Hand in cap (Dott.M.Milazzo)
Vietato l’acesso ai disabili alla Torre di Federico di Enna
Permettere l’accesso regolamentato alla villa “Torre di Federico” così come disposto dal Comune.
È quanto le associazioni “Vita 21 Enna” (Sindrome di Down) ed “Elpis Onlus” (Autismo), attraverso i loro rispettivi presidenti Marco Milazzo e Rosa Maria La Martina, chiedono al Prefetto, Dr.ssa Matilde Pirrera, dopo aver appreso dalla stampa che ha contestato l’ordinanza del Sindaco Maurizio Dipietro. L’atto del primo cittadino consente alle persone con disabilità l’accesso alla villa comunale “Torre di Federico” in un orario regolamentato, su prenotazione e con la presenza di un accompagnatore opportunamente identificato.
La lettera
“Riteniamo che la sua posizione – scrivono in una lettera al Prefetto i presidenti Milazzo e La Martina – derivi dalla possibilità che si formino assembramenti fra le poche persone che, di mezz’ora in mezz’ora, secondo quanto regolamentato del sindaco, possano passeggiare fra i viali del parco e, quindi, dalla sua presa a cuore della salute dei componenti la nostra comunità cittadina – continuano -. Le parliamo a nome dei soci di due associazioni di genitori di figli disabili, pensando di interpretare anche il pensiero di altri genitori che, come noi, hanno accolto un figlio con un handicap”.
Il particolare momento
In un momento estremamente delicato come quello attuale, in cui il mondo intero si è scoperto fragile, non assicurare questa opportunità a chi già vive una condizione di particolare fragilità psico-fisica può avere ricadute non indifferenti con tutto ciò che esse comportano. Da queste esperienze di vita vissute nella quotidianità complessa e ancor più complicata già nell’ordinario deriva, quindi, l’accorato appello delle due associazioni al Prefetto Pirrera: “la invitiamo a rivedere la sua posizione ed a dare credito a questi genitori che, ben consapevoli dell’opportunità, manterranno ben oltre le regole le dovute distanze all’interno della villa – sono le parole dei presidenti -. L’appuntamento con mezz’ora d’aria potrebbe servire a migliorare lo stato delle nostre famiglie e dei nostri figli, ai quali è difficile spiegare il motivo della forzata permanenza a casa. Siamo certi che potrà immaginare il gravissimo stato di disagio, nel quale versano alcuni di essi – concludono -. Una sua posizione avversa all’ordinanza lo aggreverebbe, accentuando, purtroppo, la distanza dalle Istituzioni che, a volte, chi vive una disabilità è costretto a constatare”.
Eventi
“Siamo centomila medici”.Lettera al Ministro della Salute
Affido alle agenzie la diffusione della lettera sottoscritta dai quasi centomila medici presenti sul gruppo di Facebook “Coronavirus, Sars-CoV-2 e COVID-19” gruppo per soli medici”, di cui faccio parte, indirizzata al Ministro della Salute On. Speranza ed ad altre Istituzioni di riferimento. Il gruppo è nato per condividere esperienze cliniche (diagnosi, terapie farmacologiche, sviluppi ed esiti della malattia da Coronavirus 19) e letteratura scientifica.
Contiene un appello potente alla politica perché sia definitivamente al servizio dei Medici affinché, a loro volta, siano messi in condizione di fare l’unica cosa che vogliono fare: curare i malati e sconfiggere le malattie. Un appello, di fatto, gridato da malati e medici, ad una sola voce, agli amministratori.
Al Ministro della Salute on. Speranza
Ai Governatori di tutte le Regioni
Al presidente della FNOMCEO dott. Filippo Anelli
Ai Presidenti Federali degli Ordini dei Medici Regionali
Siamo un gruppo di circa 100.000 Medici, di tutte le specialità e di tutti i servizi territoriali e ospedalieri sparsi per tutta Italia, nato in occasione di questa epidemia, che da quasi 2 mesi ormai, sta scambiando informazioni sull’insorgenza della malattia causata dal Coronavirus, sul come contenerla, sul come fare, a chi rivolgersi, come orientare la terapia, come e quando trattarla, e siamo pressoché giunti alle stesse conclusioni: i pazienti vanno trattati il più presto possibile sul territorio, prima che si instauri la malattia vera e propria, ossia la polmonite interstiziale bilaterale, che quasi sempre porta il paziente in Rianimazione.
Dagli scambi intercorsi e dalla letteratura mondiale, si è arrivati a capire probabilmente la patogenesi di questa polmonite, con una cascata infiammatoria scatenata dal virus attraverso l’iperstimolazone di citochine (molecole prodotte da varie cellule che causano fenomeni infiammatori, n.d.s.), che diventano tossiche per l’organismo e che aggrediscono tutti i tessuti anche vascolari, provocando fenomeni trombotici e vasculite dei diversi distretti corporei, che a loro volta sono responsabili del quadro variegato di sintomi descritti.
I vari appelli finora promossi da vari Organismi e Organizzazioni sindacali, che noi abbiamo condiviso appieno, sono stati rivolti a chiedere i tamponi per il personale sanitario, a chiedere i dispositivi di sicurezza per tutti gli operatori, che spesso hanno sacrificato la loro vita, pur di dare una risposta ai pazienti, non si sono tirati indietro, nessuno.
Proprio per non vanificare l’abnegazione di medici e personale sanitario, oltre ai 1) Dispositivi di Protezione e ai 2) Tamponi, chiediamo di 3) Rafforzare il Territorio , vero punto debole del Servizio Sanitario Nazionale, con la possibilità per squadre speciali, nel decreto ministeriale del 10 Marzo, definite 4) USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale, dei team formati da personale medico che servono per supportare i malati di Covid 19, non ricoverati o dimessi, n.d.s.) essere attivate immediatamente in tutte le Regioni, in maniera omogenea, senza eccessiva burocrazia, avvalendosi dell’esperienza di noi tutti nel trattare precocemente i pazienti, anche con terapie off label ( l’impiego nella pratica clinica di farmaci somministrati al di fuori delle condizioni autorizzate dagli enti predisposti per patologia, popolazione o posologia, in deroga, per semplificare, rispetto a quanto prescritto dal foglietto illustrativo, n.d.s.), alcune delle quali peraltro già autorizzate dall’ AIFA.
Siamo giunti alla conclusione che il trattamento precoce può fermare il decorso dell’infezione verso la malattia conclamata e quindi arginare, fino a sconfiggere l’epidemia.
Il riconoscimento dei primi sintomi, anche con tamponi negativi (come abbiamo avuto modo di constatare nel 30% dei casi) è di pura pertinenza Clinica, e pertanto chiediamo di mettere a frutto le nostre esperienze cliniche, senza ostacoli burocratici nel prescrivere farmaci, tamponi, Rx e/o TC (esami radiografici o TAC, n.d.s.), ecografia polmonare anche a domicilio, emogasanalisi (prelievo di sangue arterioso per la determinazione della concentrazione dell’ossigeno nel sangue, n.d.s.), tutte cose che vanno a supportare la Clinica, ma che non la sostituiscono.
Lo chiediamo, indipendentemente dagli schieramenti politici e/o da posizioni sindacali, lo chiediamo come Medici che desiderano ed esigono di svolgere il proprio ruolo attivamente e al meglio, dando un contributo alla collettività nell’interesse di tutti.
Lo chiediamo perché tutti gli sforzi fatti finora col distanziamento sociale, non vadano perduti, paventando una seconda ondata di ricoveri d’urgenza dei pazienti tenuti in sorveglianza attiva per 10-15 giorni, ma che non sono stati visitati e valutati clinicamente e che ancora sono in attesa di tamponi.
La mappatura di questi pazienti, asintomatici o paucisintomatici, e di tutti i familiari dei casi conclamati è oltremodo indispensabile per non incorrere in un circolo vizioso, con ondate di ritorno dei contagi appena finirà il ” lock down”
Hand in cap (Dott.M.Milazzo)
Breve racconto autobiografico per la festa del papà
Non ho mai portato baffi né coppola e le foto antiche che ritraevano madri in piedi dietro austeri padri seduti, circondati da tre, quattro figli maschi con le figlie femmine messe ai margini, mi hanno fatto sempre sorridere e riflettere sui tempi passati: allora il figlio uomo rivestiva valore superiore per il fatto che garantiva la continuità della stirpe e la prosecuzione del lavoro nei campi o nelle officine, entrambi motivi legati, in qualche modo, alla sopravvivenza.
Ma quando un’ecografia ci informa che nella primavera del 2008, a distanza di undici anni dall’ultima di tre figlie, avremmo ripreso ad acquistare pannolini non più con i disegnini rosa, devo ammettere che ho gioito pur considerando i rischi di una gravidanza di genitori più vicini ai cinquanta che non ai quarant’anni.
Altro effetto collaterale del referto è stato quello di fare scattare in me un mal controllato meccanismo chiamato “aspettativa”. L’aspettativa può essere un tipo di attesa profonda e leggera, ma può essere vissuta come pesante e vincolante, che grava su di noi inchiodandoci nel modo in cui gli altri ci vedono ed in cui noi stessi ci vediamo, togliendoci quindi libertà di visione e di scelte.
Sono l’unico fratello maschio insieme a due sorelle femmine e mio padre è figlio unico: il mio prossimo nascituro è quindi l’unica possibilità di non fare morire il mio cognome. Maschio e magari medico anche lui, come il nonno e il padre. Erano pensieri che affioravano, non lo nascondo, alimentando in me aspettative.
Nasce Stefano. Diagnosi di sindrome di Down quasi immediata. Ci sono voluti giorni, forse mesi, ci è voluta la mia famiglia, i miei amici, le mie radici cristiane, ma soprattutto ci è voluta la sua presenza nella mia vita per capire che lui non era il problema ma la soluzione, come può succedere per una medicina miracolosa che risolve una patologia grave senza provocare effetti collaterali.
Stefano guarisce la mia ammalata identità di genitore perché con lui la mia paternità si realizza in tutta la sua pienezza diventando libera, finalmente: le aspettative scompaiono per lasciare il posto al figlio generato non in quanto proiezione di me stesso ma in quanto persona con la sua identità, il suo progetto, il suo potenziale. E se un vero padre deve vivere perché il figlio realizzi il suo progetto di vita, con lui divento compiutamente padre.
C’è di più: questo figlio fa crollare le aspettative riposte nel progresso sociale e nelle scoperte scientifiche. Un contesto social-scientifico che ti invita quanto meno a prendere in considerazione la possibilità di non far nascere Stefano (ricordo la risma di documenti firmati per liberare medici e Stato dalla responsabilità di avere rifiutato l’amniocentesi per eventuali fini abortivi) quanto meno deve avere qualche falla.
Ancora. Stefano ci guida nel mondo della disabilità aiutandoci a scoprire che ciò che accomuna abili e disabili è il sentirci inadeguati di fronte al non previsto, al diverso e al bisogno di abilità. Ma lui è un esempio di realizzazione ed è perfettamente felice così come è. Se ne infischia dei buoni esempi: ha un progetto e vuole che si realizzi quello, non un altro. Dice Einstein: “Se chiedi ad un pesce di salire su un albero lui crederà per tutta la vita di sentirsi uno stupido”.
I figli disabili sono un’accusa formidabile contro il cliché dell’uniformità, contro la stupidità umana che affiora storicamente in tempi diversi ed in modi sempre nuovi, nel mito dell’essere perfetto, del corpo perfetto, degli occhi perfetti, della camminata perfetta.
Loro, inevitabilmente, entrano a far parte delle nostre comunità per far sbilanciare, da un lato, tutte le nostre certezze consolatorie su cui si fonda la comune visione del mondo e per renderci invece stabili, dall’altro, in quello che è il valore della persona: un essere-costruttore di relazioni autentiche fondate sulla reciprocità più disinteressata, che permette a ciascuno di liberamente amare e liberamente essere amati.
Scritto dal padre di un figlio disabile e dedicato a tutti i genitori.
Marco Milazzo – ass.vita21enna@gmail.com
Hand in cap (Dott.M.Milazzo)
La vita, le parole e gli obiettivi di Andrea Fornaia
Ho puntualmente osservato che diventare “prossimo” di un disabile ha vari effetti benefici. Uno di questi è quello liberatorio rispetto alla nomenclatura della disabilità stessa e a tutti i nomi utilizzati per definire chi ne è portatore: disabile, diversamente abile, portatore di handicap, diversabile, ognuno con una componente più o meno stucchevole. Ne conosci profondamente uno e, come per magia, tutte le parole che, nel tempo si erano accumulate nel tuo pensiero, scompaiono lasciando spazio solo all’idea di persona.
Andrea, che abita ad Enna, per me è stato uno dei primi a guidarmi in questa comprensione. Quando mi capita di avvistarlo da lontano, lo riconosco subito, per la sua andatura tipica, lenta. Trentasette anni, affetto da tetraparesi spastica, lo definisco un “pedagogista della disabilità”: così come altri che conosco profondamente, egli svela chi è il disabile oltre le apparenze, insegna a non averne paura e mostra quale valore possa rivestire per la comunità. Solo per questo gli dovrebbe essere riconosciuto un titolo, oltre a quello che già possiede, ed una retribuzione. Se poi lo vedi da vicino non puoi non restare colpito dal suo sguardo sorridente, dalla sua capacità d’ascolto, dalla sua vivida intelligenza e della sua vis comica.
Ci sediamo in un bar. Un caffè, un ginseng e un po’ di domande, alle quali risponde con sorridente pazienza se per caso gli chieda di ripetere la risposta, perché la sua tetraparesi coinvolge anche i muscoli fonatori.
La tua fanciullezza fu caratterizzata da un episodio terribile. Ci racconti?
E’ vero. Un giorno seppi che mia madre era morta poco dopo avermi messo al mondo: la mia vita iniziò così. Dopo qualche anno mio padre si risposò con Maria, la mia seconda mamma. Lei, innamorata di papà e dei suoi figli, fu consapevole che il suo “si” aveva in sè un “di più”: un “si” d’amore per il suo sposo, per me, mia sorella e per la volontà di Dio, da credente quale era. E subito si mise al lavoro. Mamma Maria, una brava maestra dell’infanzia, fu la prima che non permise che mi sentissi diverso dagli altri. Per questo mi inserì fin da subito in una classe con bambini della mia età. Col senno di poi oggi mi rendo conto che iniziare così le scuole è stato fondamentale per ricevere la forza necessaria che mi permise anche di laurearmi.
D’altra parte un problema c’era, quello della mia autonomia: fino all’età di nove anni non riuscivo a fare un passo senza aiuto. Sono stati papà, mamma e i fisioterapisti del centro A.I.A.S. Onlus di Enna a darmi gli stimoli giusti per mettermi in piedi ed iniziare a camminare. A volte, pur di facilitare i miei spostamenti, avrei desiderato una sedia a rotelle, ma i miei genitori, che vedevano in essa una resa alla mia disabilità, non hanno mai permesso che la usassi, certi che in questo modo avrei camminato prima. E non si sbagliavano. Adesso esco da solo e cammino per molti metri.
E Andrea studente?
I miei successi scolastici iniziarono solo dopo la scuola dell’obbligo, perché fino ad allora studiai senza mai impegnarmi molto. Al liceo misi la testa a posto ma solo dopo un periodo molto difficile: conseguita la licenza media, caddi in uno stato d’ozio, arrivando a guardare anche dodici ore al giorno la TV, senza mai uscire di casa. Alle mie capacità credettero più i miei insegnanti che io stesso: non volli tornare sui banchi ma pensai di frequentare un corso per imparare ad usare il computer, anche per il fatto che mi sarebbe stato utile per vivere meglio la mia disabilità. Ma dentro di me ebbi ben presto la consapevolezza che se non avessi continuato a studiare, il pc sarebbe stato solo uno strumento inutile un pò come quando hai un’automobile senza possedere la patente. Stanco di stare a casa, decisi di frequentare il liceo ma nel frattempo giunse novembre e l’unica scuola che accolse la mia domanda di iscrizione fu il Magistrale. Questa circostanza rappresentò per me una vera fortuna: per i miei compagni di classe, anzitutto, che non mi fecero mai pesare la mia disabilità, per una in particolare, Sonia, con la quale iniziò una sana competizione per chi fosse il più bravo, e per i miei bravi insegnanti: fu davvero un’esperienza di vera inclusione, che mi portò a condividere con i miei amici pure le “caliate” (1) , oltre che, per esempio, esperienze come i laboratori teatrali con gli stage a Taormina.
Poi ti sei iscritto all’università.
Anche in questo caso ebbi accanto un amico, Mario, che mi invogliò ad iscrivermi in Scienze politiche. L’inizio fu difficile: cambiare metodo di studio, la mancanza di una figura che mi facesse da insegnante di sostegno, gli spostamenti da casa all’università. Spesso accadde che mio padre, artigiano falegname, per quattro volte in un giorno doveva accompagnarmi e venirmi a prendere: scherzando, ma neanche troppo, tutt’ora parlo di lui come un uomo dotato di poteri speciali.
Al terzo anno fui affiancato da due “tutor alla pari”, che mi supportarono fino alla laurea. Ricordo anche le attenzioni della bibliotecaria, che mi diede una mano ben oltre il suo compito. E poi il rapporto con colleghi e professori, bellissimo. La laurea fu una grandissima festa per tutti i miei cari, oltre che per me.
E dopo?
Nel mio percorso di autonomia, che ha creato ai miei genitori molte… tachicardie per la mia inguaribile intraprendenza, mi sono ritrovato a fare esperienze molto interessanti.
Da poco tempo sono stato nominato Responsabile alla comunicazione del Comitato Consultivo dell’Asp di Enna è questo grazie a chi ha creduto in me: il dottor Gianluca Vece, Presidente Anmic di Enna e il dottor Tommaso Careri Presidente del Comitato Consultivo dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Enna. Spero che anche in questo nuovo compito sarò in grado di soddisfare le aspettative di coloro che hanno creduto delle mie capacità.
Ho anche svolto il ruolo di consigliere e vice presidente dell’A.I.A.S onlus di Enna, svolgendo in esso anche incarichi lavorativi. Il rapporto con i signori Zacco, responsabili del centro, e con i fisioterapisti, è una delle cose più belle che porto dentro di me.
E poi c’è il capitolo dell’UNITALSI. Da quando vi faccio parte, grazie alle persone che vi ho incontrato, e penso a Liborio, Marcella, Fabio, Adriana, Angelo, Laura, Gaetano e molte altre, sono riuscito a trovare un altro punto di riferimento per la mia formazione cristiana e per i miei processi di aggregazione. Nonostante sia un’associazione che sostiene le persone ammalate, anche lì mi sono sentito uno come tutti, tanto che una delle amiche volontarie, Laura, quando mi definisco “ammalato”, mi dice “malato, chi?” A volte sono io che mi sento diverso dagli altri ma solo quando mi pongo dei limiti. Poi mi accorgo di riuscire a raggiungere tutti gli obiettivi che mi prefiggo, con la mia forza di volontà.
Andrea continua la sua narrazione, parlando di giornalismo (scrive per Dedalo, un rotocalco ennese), del suo blog (“Informabilmente”), dei viaggi a Lourdes, dei suoi brevi incarichi lavorativi, della sua fede talvolta messa alla prova. Parla con pacatezza, rammaricandosi, questo sì, delle inesistenti possibilità di lavoro che una persona disabile possa avere nel nostro territorio e del suo sogno, che sta costruendo con altri: una cooperativa sociale per dare lavoro ad abili e disabili. Parla molto dei suoi amici, ai quali è molto legato e grato, per l’aiuto che gli fanno giungere.
Ma, per quel meraviglioso e talvolta misterioso scambio di doni che è l’amicizia, chi ha la fortuna di conoscere Andrea sa bene quanto egli possa ricevere da lui, in misura assai maggiore di quanto possa a sua volta offrirgli.
- In dialetto siciliano caliare vuol dire marinare la scuola.
Marco Milazzo
ass.vita21enna@gmail.com
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