InSalute (Dott.E.Alagna)
Disobbedienza civica, ecco come si diffonde il contagio
E’ la profonda crisi di valori, l’assenza di principi basilari, la mancanza di educazione, il poco rispetto per sé stessi, per gli altri e per la natura che ha prodotto il Coronavirus; è l’assenza delle istituzioni, è l’assenza del senso di famiglia, è la scarsa sensibilità di alcuni docenti, è questa società liquida, che non segue regole se non limitandosi ad applicare quella del più forte, che ha prodotto il Coronavirus.
Valori che sono stati cancellati con un colpo di spugna, un po’ come riportare la leva delle lavagnette magiche degli anni 80/90 da destra a sinistra e viceversa.
E’ ciò che è successo a Milano, sabato sera, con gli assembramenti di persone alle stazioni di Milano Centrale e Garibaldi pronte a fuggire da quelle che, da lì a poco, sarebbero diventate Zone Rosse, è l’atteggiamento di vanto delle due ragazze agrigentine che, in preda alla bramosia di like, hanno pubblicato su Instagram un video che le ritraeva felici di essere giunte da Milano e Roma ad Agrigento, è l’atteggiamento dei tanti idioti in Vucciria a Palermo sabato scorso o ancor peggio le file di Imbecilli ai supermercati ieri sera, dopo che il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, ha annunciato che l’intero territorio nazionale sarebbe stata Zona Rossa. Sono questi atti di disobbedienza civica a favorire il contagio.
Solo, e soltanto solo, se verrà ripristinato il giusto dialogo tra genitori e figli, se gli insegnanti torneranno ad essere educatori prima di tutto, se i politici torneranno a dare l’esempio, se i giovani torneranno a scoprire il profondo senso dell’aiutare il prossimo, non facente parte del proprio nucleo familiare, se si riscopriranno – come dice Carlos Arija Garcia – “il senso di comunità , di collettivo”, si potranno fermare le epidemie della mancanza di valori.
Perché un popolo che non pensa, che non investe nell’osservazione, che non investe in cultura e lettura, quindi nella conoscenza, quindi nella ricerca, è un popolo destinato, inevitabilmente, ad ammalarsi.
Siamo ormai giunti alla trama di uno dei film di Steven Soderbergh, uscito nel 2011, Contagion: zone rosse, divieti, caos ovunque.
Mi guardo attorno e da medico ausculto i segni di una Polmonite Sociale, faccio un giro in città, osservo i giovani perdere le loro vite dentro una bottiglia di superalcolici, li osservo mentre si atteggiano a uomini maturi e non hanno ancora un filo di barba sulle guance, apro le pagine dei social network e rifletto su quello che è successo nelle ultime ore e che ancora sta succedendo. Guardo i titoli sensazionalistici che deviano dalle fonti autorevoli, titoli di giornali che spettacolarizzano il momento ma che poi, una volta aperti, non contengono neppure le norme di prevenzione e i modelli comportamentali istituiti da Istituto Superiore di Sanità e Ministero della Salute e resi noti già 15 giorni fa.
Eppure mi chiedo “Avremmo potuto prevederlo?” E mi rispondo “Avremmo DOVUTO prevederlo”.
Non è accettabile che in rete circoli un grafico importantissimo (pubblicato sulla rivista Emerging Infectious Diseases e condiviso dai Centers for Disease Control and Prevention statunitensi) che disegna l’andamento di un’epidemia in due condizioni e nessuno ne parli.
(grafico: Fondazione Gimbe, tradotto e adattato da Fong et al, 2020; Eid Journal/Cdc)
<<Il grafico in sostanza mostra l’efficacia delle misure di isolamento sociale sul contenimento dell’epidemia. La curva arancione rappresenta il numero di contagi nel tempo che si avrebbero se il virus fosse lasciato libero di circolare, senza che prendessimo nessuna precauzione: Sars-Cov-2, per esempio, si diffonderebbe molto velocemente contagiando in poco tempo un grandissimo numero di persone.
La curva azzurra, invece, rappresenta l’ipotetico andamento dell’epidemia in presenza di misure di contenimento dell’infezione, come quelle che sono state attuate a Wuhan e in parte anche qui in Italia. In queste condizioni l’epidemia rallenta: il numero di contagi si distribuisce su un arco di tempo più lungo e il picco epidemico rimane molto più basso rispetto alla condizione senza misure di contenimento.>>
La differenza, insomma, è notevole e nessuno ne parla. Una parte dei social preferisce riempire le piattaforme di contenuti sensazionalistici, perché oggi scegliere di leggere, di documentarsi, di applicarsi e di capire è dispendioso in termini di energie mentali.
<<Lo scenario della curva azzurra per gli esperti è senza dubbio più auspicabile. Ma perché prolungare l’epidemia sarebbe meglio? Non sarebbe più conveniente lasciarsela alle spalle prima? Non si rischia altrimenti di far ammalare più persone? Le risposte stanno tutte in quella linea rossa tratteggiata sul grafico, che indica la capacità di risposta dei sistemi sanitari nazionali e cioè la disponibilità di posti letto (soprattutto nelle terapie intensive, che in Italia sono circa 5mila) e di personale sanitario.
Non si tratta del numero assoluto dei contagi nell’arco di tutta l’epidemia, ma della loro distribuzione nel tempo. Se tantissime persone si ammalassero e avessero bisogno di assistenza medica contemporaneamente, il sistema sanitario non ce la farebbe ad assistere tutti (finirebbero i posti letto, non ci sarebbero operatori sufficienti a prendersi cura dei pazienti) e ci sarebbero potenzialmente più morti.
Attuando con buon senso e responsabilità le raccomandazioni di limitare per quanto possibile i contatti sociali, evitando soprattutto gli assembramenti, è possibile rallentare la diffusione del virus dando a chi inevitabilmente si ammalerà maggiori chance di essere curato al meglio.>>
In qualità di Medico in Formazione Specialistica in Igiene e Medicina Preventiva, voglio rompere il mio silenzio. Basta! Non è più tempo di capire di chi sia stata la colpa di un contagio così veloce. E’ ora che ciascuno di noi si impegni in prima persona; come in una condizione di calamità naturale, se si incontra per strada una donna, un uomo o un bambino che ha bisogno di noi lo si aiuta senza badare al fatto che si tratti o meno di nostro padre, di nostra madre, di nostro figlio, fratello, sorella.
Ciascuno ha l’obbligo civico di assumersi la propria responsabilità: decisori politici, esperti di sanità pubblica più coscienziosi, operatori sanitari (che ringrazio personalmente perché da giorni non tornano a casa, vivono in ospedale, nei laboratori, al fianco dei pazienti contagiati, senza mai esprimere un lamento, mai una parola fuori posto, mai fermarsi, non vi è il tempo), cittadini, imprenditori, impiegati, TUTTI!
Questo quadro che immagino, dipinto su di una tela, come uno Stato-paziente intubato, attaccato al respiratore è sinonimo di una società dispnoica, in evidente insufficienza respiratoria, la cui causa primaria è il virus della strafottenza.
In un articolo, Carlos Arija Garcia afferma che “il rispetto collettivo, ed il senso di comunità sono valori, ormai, «da sfigati»”, da persone che non arriveranno mai da nessuna parte perché non calpesteranno gli altri pur di raggiungere il loro obiettivo”, da gente che non riceverà mai un like sui social (questo è il metro di valutazione dei giovani per capire quanto si è in gamba, quanto si è bravi e belli), aggiungo io.
Il desiderio di vetrina, di passerella, l’ingordigia e la concupiscenza che regna sui social, nelle classi scolastiche, tra le compagnie dei tanti ragazzi imbecilli che si sfidano a colpi di selfie sulle cose più pericolose per la loro vita e per quella degli altri, “sono i veri virus di questa società”.
Non ci resta che aggrapparci alla speranza che i pochi illuminati di questa società resistano e non vengano contagiati dal Sars-CoV-2.