Cultura
Antonio Bruscoli KADAMOU
Per un giorno le minuscole sedie per i bambini dell’asilo de: “La Casetta nell’orto”, l’ eco scuola dell’infanzia di via Ernesto Basile a Palermo, sono state occupate dagli adulti che per quasi 3 ore hanno assistito ad una conferenza di uno dei medici di frontiera di Emergency, l’organizzazione umanitaria fondata da Gino Strada, presente in molte aree di crisi nel mondo con i suoi ospedali. L’iniziativa è stata promossa da Irene Alabastro, un’insegnante di scuola media dell’istituto Politeama, da sempre sensibile alle tematiche sociali e della solidarietà. L’occasione è servita a presentare un libro il cui autore, Antonio Bruscoli, medico chirurgo da trent’anni, racconta, come una sorta di diario, la giornata di un’équipe sanitaria di Emergency impegnata a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, coinvolta in pieno dal cruento colpo di stato del 2013. Amore e odio, paura e speranza sono i sentimenti dominanti in una realtà spietata, fatta di morte e povertà. Esordisce dicendo: “io non lavoro per Emergency, io sto con Emergency”. Laureato alla Sapienza di Roma, Bruscoli ha finito tutte le sue ferie, ed è in aspettativa dall’ospedale in cui lavora, per questa grande attrazione verso le missioni umanitarie all’estero, in Angola, Sierra Leone, Repubblica Centrafricana. E così tra una partenza e un ritorno, un anno è rimasto in Africa 9 mesi, ma il tempo giusto, lui dice è 3 mesi, si impegna a promuovere la cultura della pace contro la guerra. E lo fa con questo bel volume dal titolo “Kadamou, l’Africa negli occhi di un medico italiano”. Il Kadamou è un copricapo delle donne africane che viene usato per ripararsi dal sole, per trasportare il cibo, per reggere i bambini sulle spalle. E subito il pensiero che in Africa non ci sono soltanto bambini soldato, ma anche bambine. Pagine che raccontano di una nazione che ha subito un cruento colpo di stato, devastata e in balia dei signori della guerra. Pensieri, immagini, impressioni, ricordi, parole affollano la mente del protagonista, che insieme ai membri della famosa organizzazione umanitaria cercano di salvare le vite di innocenti, disperati, schiacciati dalle sofferenze e dalla violenza. “Kadamou, mi piaceva, dice con voce calma Bruscoli, la mattina precedente ai bambini e il giorno successivo ai loro genitori; era musicale, evocava qualcosa di antico e misterioso allo stesso tempo, faceva pensare al sole, alla sabbia, al mare. Il titolo fa da testata a una foto suggestiva, scattata da Camille Lepage, fotoreporter francese di 26 anni uccisa nel centro Africa. Lui non voleva inserirla, aveva scelto un giovane con lo sfondo della distruzione; ma l’editore Falco, lo ha convinto perché ha voluto ricordare la frase lasciata dalla ragazza poche ore prima di morire: sono qui per dare la memoria a un popolo che non ne ha. Ma la giornata che viene narrata fin dall’inizio si annuncia particolare. L’emergenza, che a Bangui fa parte della quotidianità, è attesa ma nello stesso tempo giunge inaspettatamente, senza preavviso, entrando con prepotenza nelle vite dei protagonisti. Il sangue freddo, il coraggio d’agire e la paura di non essere in grado di fare ciò che si è chiamati a compiere: tutto questo in poche, pochissime ore. Non esistono differenze tra bianco e nero, ricco e povero, curiamo tutti e gratuitamente. Sullo sfondo i paradossi dell’Africa dove l’estrema ricchezza convive con l’estrema povertà». Durante la presentazione del libro sono stati proiettati diversi filmati crudi e toccanti, che hanno descritto la tragedia e la forza dell’Africa: bambini malati, deformi, con evidenti traumi sul corpo, insieme ai grandi sorrisi delle donne e alla dolcezza dei più piccoli. «Da occidentali pensiamo che chi sta dall’altro lato del mondo non abbia memoria: noi siamo ricchi di memoria, ma stiamo perdendo l’amore e la solidarietà ben presenti invece in Africa – ha commentato Bruscoli -. Questo libro è fatto di persone e fatti realmente accaduti. Il viaggio attraverso l’Africa – ha proseguito – è stato in realtà un viaggio attraverso il mio corpo, immerso in una realtà nuova che è quella delle donne africane. Questo libro è la testimonianza di quello che ho ricevuto lì. Da medico non posso risolvere la guerra, ma devo prendermi cura delle vittime di guerra. Cooperare vuole dire lavorare con persone, e alla base c’è l’amore. Parla anche del concetto di povertà; è come dovere morire. Al termine dell’incontro tra una foto e un autografo Bruscoli saluta e annuncia la sua partenza, fra 48 ore con una nuova equipe, guidata da una infermiera, perché in missione non c’è gerarchia o baronato, Michela Deliguanti, caposala di uno degli ospedali più grandi di Milano. Ritornerà fra 3 mesi e ricomincerà un nuovo tour di informazione e promozione della cultura di pace.