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Il Casellante di Andrea Camilleri al Biondo di Palermo
Non è esagerato descrivere l’opera, pubblicata da Sellerio, e portata in scena al Teatro Biondo di Palermo, dal regista catanese Giuseppe Dipasquale, “Il casellante”, come una perfetta macchina drammaturgica. Te ne accorgi già entrando in sala, e ti ritrovi il sipario aperto; una sorta di invito a entrare in un mondo quasi fiabesco ma che nasconde il dolore e il dramma umano. La coppia “Moni Ovadia – Mario Incudine”, funziona perfettamente, sono affiatatissimi; li avevamo apprezzati nelle “Supplici” di Eschilo, andate in scena nello splendido scenario del teatro greco di Siracusa nell’ambito del 51° ciclo di rappresentazioni classiche. In quella occasione Mario Incudine, musicista e attore, entrava in scena con un pittoresco risciò. Lo ritroviamo a teatro come una sorta di traghettatore di anime, condotto appunto dal casellante, lungo i binari della ferrovia, con uno sfondo rude come la campagna siciliana. La musica è parte fondante dello spettacolo; a volte si ha la sensazione di stare dentro un musical; le note si trasformano in parola e assumono un linguaggio senza tempo. Incudine non ha scritto soltanto la colonna sonora di questo spettacolo, che scorre come la pellicola di un film, ma lo interpreta in maniera superba, e lo fa suo da attore e cantastorie. C’è tutta la maturità di un artista che ha saputo assorbire negli anni ogni talento artistico dal quale ha imparato, studiando, tutti i trucchi del mestiere non solo del musicista poliedrico ma soprattutto dell’attore, in quel memorabile “cuntu” che scorre nelle vene dei siciliani veri. Dal suo mandolino esce l’inno fascista “giovinezza” in versione polka, marcetta o mazurca; geniale! La musica si innesta in ogni frammento dell’ opera, ora lenta, ora serrata, grazie all’esecuzione dal vivo, degli inseparabili compagni di viaggio dell’artista ennese, Antonio Vasta e Antonio Putzu, in scena anche con i costumi da carabinieri confezionati dalla bravissima Elisa Savi. Dai libri di Camilleri, si apprende quella lingua universale che è il “vigatese”, un misto di italiano e siciliano colorato. Ci sono tanti temi in questo spettacolo, l’amore, la gioia, l’attesa di un figlio, la colorata magàra, la mammana del paese, e poi il femminicidio, la violenza, il fascismo, la guerra, i bombardamenti. Guida narrante Moni Ovadia, entra ed esce di scena con la leggerezza di uno straordinario artista che veste i panni di Don Amedeo, il barbiere e ancora il giudice con la toga, il gerarca fascista, il sostituto del casellante che si trasforma in un mostro dalla ferocia inaudita, violentando la moglie di Nino Zarcuto (Incudine), Minica, interpretata magistralmente da quella straordinaria attrice catanese che è Valeria Contadino. Unica donna che domina la scena di entrambi gli atti. Il suo amore per Nino è infinito, anche quando si trasforma in albero con le radici pronta a generare quella maternità negata dalla violenza. Sulla scena anche una vecchia sedia da barbiere e l’ambientazione un po’ pop anni 40 di una barberia dove di snodato le storie dei personaggi. Il casellante Nino ha la passione per la musica e le serenate, e le esegue in coppia con il suo compare Totò, un bravo Giampaolo Romania. Sulla sedia, a farsi la barba, ma anche a vestire i panni del “puparo”, in gergo mafioso, Don Simone, il consolidato attore catanese Sergio Seminara.
“Mentre scrivevo “Il casellante” mi sono abbandonato a una sorta di tentativo di poesia in prosa: anche la scrittura è diversa, pur mantenendo il suo rigoroso “vigatese”. È più fantasiosa, più libera, più ariosa, vira e volteggia intorno alla fabula. E ha ragione l’autore, uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo, Andrea Camilleri, quando dice che il regista usa il palcoscenico come spazio aperto, come spazio della fantasia assoluta, dove il racconto trova con semplicità la sua sede naturale, utilizzando pochissimi mezzi scenici e affidando tutto il resto al canto e alla parola. Ma questo per me è il teatro, la libertà di distaccarsi dal testo pur fornendo la stessa chiave di lettura e rimanendo a fuoco sul tema, con l’obiettivo di lasciare immaginare il pubblico, trascinarlo verso la scoperta di se stesso ma attraverso un’altra dimensione». Gli fa eco il regista Giuseppe Di Pasquale, che dello spettacolo cura anche le scene: “ Il casellante è rimasto integro, ha una stabilità narrativa che è stata calata di peso nella solidità drammaturgica, questo anche perché ha la forza mitologica che l’autore ha voluto dare alla storia”.