Editoriali
Scuole sicure. Aumentano i controlli antidroga
Il liceo classico che frequenta mia figlia, l’Umberto I di Palermo, nei giorni scorsi è stato oggetto di polemiche per l’iniziativa presa dal dirigente scolastico di chiamare i cani antidroga e fare perquisire le aule. Molti genitori di alunni hanno protestato perchè a loro dire il preside avrebbe dovuto avvertirli prima di fare un’azione così eclatante. Daltronde non è una novità che le forze dell’ordine avviino periodicamente operazioni di controllo denominate «Scuole Sicure» nell’ambito di una iniziativa nazionale del governo centrale, per combattere la diffusione di sostanze stupefacenti tra i più giovani. Controlli che spesso portano al sequestro di modeste quantità di stupefacenti e alla segnalazione di qualche studente. La domanda che sorge spesso in queste situazioni è se davvero questa è la strada giusta per fare prevenzione? La risposta l’ha data il vice presidente dell’ordine degli psicologi del Veneto e responsabile della commissione psicologia e scuola: “come psicologi dobbiamo andare a capire perché un ragazzo vuole usare le droghe – ha spiegato Oscar Miotti – noi infatti avviamo dei progetti di prevenzione per capire quelli che sono i bisogni sottostanti. Le forze dell’ordine lavorano per creare delle zone pulite, drug free. Non bisogna portare la marjiuana a scuola, questo è certo, ma l’approccio repressivo non porta dei risultati e si stimola invece la voglia di trasgressione. I controlli di questo tipo non stimolano i cambiamenti ma anzi innescano meccanismi che spesso sono più dannosi che utili. Ci sono stati anche casi di ragazzi denunciati dalle stesse madri perché consumatori di hashish e marjiuana. «Il caso delle madri che denunciano i figli – spiega il dottor Miotti – io lo valuto come un atto di debolezza e resa in quanto queste madri non hanno più gli strumenti per dialogare con i figli. Una madre che denuncia il figlio è alimentata dall’esasperazione. Noi dobbiamo metterli nelle condizioni di dialogare. Che la madre capisca la prospettiva del figlio e di questo i bisogni. Perché è questo che manifestano usando la droga, la mancanza di qualcosa, un vuoto da riempire». Il tabù di andare dallo psicologo esiste ancora: ma l’esperto in questione non deve intervenire nel caso di una patologia acclarata ma bisogna cominciare a pensare allo psicologo come un facilitatore del benessere. Lo psicologo deve essere promotore del benessere, nulla di più. Secondo l’esperto lo psicologo non dovrebbe essere solo nei consultori e a psichiatria ma dovrebbe essere presente nelle scuole e sul territorio. Vicino al medico di base, quella è l’idea che proponiamo. Spesso le persone hanno paura dello stigma sociale che si verifica se si va al consultorio o a psichiatria”.