Editoriali

La pandemia ha cancellato l’ansia di uscire

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Mi ha molto colpito la traccia di questo titolo, apparsa su uno dei tanti articoli di approfondimento, che i quotidiani italiani stanno riservando alla pandemia. Seguo molto le interviste rivolte a psichiatri e psicoterapeuti, che nell’ultimo anno si sono visti triplicare gli impegni. E’ come se ci fosse una popolazione malata psichicamente che viaggia parallelamente ai contagiati del virus. Voglio porre l’attenzione sui tanti giovani che si sono isolati a causa della pandemia; chiusi nelle loro camere, confondendo a volte il giorno con la notte a causa delle tapparelle chiuse. Il loro specchio è il monitor del computer, nessun contato con la vita reale se non per mangiare o andare in bagno. Non hanno più amici. E’ la cosiddetta “generazione hikikomori”, fenomeno nato in Giappone, cresciuto esponenzialmente in tutto il mondo per gli effetti dell’emergenza sanitaria. “In effetti questi ragazzi fanno una scelta, afferma Marco Crepaldi, dell’Associazione Hikikomori; decidono di stare soli nella loro stanza dove trovano conforto e di evitare la società, dove soffrono; il problema è quando la scelta diventa una gabbia da cui non riescono più a uscire perché, avendo una considerazione negativa degli altri, rifiutano il soccorso esterno”. Ciò che preoccupa maggiormente sono la depressione, l’ansia, la ludopatia e la dipendenza dalla pornografia. Con molta probabilità i genitori sono allo scuro degli effetti devastanti che può avere l’isolamento dei figli, lasciati per diverse ore davanti una playstation, collegati con altre persone come loro. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), considera la dipendenza da videogame, conosciuta anche come “gaming disorder”, una malattia mentale. E’ stata infatti inserita nell’ultimo aggiornamento dell’elenco di tutte le patologie, l’International classification of diseases (Icd). Secondo la ricerca Espad 2018 sono 270mila i ragazzi che nei confronti di internet hanno un comportamento “a rischio dipendenza”. Lo testimoniano le tante storie di giovanissimi finiti in terapia per uscire dall’ossessione dei giochi online. Come salvare allora questi ragazzi che già prima della pandemia facevano una vita riservata e che adesso, rifiutano il mondo esterno, assumendo anche atteggiamenti polemici verso la politica e l’autorità precostituita, genitori compresi?  Secondo quanto riferisce l’associazione, in Giappone esistono volontari, per lo più ragazze, che vanno nelle case e aspettano ore e anche giorni, prima di essere accettati dai ragazzi in autoisolamento. Ma ci sono anche i cosiddetti “estrattor”, persone che intervengono con la forza per portare i ragazzi in comunità. “In Italia non esiste niente del genere”, dice uno dei responsabili dell’associazione che sta portando avanti dei progetti sperimentali, in cui educatori professionisti, adeguatamente formati da psicologi, si recano a casa dei ragazzi in isolamento sociale e cercano di aiutarli direttamente a domicilio. “Uscirne è possibile, dicono gli esperti, ma molto dipende dalla rapidità dell’intervento e dalla rete sociale che si riesce a costruire intorno al ragazzo”.

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