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Cinema

L’ellisse come metafora della vita.

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Il regista Pupi Avati si racconta agli studenti.

Sarà stato forse il target di riferimento, come direbbero i comunicatori esperti, molto più semplicemente, gli studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia e i colleghi dell’Accademia di Belle arti di Palermo, a spingere il maestro Pupi Avati a raccontare a mani nude la sua vita. E lo ha fatto al termine di una lezione aperta, durata quasi un’ora e mezza, moderata dal direttore didattico della scola del cinema siciliana, il regista Roberto Andò, l’ha definita la migliore pedagogia fra quelle a cui aveva mai assistito. “Effettivamente è stato davvero difficile contenere la commozione durante le lunghe pause e i silenzi che Pupi Avati ha rispettato, da perfetto maestro del cinema, ha detto alla fine dell’incontro, Marcello Foti, direttore generale della Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia. I ricordi di Pupi Avati fanno diverse fermate, come il treno che ha voluto raccontare per le Ferrovie dello Stato, ne “Un viaggio lungo 100 anni”. Il suo racconto è lungo e intriso di esperienze incredibili; fece il venditore di surgelati, passava giornate intere con gli amici al bar Margherita di Bologna, lo chiamavano “Peppino Camparino”, bevve tantissimi Campari soda; Lucio Dalla gli soffiò il posto in una band, ecco perché Avati si definisce un musicista fallito. C’è anche il ricordo del suo primo film “Balsamus, l’uomo di satana”, in cui un nano, dal nome beffardo Ariano Nanetti, cambiò la sua vita finanziando il suo primo film, firmando a vista 16 assegni da 10 milioni di vecchie lire ciascuno. Era il 1967, Bellocchio per fare il film: “ I pugni in tasca “ 3 anni prima aveva speso 38 milioni di lire. Avevamo fatto venire i più grandi cinemobili da Roma ricorda Pupi; il regista doveva dire: “motore”, il fonico “partito”, l’assistente operatore “pronto”, il ciacchista diceva davanti la macchina da presa “45 uno prima” azione. Franco Delli Colli direttore della fotografia gridava “silenzio”. Alla fine il regista, Pupi Avati doveva dare il “Ciak” (lui ridendo bisbiglia: è la cosa che dice chiunque non sa nulla di cinema), e mentre lo diceva si rese conto che doveva dire “Motore”. La risposta in romanaccio del direttore della fotografia fu: “Non te preoccupà.. er film te lo famo noi”. Il film che provocò un corto circuito nella sua mente fu “8 e mezzo” di Federico Fellini. All’uscita dal cinema decise di fare il regista. David di Donatello, per la migliore sceneggiatura nel 1990 e migliore regista nel 2003, Pupi Avati incanta con la sua narrazione, simile quasi a una fiaba, trova l’epilogo al termine dell’incontro, spiazzando un centinaio di giovani nella fascia d’età fra i 18 e i 25 anni. Sono rimasti tutti lì, inchiodati alle sedie della sala Bianca del Centro Sperimentale di Cinematografia ad ascoltare la storia della ellissi come metafora della vita. Qualche minuto prima di raccontarla, Pupi Avati, aveva parlato molto di sé, ha confidato ai ragazzi di sognare a occhi aperti la sera, prima di addormentarsi. “Provate a immaginare cose magnifiche, realizzare con il pensiero i sogni irrealizzabili, pensando che prima o poi qualcuno si accorgerà di voi”. E continuando a rivolgersi agli studenti ha detto: “voi siete qua perché avete investito sui vostri sogni. Quando vengo invitato a dire qualcosa, a 77 anni, io dico sempre che il percorso l’ho già fatto, sono entrato in un territorio che non conoscevo. Premetto, dice Avati, di provenire da un famiglia contadina, i primi anni della mia vita li ho passati in campagna, è qui che ho avuto i miei imprinting. La vita secondo la cultura contadina, è una collina, e la collina è una ellissi divisa in quarti. Più sali questa collina, più puoi immaginare, illuderti, credere che tutto quello che succede oltre la collina potrà esser come decidi tu. E’ fondamentale essere capaci di autoilludersi; questa è una cosa meravigliosa. “Con l’immaginazione, dice Avati, puoi salire questa collina di sera prima di addormentarti; se dovessi rappresentare la mia vita graficamente penso a una ellisse, una sorta di navicella che parte dalla nascita, nel mio caso, il 3 novembre del 1938, e attraversi il primo quarto di ellisse imparando a camminare, a parlare, venendo da una regione sconosciuta. Il bambino in questa fase della sua vita apprende il concetto del “per sempre”; tutto è possibile per lui, il giocattolo, la mamma, l’amico, tutto è per sempre. Non ha ancora consapevolezza della vita. Nel secondo quadrante è diventato un ragazzo, poi un uomo, è uscito dal suo eloquio e ha davanti a se il futuro come attesa, ma sta raggiungendo la vetta della collina e quando arriva si rende conto che sta scollinando. Il percorso che si è lasciato alle spalle lo vede vitale, entusiasmante, più eccitante, ma sta per scoprire una verità dolorosa che lo attende all’apice della collina”. Il racconto del grande regista va avanti e cita Proust, quando parla della polarità che si inverte non c’è più il futuro ma subentra il passato. E così ti accorgi che il tuo fisico inizia a degradare. Per me lo scollamento è avvenuto a Rimini; stavo girando una serie di puntate per la tv per una sit com tv nel 1986. Ero in hotel accanto a me un libro, li ho avuti sempre. Ho difficoltà a leggerlo, li ho capito che avevo bisogno degli occhiali e capii di essere entrato nell’ultimo quarto dell’ellisse. Da qui ho cominciato a ricordare la mia giovinezza. Sembravo quasi di essere giunto ai titoli di coda. Ho avvertito dentro di me una sorta di misteriosa e affascinantissima regressione che non è stata soltanto fisica ma anche psicologica; io assomiglio sempre di più a quel bambino che fu alla partenza della navicella. Alla nostalgia della mia giovinezza si sta sostituendo la nostalgia della mia infanzia. Sta tornando il “per sempre” sta tornando una sorta di forma di sguardo che è molto più ampio e più libero e che fa molto meno i conti con tutto, è lo sguardo del bambino. Io e i bambini abbiamo una misteriosa affinità. Mi intendo adesso più con i miei nipoti che con i miei figli. Percepisco la loro sofferenza, il loro dolore. E se c’è un elemento che abbiamo in comune è la vulnerabilità. Le persone vulnerabili sono le migliori del mondo sono le persone deboli. La persona anziana nella sua debolezza trova un’aderenza con il prossimo; si torna a essere quel bambino meraviglioso che un giorno ha emesso il suo primo vagito”. Magistrale la conclusione: “la mia nostalgia, più grande è quella che si concluda il viaggio della navicella nella cucina dei miei genitori in via san vitale che mi aspettano a cena”.

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Cinema

“La Notte” di Michelangelo Antonioni

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 “La Notte” di Michelangelo Antonioni a Venezia 81

Nell’ambito della 81esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, il Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale presenterà in anteprima mondiale nella sezione Venezia Classici la versione restaurata de La notte (1961) di Michelangelo Antonioni con Marcello Mastroianni, Jeanne Moreau e Monica Vitti. La proiezione ufficiale sarà il 30 agosto, alle 14.15 nella sala Corinto, per pubblico e accreditati.

“L’avventura, è uno dei film della mia vita. All’epoca ne rimasi folgorato – ha scritto per il dossier del Centro Sperimentale Gianni Amelio – Se il motore de L’avventura è anche narrativo, in La notte è tutto chiuso nella tensione del non-racconto, nell’espressività assoluta dell’immagine nuda. Le parole, come nell’ultima sequenza, si rovesciano su loro stesse”.

“Lidia e Valentina, le protagoniste del magnifico La notte, si stagliano tra architetture urbane e paesaggi reali a dimostrare già visivamente la loro potente presenza”, scrive nel dossier Angela Prudenzi. “Tra due donne lontane e un uomo assente il film indaga i sentimenti di una coppia al capolinea e svela la tentazione di un tradimento che, all’alba, in uno squarcio di lucidità, confermerà la verità di quel matrimonio finito”, secondo Laura Delli Colli.

Antonioni è stato il regista che più di altri, nella cultura italiana del dopoguerra, è diventato la stella polare del cinema d’autore internazionale: non a caso da Wenders a Wong Kar Wai, spesso i registi capaci di inventare e possedere uno stile, lo hanno considerato un punto di riferimento cruciale. La sua passione per la forma delle immagini, il suo occhio pieno di stupore, curiosità e attenzione nei confronti delle donne, la sua capacità di ritagliare angoli del nostro mondo contemporaneo e mostrarcelo sul grande schermo come se fosse un pianeta enigmatico, inesauribile, minaccioso e affascinante, hanno dato vita ad una avventura unica fatta di film come esperienze mentali e sensoriali.

Il restauro, curato da Sergio Bruno, lungo e impegnativo, consente di riscoprire il cinema di un maestro ma anche l’arte del direttore della fotografia, Gianni Di Venanzo, tra i più importanti del cinema italiano contemporaneo, che in La notte dota le inquadrature di un bianco e nero grafico e spettrale, di carbone e metallo, come nella celebre “alba livida” del finale, dove al cielo abbacinante si oppone la luminescenza irreale dei prati.

Il Centro Sperimentale ha realizzato per il restauro del film un dossier con le testimonianze, tra le altre, di Enrica Fico Antonioni, Andrea Guerra, Beppe Lanci, Maria Pia Luzi, e un’ ampia provvista di materiali critici e di documentazione con la collaborazione di  Gianni Amelio, Franco Bernini, Sergio Bruno, Laura Delli Colli, Luca Pallanch, Fabio Melelli, Angela Prudenzi, Silvia Tarquini.

 

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Cinema

Cinema, a Sciacca la Rassegna su Germi

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Con la proiezione nell’Arena Giardino della Multisala Badia Grande de “Il cammino della speranza” film girato a Favara nel 1950 e che tratta il tema drammatico dell’emigrazione, si è conclusa ieri sera la rassegna organizzata da Sino Caracappa e patrocinata dal comune di Sciacca dedicata alla figura di Pietro Germi, nel cinquantesimo anniversario dalla sua morte. La serata è stata introdotta dalla interessante presentazione del libro dal titolo “Pietro Germi il Siciliano”, del 2014, scritto dal catanese Sebastiano Gesù, critico cinematografico e storico del cinema italiano morto nel 2018. Un libro che oltre alla presentazione del regista Pasquale Scimeca contiene anche una prefazione firmata da Sino Caracappa. A parlarne sono stati Ivan Scinardo, direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo, e il cineasta Carmelo Franco, di professione avvocato. Ad intervistare i due ospiti è stato Raimondo Moncada. La serata ha poi visto anche la proiezione dei fuori scena di Sedotta e abbandonata di Vincenzo Raso. Alla Rassegna Pietro Germi ci sarà un’appendice programmata per il 28 settembre, con un convegno dal titolo “Il cinema di Pietro Germi e la Sicilia”, su cui abbiamo chiesto un’anticipazione a Sino Cacarappa.

 

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Cinema

Luce Cinecittà a Locarno 77 con due titoli

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Luce Cinecittà è alla 77ma edizione del Locarno Film Festival (7-17 agosto) con due titoli di giovani registe italiane. Nel Concorso Internazionale Sulla terra leggeri, esordio al lungometraggio di Sara Fgaier, già autrice del corto Gli anni , presentato al Festival di Venezia 2018 (Orizzonti) e vincitore sia dell’EFA come miglior cortometraggio europeo che il Nastro d’argento. Come montatrice e produttrice Sara Fgaier ha realizzato diversi film, tra cui La bocca del lupo (2009) e Bella e Perduta (2015) di Pietro Marcello.

Cosa accade se non ricordiamo più l’amore della nostra vita? È la domanda al centro del racconto della regista spezzina. Il protagonista, Gian, lotta contro l’oscurità di un’improvvisa amnesia. Miriam, la figlia che non riconosce, gli consegna un diario, scritto a vent’anni, che ruota tutto intorno a Leila, la ragazza con cui ha scoperto l’amore nell’arco di una notte. Solo cercandola potrà ritrovare se stesso. Nel cast Andrea RenziSara SerraioccoEmilio ScarpaLise LomiMaria Fernanda CândidoStefano Rossi GiordaniAmira Chebli ed Elyas Turki.  

Sulla terra leggeri è prodotto da Limen, Avventurosa e Dugong films con Rai Cinema. La Vendita Internazionale è curata da Rai Cinema International Distribution, mentre la Distribuzione Italiana è di Luce Cinecittà. Il progetto è stato sviluppato dal TorinoFilmLab e finanziato con il TFL Production Award per € 40.000.

Sulla terra leggeri

In Concorso nella sezione Cineasti del Presente Real, il nuovo lungometraggio di Adele Tulli che torna alla regia dopo la rivelazione della sua opera prima Normal, anche questa coprodotta e distribuita da Luce Cinecittà, presentata in anteprima alla Berlinale e vincitrice della Menzione opera prima ai Nastri d’Argento.

Un nuovo viaggio poetico e inatteso dentro un mondo in cui siamo quotidianamente immersi, divenuto talmente abituale da non farci rendere conto quanto sia sconosciuto ed estraniante: il mondo digitale. Una realtà che ha rivoluzionato le vite di noi tutti, e che il documentario indaga con le stesse lenti tecnologiche, creative e relazionali con cui è strutturata. Una mappa documentata e senza preconcetti che ci mostra con sguardo inedito e curioso un territorio ineffabile, alieno e insieme familiare.

Real è un viaggio filmico, visionario e coinvolgente, dentro al mondo disincarnato della rete, un multiverso digitale parallelo dove ogni cosa esistente è trasformata dalla fisica dell’ossigeno e del carbonio alla logica dei bit. Un documentario creativo che esplora la trasformazione dell’esperienza umana nell’era digitale, facendo luce sui molti aspetti, a tratti perturbanti, del vivere digitalizzato e iperconnesso: i protagonisti – umani, robotici, virtuali – sono alle prese con relazioni virtuali, lavori digitali, cybersessualità, case e città del futuro, automatizzate e sorvegliate. Raccontano di cultura dell’autorappresentazione, di nuove dipendenze e patologie, di alienazione e isolamento ma anche di identità libere dai confini fisici del corpo.

Real ha uno sguardo inedito e sperimentale, utilizzando poeticamente le stesse lenti di accesso ai nuovi territori digitali: visori, webcam, smartphone, camere di sorveglianza, sguardi meccanici e virtuali che raccontano di un nuovo modo di fare esperienza del reale. Senza risposte o giudizi, ma con la curiosità e la freschezza di un occhio atterrato su un nuovo pianeta, R E A L ci porta su una soglia, al di là e al di qua di un confine incerto. Con un approccio algoritmico e visivamente inedito, un documentario che è un viaggio immersivo nella nostra fantascientifica realtà di tutti i giorni: come ci si sente a essere umani nell’era digitale.

Prodotto da Pepito Produzioni e FilmAffair con Rai Cinema e Luce Cinecittà, in collaborazione con Les Films d’Ici il film sarà distribuito nei cinema da Luce Cinecittà. La distribuzione internazionale è curata da Intramovies. Scritto e diretto da Adele Tulli, Real vede la fotografia di Clarissa Cappellani e Francesca Zonars, il montaggio di Ilaria Fraioli, Adele Tulli, le musiche originali di Andrea Koch, la produzione creativa di Laura Romano. È prodotto da Agostino Saccà per Pepito Produzioni, Valeria Adilardi, Luca Ricciardi, Laura Romano, Mauro Vicentini per FilmAffair in collaborazione con Charlotte Uzu di Les Films d’Ici.

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In Tendenza