Cinema
Cinema e Massoneria un binomio misterioso e sorprendente
E’ tornato nella sua Palermo, per presentare orgoglioso la sua ultima fatica letteraria, che gli è costata anni di intense ricerche, su un argomento, la massoneria nel cinema, tanto complesso quanto ambiguo e misterioso. Vincenzo Sacco, classe 1987, esordisce nella sala del Magneti Cowork a pochi passi da piazza Politeama a Palermo, dicendo di essere nato il 28 dicembre, cento anni dopo la prima proiezione pubblica del cinematografo dei fratelli Lumière nel seminterrato di un locale parigino. Ad appena 5 anni guardava Rocky IV e Commando, mentre i film che lo hanno affascinato di più: King Kong, I guerrieri della notte e L’armata delle tenebre. La svolta a 8 anni con la visione continua di una vhs, ormai ricordo vintage, del capolavoro di Quentin Tarantino, Pulp Fiction. Invitato dal librario ed editore Nicola Macaione, Sacco ha dialogato con il gran tesoriere aggiunto del Grande Oriente d’Italia, Giuseppe Trumbatore, che poche ore prima aveva inaugurato la casa massonica, aperta al pubblico, in piazzetta Speciale. Una risposta ai promotori della legge approvata dall’Assemblea regionale siciliana che obbliga i politici a dichiarare l’appartenenza a logge massoniche. “Un’occasione ha detto in conferenza Trumbatore, per poter vedere con i propri occhi gli ambienti ricchi di simbologie, porre domande e confrontarsi con il mondo dei massoni, certamente riservato, ma non segreto”. E di segreti Vincenzo Sacco ne ha svelati tanti nel suo libro, partendo da un punto di osservazione privilegiato, quello di cinefilo. Autore dei romanzi Pornozeus e Il ragazzo che non voleva morire, la sua specializzazione dopo gli studi è stata la distribuzione cinematografica di oltre cinquanta lungometraggi italiani e internazionali e l’organizzazione di numerosi eventi cinematografici di successo. Oggi è direttore della divisione distribuzione di “Altre Storie”. Ma chi è Vincenzo sacco? Maturità classica al Don Bosco Ranchibile, la triennale all’Università di Palermo, sotto la supervisione di uno dei più bravi ricercatori sull’innovazione tecnologica applicata al cinema, Simone Arcagni, Sacco scrive una tesi dal titolo: “Gli appunti di Pier Paolo Pasolini: dal film da farsi al farsi del film”. A 21 anni decide di fare la magistrale a Torino, laureandosi con il massimo dei voti e la lode in “Discipline Cinematografiche”, con una tesi dal titolo: “Cinema e Massoneria: storia e immagini segrete”, relatrice la professoressa Giulia Carluccio della Facoltà di Scienze della Formazione; una lunga ricerca fatta di testi criptici, film, citazioni, simboli che lo spingono a 26 anni a pubblicare il suo primo libro che, nel panorama nazionale, è unico nel suo genere. 392 pagine edite da Rogas, in cui Sacco si è lasciato trasportare da una ricerca scientifica lunga, e come lui stesso l’ha definita, lucida. Non è facile maneggiare un argomento come la massoneria e scoprire che ne facevano parte grandi del cinema come Stanlio e Ollio, John Wayne o il nostro Totò. Screens Wide Shut è un saggio robusto, fatto di centinaia di citazioni, con una guida a film che hanno tracce palesi e nascoste sulla massoneria, mai vista prima d’ora. La carrellata di film è infinita, fra tutti spicca Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick titolo che ha ispirato il libro; ci sono molte scene che richiamano i riti iniziatici della libera muratoria, in quella del sommo sacerdote, con il manto rosso, che siede su un trono, si scorge un simbolo, caro alla massoneria: un’aquila bicipite sormontata da una corona. Il rapace a due teste è uno dei riferimenti più antichi, rappresenta il 33° grado della Massoneria, il massimo livello raggiungibile. Nell’industria cinematografica vi è dunque un elevato numero di attori, registi e produttori legati alla massoneria: I simboli più o meno nascosti si scorgono anche nei dettagli che spesso sfuggono ma che diventano veri e propri messaggi subliminali. Scorriamone alcuni: nel film Sherlock Holmes del 2009 il famoso investigatore viene convocato dal Gran Maestro della massoneria; lo riconosce dall’anello con il simbolo del toro e dalla scultura in ferro del tempio dei 4 ordini. La Squadra e il compasso sono i simboli per eccellenza; si trovano incisi negli anelli che portano sul set alcuni attori, come nel film Operazione Apocalisse, o I Guardiani della notte; disegnati sulla racchetta da tennis in Match point di Woody Allen. Nel Mistero dei templari, con Nicolas Cage, la scena d’apertura è una vera iniziazione tra nonno e nipote, quando viene mostrato il dettaglio del dollaro, l’occhio sopra la piramide, simbolo che richiama gli Illuminati. Che dire della spilla appesa al collo dello stregone nell’arena di ferro nel film Mad Max, oltre la sfera del suono con la strepitosa Tina Turner. Nel film The Good Shepherd, l’ombra del potere, diretto da Robert De Niro, Matt Damon prende parte a un rito iniziatico massone. Da evidenziare che la cinematografia americana da sempre ha avuto un atteggiamento più rilassato nei confronti della massoneria, già i Padri Fondatori della Costituzione venivano spesso associati a ordini massonici. Il lavoro di Vincenzo Sacco continua, è aggiornato al 2018, sono stati lasciati fuori molti altri film, ecco perchè la ricerca è in movimento e in continuo aggiornamento, per un tema “cinema e massoneria” che impatta su fonti a volte false a volte misteriose e sfuggente
Cinema
Le Giornate del cinema per la scuola
Al via le Giornate nazionali del cinema per la scuola: l’inaugurazione con il Sottosegretario Borgonzoni
La senatrice aprirà lunedì 4 novembre le Giornate nazionali del cinema per la scuola 2024, promosse dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura in collaborazione con Anec
Sarà la sottosegretaria alla Cultura, Lucia Borgonzoni, ad aprire lunedì 4 novembre le Giornate nazionali del cinema per la scuola 2024, promosse dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura in collaborazione con Anec (Associazione Nazionale Esercenti Cinematografici), nell’ambito del Piano nazionale cinema e immagini per la scuola. Per il secondo anno consecutivo, docenti e dirigenti scolastici di tutta Italia si riuniranno a Palermo, presso i Cantieri Culturali alla Zisa, trasformati fino al 6 novembre in una grande “Città del cinema per la scuola”. Il programma prenderà avvio alle 15:00 con la cerimonia inaugurale al Cinema De Seta, promossa dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura.
L’inaugurazione con il vice ministro
La cerimonia sarà aperta dai saluti del sottosegretario alla Cultura, Lucia Borgonzoni, e vedrà la partecipazione del direttore generale della Direzione Generale per la Comunicazione e le Relazioni Istituzionali del Mim, Giuseppe Pierro, e di Bruno Zambardino, referente per il Piano Nazionale Cinema per la Scuola presso la Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del Mic, che illustreranno le novità del Piano Cips. Alle 16:30, avrà luogo la presentazione dei film in uscita destinati al pubblico scolastico, a cura di Circuito Cinema Scuola e delle case di produzione e distribuzione Universal Pictures e Warner Bros, che presenterà il suo ultimo film d’animazione: Buffalo Kids di Juan Jesús García Galocha e Pedro Solís García (Spagna 2024, 93′), uscito nelle sale il 31 ottobre.
Alle 20:30 si terrà l’evento di punta della prima giornata: la presentazione in anteprima nazionale del film Criature (Italia 2024) di Cécile Allegra, tratto dall’omonimo romanzo della stessa autrice e previsto nelle sale dal 5 dicembre. Al Cinema De Seta, lunedì sera, sarà presente la regista Cécile Allegra, accompagnata da un collegamento in diretta con l’attore protagonista Marco D’Amore, noto per il suo ruolo nella serie Gomorra.
Fonte: cinecittanews.it
Cinema
REAL al Festival dei Popoli
‘REAL’, al Festival dei Popoli l’anteprima del film di Adele Tulli
Una produzione Pepito Produzioni e FilmAffair con Rai Cinema e Luce Cinecittà in collaborazione con Les Films d’Ici. In sala dal 14 novembre con Luce Cinecittà
Arriva nei cinema dopo l’acclamata prima mondiale all’ultimo Festival di Locarno e il Premio della Giuria al Festival del Film di Villa Medici dedicato al rapporto tra cinema e arti contemporanee, REAL, il nuovo film di Adele Tulli. Real sarà presentato in anteprima al 65. Festival dei Popoli, il più antico appuntamento del cinema documentario d’Europa, domenica 3 novembre alle 19.30 al Cinema La Compagnia di Firenze, alla presenza della regista.
Dopo il successo della sua opera prima Normal (presentato alla Berlinale, vincitore della Menzione Opera Prima ai Nastri d’Argento e acclamato in numerosi festival internazionali), Real sbarca sugli schermi il 14 novembre, distribuito da Luce Cinecittà. Il film è prodotto da Pepito Produzioni e FilmAffair con Rai Cinema e Luce Cinecittà, in collaborazione con Les Films d’Ici. La distribuzione internazionale è affidata a Intramovies.
Adele Tulli scrive e dirige un nuovo viaggio visionario, poetico e inatteso dentro un mondo in cui siamo quotidianamente immersi, talmente abituale da non farci più rendere conto di quanto sia in realtà sconosciuto ed estraniante: il mondo digitale. Una realtà che ha rivoluzionato le vite di tutti e che il documentario esplora con lenti tecnologiche, creative e relazionali. Con uno sguardo inedito e curioso, Real ci porta in un territorio ineffabile, alieno e al contempo familiare.
Scritto e diretto da Adele Tulli, REAL vede la fotografia di Clarissa Cappellani e Francesca Zonars, il montaggio di Ilaria Fraioli e Adele Tulli, le musiche originali di Andrea Koch e la produzione creativa di Laura Romano. È prodotto da Agostino Saccà per Pepito Produzioni, Valeria Adilardi, Luca Ricciardi, Laura Romano e Mauro Vicentini per FilmAffair, in collaborazione con Charlotte Uzu di Les Films d’Ici.
La sinossi di Real
Reale [dal lat. mediev. realis, derivato di res “cosa”] – 1. Che è, che esiste veramente, effettivamente e concretamente. La nostra concezione comune di “realtà” era fatta di oggetti tangibili, di relazioni corporee, di esperienze ed eventi in spazi fisici. Tuttavia, un processo inarrestabile di accelerazione digitale ha trasformato radicalmente il nostro pianeta, le nostre società e noi stessi: i dispositivi digitali non sono più semplici strumenti, ma porte d’accesso a una nuova realtà. I nostri smartphone e computer ci conducono in un universo aumentato in crescita esponenziale, che esperiamo quasi sempre senza contatto fisico. Un mondo digitale dove trascorriamo la maggior parte del nostro tempo, cercandovi felicità, soddisfazione, rapporti, conoscenza e nuove esperienze. Ma allora, cosa è oggi ‘reale’?
R E A L è un viaggio filmico, visionario e coinvolgente nel mondo disincarnato della rete, un multiverso digitale parallelo in cui ogni cosa esistente è trasformata dalla fisica degli atomi alla logica dei bit. È un documentario creativo che esplora la trasformazione dell’esperienza umana nell’era digitale, facendo luce sui molti aspetti, a tratti perturbanti, della vita iperconnessa: i protagonisti – umani, robotici, virtuali – affrontano relazioni digitali, lavori virtuali, cybersessualità, abitazioni e città futuristiche, automatizzate e sorvegliate. Raccontano una cultura dell’autorappresentazione, di nuove dipendenze e patologie, di alienazione e isolamento, ma anche di identità libere dai confini fisici del corpo.
R E A L adotta uno sguardo sperimentale, utilizzando poeticamente le stesse tecnologie che definiscono il mondo digitale: visori, webcam, smartphone, videocamere di sorveglianza e sguardi meccanici che ci accompagnano in un nuovo modo di vivere la realtà. Senza risposte o giudizi, ma con la curiosità di uno sguardo che esplora un nuovo pianeta, Real ci conduce al di là e al di qua di un confine incerto.
Cinema
Pupi Avati e il conformismo
Pupi Avati, o “l’anticonformismo del conformismo”
La presentazione del volume ‘Pupi Avati fuori dal cinema italiano’ al Museo Etrusco di Roma, alla presenza dei fratelli Avati. Steve Della Casa intervista il regista e l’autore del libro, Massimiliano Perrotta
“Il mio libro inizia con una cena a casa di Laura Betti, dove Pupi Avati era appena arrivato da Bologna con due film che erano andati male. E proprio lì, dove c’erano Bellocchio, Bertolucci, Moravia, Pasolini… gli scappò detto ‘io sono democristiano’: la cosa più conformista, che però in quel consesso coincideva col massimo dell’eresia. Su questo paradosso, su questa contraddizione, lui ha costruito la sua carriera e io ho costruito il mio libro”.
Così Massimiliano Perrotta presenta al pubblico il suo Pupi Avati fuori dal cinema italiano in una gremita Sala della Fortuna del Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma. Una biografia decisamente sui generis, appena uscita con Edizioni Sabinae, che in otto capitoli raccoglie altrettanti articoli già pubblicati dall’autore catanese sull’’Huffington Post’. Accanto a lui il regista, fresco della Laurea ad Honorem in Italianistica appena conferitagli all’Università Roma Tre, mentre in prima fila siede l’inseparabile fratello, Antonio Avati.
A moderare l’incontro è Steve della Casa, critico cinematografico e direttore artistico, storico conduttore radiofonico di ‘Hollywood Party’ nonché regista, autore e Conservatore della Cineteca Nazionale.
“L’anticonformismo del conformismo è la chiave di lettura che il libro dà alla carriera di Pupi Avati”, rimarca Della Casa, dopo aver presentato il regista, accolto da un lungo applauso, come ‘il più grande affabulatore che ho conosciuto nella mia carriera’: “una carriera che ha parecchi punti che sorprendono, come dimostra il volume stesso. Ad esempio quando qualche anno fa ho scoperto che gran parte dell’ultimo film di Pasolini, Salò, è stato scritto da Pupi Avati, rispetto ai suoi lavori successivi mi sembrava una cosa eccentrica. Invece poi non lo è affatto. Questo libro è molto interessante e controcorrente, perché è una biografia non esaltatoria del soggetto e non ha un’esigenza di completezza: racconta un preciso punto, la posizione eccentrica di Pupi Avati all’interno della galassia del cinema italiano”.
“Il libro di Massimiliano (Perrotta, ndr) apre con la storia di quella cena, ma non è che io sono arrivato là e ho detto così, dal nulla, ‘sono democristiano’”, precisa ridendo Pupi Avati, che prende la parola confermandosi esattamente nel ruolo in cui è stato presentato e snocciolando anche in questa occasione decine di aneddoti più che divertenti sui suoi 85 anni di vita, di famiglia e di cinema, spesso mimando il racconto la voce con vere e proprie gag.
“Quello era il risultato di una serie di considerazioni di noi che arriviamo a Roma (io e mio fratello Antonio, ndr) con due ‘cadaveri’ di insuccessi, come allora si diceva”, continua il regista. “Anche dietro alla stessa scelta di questo piccolo nome, ‘Pupi’ Avati, c’era una cultura, un mondo, dei genitori, dei nonni, delle zie, la campagna vissuta nel primo dopoguerra… C’erano le favole contadine terrorizzanti che ci raccontavano prima di andare a letto nelle camere scricchiolantissime, come la favola del ‘prete donna’… E poi c’era la chiesa, l’educazione cattolica preconciliare, piena di inferno e di diavolo dappertutto. Ecco, avendo tenuto dentro di me con riconoscenza quell’immaginario che si è andato a formare laggiù, in quel tempo remoto, con una grande nostalgia… Perché allora non c’era niente, a parte i campi… E allora riempivi quel niente con l’immaginazione, col racconto orale, che era fondamentale. Magari alcuni dei miei parenti erano pressoché analfabeti, non avrebbero mai saputo scrivere… ma sapevano raccontare. E saper raccontare – come sapeva fare nostra madre, una narratrice fantastica, che da quando salivamo in macchina da via Saragozza a Bologna fino a Roma non si interrompeva un minuto – era una cosa preziosissima. Questa è l’Italia dalla quale vengo, che non aveva quasi nulla, ma aveva tantissimo, perché ti permetteva di immaginare, che oggi è una cosa quasi proibita”.
Tornando al libro, anche per chi non abbia letto in precedenza i suoi articoli online, lo stile del racconto di Perrotta appare esplicito fin dalle prime pagine e non lesina – ora qua ora là – personalissimi epiteti ai grandi maestri della settima arte, destinati a far discutere. Ma anche nei titoli scelti per dividere il volume: si va da Un democristiano nel salotto – dove si racconta la famosa cena di cui sopra – per poi passare a Il Truffaut dell’Italietta, La poesia democristiana, o Agli antipodi del fighettismo, all’interno del quale, ad esempio, l’autore scrive: “Glamour: ecco una parola che non si addice al cinema di Pupi Avati. Egli si colloca agli antipodi del fighettismo artistico e di quello sociale (…). Mentre il fighettismo idolatra i vincenti, Avati simpatizza per i candidi, per gli insicuri, per gli sfigati”.
“Pupi Avati è fuori dal cinema italiano per una ontologica estraneità agli schemi culturali che nell’ultimo mezzo secolo lo hanno dominato”, scrive ancora Perrotta nel primo capitolo: “non ha fede nella storia, non crede nel progresso, non lotta contro il potere, non gli interessano i temi sociali, non si batte per le nobili cause, non vuole denunciare nulla, non racconta la crisi dell’Occidente, non segue le mode, non ostenta citazioni, non è laico. Per la stessa ragione il cinema italiano ama poco Pupi Avati: lo tratta con condiscendenza, premia raramente i suoi film, fatica a riconoscergli lo status di autore con la a maiuscola. (…). Il cinema di Pupi Avati non va rivalutato o sdoganato: va letto con occhi vergini, con occhi postnovecenteschi, con gli occhi di domani”.
“Il cinema di Pupi è personalissimo, senza quella aggressività che altri autori cercano di imporre sulla materia narrata e sulla realtà con la loro cifra”, continua l’autore del libro in sala. “Anche nei riguardi del film horror, lui lo fa a tutti gli effetti, rispettandone i codici ma poi arricchendone il contesto con il suo sguardo. Anche in Salò, certo, c’è la sua firma, ma discreta: non c’è nulla che lui faccia, anche per la tv, che non rispetti quel che gli viene chiesto, e che però sia al tempo un film di Pupi Avati a tutti gli effetti, con tutte le sue cifre stilistiche, ma sempre con discrezione, con quel senso della misura che secondo me è quello che, se da un lato lo rende amabile, lo ha visto penalizzato da parte della critica. Ma il tempo secondo me dà ragione a lui”.
“L’argomento del film di genere, presente nel libro, è una preoccupazione che Pupi ha a livello di prospettiva”, precisa Steve Della Casa. “È molto attento anche a quello che avviene anche dal punto di vista commerciale nel cinema italiano, e alla sua capacità di trovare un pubblico. Praticare il cinema ‘di genere’ è stata una caratteristica del cinema italiano negli anni del suo massimo splendore. Diceva Giuliano Montaldo che se si potevano fare i film di Bertolucci e Pasolini era perché si facevano quelli di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, che incassavano, pensate, quasi il 10% del totale nel cinema italiano, consentendo agli altri di sperimentare. E poi c’era un’osmosi tra cinema d’autore e di genere, che si confrontavano continuamente. Nell’horror che fa Pupi Avati, ad esempio, gli effetti speciali hanno un ruolo piccolissimo, il suo è un horror di atmosfera: la paura ti arriva da altre cose”.
A chiudere la pubblicazione, un’interessante ‘raccolta nella raccolta’ tratta da libri, riviste e/o quotidiani, intitolata Fior da Fiore, che a partire dal 1970 fino al 2024 riporta i punti di vista delle più note firme del grande schermo nei confronti del cinema di Pupi Avati: Miccichè, Farassino, Bignardi, Bertetto, Caprara (Valerio), Anselmi, Fofi, Morandini, Ferzetti (Fausto), Rondolino, Tornabuoni, Crespi, Sarno, Kezich, Nepoti, Brunetta, Mereghetti, Rondi, Mancuso, Salvagnini, Giusti, Zappoli e Siniscalchi.
-
Cocker4 anni ago
Il cocker tanto famoso quanto intelligente
-
In Evidenza5 anni ago
Biagio Conte: “Non vince il virus, Dio è più forte”
-
In Evidenza5 anni ago
Sicilia: zero decessi e zero pazienti in terapia intensiva
-
Cocker8 anni ago
Il cocker è fra i cani più oziosi del mondo
-
Editoriali16 anni ago
L’invidia è la vendetta dell’incapace
-
Cultura8 anni ago
Le stanze ferite: diario di viaggio nella Real Casa dei matti
-
Cocker9 anni ago
Irish setter, cocker spaniel e cavalier king: “I cani rossi adottati prima degli altri”
-
Cultura4 anni ago
La Medusa di Caravaggio in uno studio multidisciplinare