Editoriali

Facebook come un’immensa casa di specchi!

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Il grande sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman, morto nel 2017, a 91 anni, ci ha lasciato una grande eredità nei suoi scritti. Leggeremo i suoi testi almeno per altri vent’anni e saranno sempre attuali. Perché forse mai nessuno, come lui, ha saputo leggere la società in modo così analitico e profetico. Quando Bauman scrisse che: “Il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, ha guadagnato $ 50.000.000.000 con la sua società concentrandosi sulla nostra paura della solitudine, in realtà non si riferiva solo a Facebook, ma a tutti i social network. Il sociologo sottolineò che il grande merito di Zuckerberg è stato capire fino a che punto arriva il desiderio umano di non stare da soli. In un social network apparentemente la solitudine non esiste. 24 ore al giorno e 7 giorni alla settimana “lì” c’è qualcuno disposto a leggere qualsiasi nostra preoccupazione e a rafforzare il fatto che la condividiamo, per darci un solitario “Mi Piace”. Le persone sembrano disposte a partecipare a conversazioni totalmente irrilevanti. Tutto per rimanere “connesse”. I giorni non trascorrono più in compagnia di persone. Nella vita quotidiana il compagno è un computer o uno smartphone. Il lavoro di questo sociologo parla delle nuove dipendenze tecnologiche che per lui sono forze devastanti, a cui quasi nessuno può resistere. Hanno un impressionante potere di congregazione. Mai prima nella storia si era verificata una cosa del genere. Eppure Bauman pensava che non sia mai stata vista prima d’ora così tanta comunicazione che non porta al dialogo, infruttuosa. Diceva anche che su Facebook e altri social media simili le persone fanno una specie di eco; ascoltano solo quello che vogliono ascoltare, parlano solo con chi la pensa al loro stesso modo. I social network, quindi, sono come un’immensa casa di specchi. Favoriscono l’incontro, ma non il dialogo. In ogni caso si crea l’illusione di essere connessi con gli altri. Il filosofo vedeva nei social network una trappola per l’essere umano. Pensava che questi spazi abbiano un impatto decisivo su quella che lui chiama “la cultura liquida”. “In essa primeggiano i legami umani precari. Amori senza volto e senza impegno. Ondate di sentimenti e idee che oggi ci sono e domani scompaiono. Persone intrattenute mentre il potere, politico ed economico, le controlla sempre di più e meglio”.

 

 

 

 

 

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