato e snocciolando anche in questa occasione decine di aneddoti più che divertenti sui suoi 85 anni di vita, di famiglia e di cinema, spesso mimando il racconto la voce con vere e proprie gag.

“Quello era il risultato di una serie di considerazioni di noi che arriviamo a Roma (io e mio fratello Antonio, ndr) con due ‘cadaveri’ di insuccessi, come allora si diceva”, continua il regista. “Anche dietro alla stessa scelta di questo piccolo nome, ‘Pupi’ Avati, c’era una cultura, un mondo, dei genitori, dei nonni, delle zie, la campagna vissuta nel primo dopoguerra… C’erano le favole contadine terrorizzanti che ci raccontavano prima di andare a letto nelle camere scricchiolantissime, come la favola del ‘prete donna’… E poi c’era la chiesa, l’educazione cattolica preconciliare, piena di inferno e di diavolo dappertutto. Ecco, avendo tenuto dentro di me con riconoscenza quell’immaginario che si è andato a formare laggiù, in quel tempo remoto, con una grande nostalgia… Perché allora non c’era niente, a parte i campi… E allora riempivi quel niente con l’immaginazione, col racconto orale, che era fondamentale. Magari alcuni dei miei parenti erano pressoché analfabeti, non avrebbero mai saputo scrivere… ma sapevano raccontare. E saper raccontare – come sapeva fare nostra madre, una narratrice fantastica, che da quando salivamo in macchina da via Saragozza a Bologna fino a Roma non si interrompeva un minuto – era una cosa preziosissima. Questa è l’Italia dalla quale vengo, che non aveva quasi nulla, ma aveva tantissimo, perché ti permetteva di immaginare, che oggi è una cosa quasi proibita”.

Tornando al libro, anche per chi non abbia letto in precedenza i suoi articoli online, lo stile del racconto di Perrotta appare esplicito fin dalle prime pagine e non lesina – ora qua ora là – personalissimi epiteti ai grandi maestri della settima arte, destinati a far discutere. Ma anche nei titoli scelti per dividere il volume: si va da Un democristiano nel salotto – dove si racconta la famosa cena di cui sopra – per poi passare a Il Truffaut dell’Italietta, La poesia democristiana, o Agli antipodi del fighettismo, all’interno del quale, ad esempio, l’autore scrive: “Glamour: ecco una parola che non si addice al cinema di Pupi Avati. Egli si colloca agli antipodi del fighettismo artistico e di quello sociale (…). Mentre il fighettismo idolatra i vincenti, Avati simpatizza per i candidi, per gli insicuri, per gli sfigati”.

“Pupi Avati è fuori dal cinema italiano per una ontologica estraneità agli schemi culturali che nell’ultimo mezzo secolo lo hanno dominato”, scrive ancora Perrotta nel primo capitolo: “non ha fede nella storia, non crede nel progresso, non lotta contro il potere, non gli interessano i temi sociali, non si batte per le nobili cause, non vuole denunciare nulla, non racconta la crisi dell’Occidente, non segue le mode, non ostenta citazioni, non è laico. Per la stessa ragione il cinema italiano ama poco Pupi Avati: lo tratta con condiscendenza, premia raramente i suoi film, fatica a riconoscergli lo status di autore con la a maiuscola. (…). Il cinema di Pupi Avati non va rivalutato o sdoganato: va letto con occhi vergini, con occhi postnovecenteschi, con gli occhi di domani”.

“Il cinema di Pupi è personalissimo, senza quella aggressività che altri autori cercano di imporre sulla materia narrata e sulla realtà con la loro cifra”, continua l’autore del libro in sala. “Anche nei riguardi del film horror, lui lo fa a tutti gli effetti, rispettandone i codici ma poi arricchendone il contesto con il suo sguardo. Anche in Salò, certo, c’è la sua firma, ma discreta: non c’è nulla che lui faccia, anche per la tv, che non rispetti quel che gli viene chiesto, e che però sia al tempo un film di Pupi Avati a tutti gli effetti, con tutte le sue cifre stilistiche, ma sempre con discrezione, con quel senso della misura che secondo me è quello che, se da un lato lo rende amabile, lo ha visto penalizzato da parte della critica. Ma il tempo secondo me dà ragione a lui”.

“L’argomento del film di genere, presente nel libro, è una preoccupazione che Pupi ha a livello di prospettiva”, precisa Steve Della Casa. “È molto attento anche a quello che avviene anche dal punto di vista commerciale nel cinema italiano, e alla sua capacità di trovare un pubblico. Praticare il cinema ‘di genere’ è stata una caratteristica del cinema italiano negli anni del suo massimo splendore. Diceva Giuliano Montaldo che se si potevano fare i film di Bertolucci e Pasolini era perché si facevano quelli di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, che incassavano, pensate, quasi il 10% del totale nel cinema italiano, consentendo agli altri di sperimentare. E poi c’era un’osmosi tra cinema d’autore e di genere, che si confrontavano continuamente. Nell’horror che fa Pupi Avati, ad esempio, gli effetti speciali hanno un ruolo piccolissimo, il suo è un horror di atmosfera: la paura ti arriva da altre cose”.

A chiudere la pubblicazione, un’interessante ‘raccolta nella raccolta’ tratta da libri, riviste e/o quotidiani, intitolata Fior da Fiore, che a partire dal 1970 fino al 2024 riporta i punti di vista delle più note firme del grande schermo nei confronti del cinema di Pupi Avati: Miccichè, Farassino, Bignardi, Bertetto, Caprara (Valerio), Anselmi, Fofi, Morandini, Ferzetti (Fausto), Rondolino, Tornabuoni, Crespi, Sarno, Kezich, Nepoti, Brunetta, Mereghetti, Rondi, Mancuso, Salvagnini, Giusti, Zappoli e Siniscalchi.

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