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Cinema

Nove giorni al Cairo – Un’inchiesta per Giulio

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“Orgoglioso di presentare un totale fuori programma. Non c’è bisogno che parli” afferma Felice Laudadio in occasione della presentazione del docufilm “Nove giorni al Cairo” di Carlo Bonini e Giuliano Foschini, giornalisti di Repubblica, girato con la collaborazione di 42° Parallelo. Le parole cedono il posto agli eventi, a ciò che è successo veramente, alla lotta per conoscere la verità, la storia di Giulio Regeni, ritrovato senza vita in un quartiere periferico del Cairo il 3 febbraio del 2016. Il Bif&st  è il primo festival di cinema che accoglie questo  lungometraggio, dopo il suo primo passaggio al festival di giornalismo a Perugia.

Ricercatore presso la Cambridge University, Giulio si era recato al Cairo per condurre una ricerca partecipata sui sindacati egiziani: il docufilm, nella contaminazione tra linguaggio della scrittura giornalistica e delle immagini, restituisce in HD una realtà che a stento si riesce ad accettare;  consegna al pubblico la ricostruzione degli eventi che hanno portato alla morte il giovane studente di soli 28 anni.

Macchine in coda, strade affollate, sregolate e intervallate da banconi asimmetrici di ambulanti sono le prime scene che fanno da sfondo e scandiscono il ritmo di una città caotica il cui vociferare assordante investe gli angoli delle strade del Cairo.  A Giulio non piaceva il rumore di quella città ma ormai era lì e voleva portare a termine il suo compito: tutelare il sindacato degli ambulanti al Cairo tramite la ricerca universitaria. Allora viene affidato alla protezione del capo del sindacato Mohamed Abdallah  – dall’ONG,  con cui avrebbe proseguito una ricerca partecipata in loco.  Ma la correttezza e la professionalità di Giulio presto saranno ripagate con il massacro. I rapporti tra lui e Adhallah si logorano: quest’ultimo pretendeva che le 2.000 sterline, somma destinata ai fondi di ricerca su cui si stava impegnando Giulio, fossero devolute direttamente ai sindacalisti : “A me interessa che voi venditori abbiate il denaro in modo legale  -rispondeva  Giulio  – Io  non posso usare questi soldi per fini personali”.  Ma la miseria sovrasta la legalità al Cairo.  Le conclusioni  delle indagini  svolte finora,  non  ancora complete  e  definitive,  portano  a pensare  che  Regeni  sia  stato  venduto  da  Adhallah  all’ Agenzia  Segreta  del  Cairo,  che  vedeva  nella figura di Giulio una spia:  “ma avevano sbagliato persona […] i depistaggi sono andati male perché hanno beccato una persona sbagliata, corretta”-  dice  Bonini  durante  l’incontro – “L’Agenzia  Segreta  comprese l’innocenza di  Giulio troppo tardi:  dopo averlo torturato per giorni, nel  timore che Giulio potesse raccontare tutto,  l’hanno fatto fuori”.  La correttezza ha incontrato la miseria che  l’ha venduta alla violenza: Giulio Regeni è stato venduto al Servizio Segreto per interessi economici  di  Adhallah  che secondo gli accordi sarebbe stato “onorato” –  come  si  ascolta  nelle  intercettazioni – con un’ingente somma a fine compito.

Sono esattamente 9 i giorni che intercorrono tra  il  rapimento di Giulio fino al suo ritrovamento: “Quando sono arrivata al Cairo ho avuto l’immagine di mio figlio buttato accanto ad una spazzatura” racconta la mamma nel docufilm e non si sbagliava.

Il  medico  legale  nei  referti  scrive:  “Il  corpo  mostra  che  le  torture  sono  state  inflitte  da  professionisti  […]. Il corpo  di  Giulio  presentava  una  lesività  che  non  risparmiava  nessuna  parte  del  corpo”.  La  violenza  e l’ingiustizia  bruciano:  da  qui  i  giornalisti  e  la  politica  italiana  vogliono  ripartire,  da  un  fuoco  che  ancora  non  si  è  spento.

“Ma  l’Università  di  Cambridge  come  si  è  comportata  davanti  a  tutto  questo?”  interviene  una  signora:  “Noi siamo  rimasti  sconvolti  dall’omertà  dell’Università.  L’ultima  volta  che  abbiamo  visto  la  professoressa  di  Giulio  è stato  al  suo  funerale” rispondono  Foschini  e  Bonini.  Non  ci  sono  striscioni,  iniziative  o  alcuna  traccia  di commemorazione  di  Regeni  nell’Università:  si  è  chiusa  in  se  stessa.

Molti sono gli  studenti dell’Università di Cambridge  indirizzati verso l’intelligence inglese  e questo potrebbe essere il movente che ha spinto l’Agenzia Segreta del Cairo a guardare Giulio come una spia.

Il depistaggio delle autorità politiche del Cairo e il mutismo dell’università di Cambridge continuano a offendere e insanguinare il ricordo di una violenza senza fine: “Il depistaggio è  ancora un  perpetuare di violenza” racconta la mamma di Giulio. “La dissimulazione della verità ha fatto capire agli investigatori come stanno le cose “ specifica Bonini durante l’incontro.

Il caso Giulio Regeni è il banco di prova di come il mestiere del giornalista debba essere virtuoso e non vizioso: “Non bisogna smettere mai di raccontare” incoraggia Foschini rivolgendosi al pubblico in sala, ancora troppo scosso e incredulo.
La vicenda regala ancora brividi: è quasi una profezia quella condensata  nel testo dell’ultima canzone scaricata da Giulio sul suo computer, ”A Rush of Blood to the Head” dei Cooldplay.

“Ho pensato che non sarei mai stata la nonna dei figli di Giulio, il mio unico figlio”, dice mamma Paola, che con papà Claudio non placa la sua voglia di verità: i loro visi sono fermi davanti alla cinepresa, ma con occhi smarriti e persi nel vuoto di una storia non ancora ricostruita. La rabbia si traduce nella tenacia di chi non ha più niente da perdere se non ridare quella dignità defraudata, con la tortura e l’agonia, a un innocente. Le autorità politiche e i familiari chiedono di avere giustizia: vogliono conoscere la verità.

“Honey, all the movements you’re starting to make
See me crumble and fall on my face
And I know the mistakes that I’ve made
See it all disappear without a trace
And they call as they beckon you on
They said start as you mean to go on
Start as you mean to go on

“Tesoro, tutti i movimenti che stai cominciando a fare§
Mi vedono sgretolare e cadere di faccia
E conosco gli errori che ho fatto
Vedo tutto sparire senza lasciare una traccia
E loro chiamano come se ti facessero un cenno
Hanno detto di iniziare non appena intendi andare Avanti
Di iniziare non appena intendi andare avanti”


“So I’m gonna buy a gun and start a war
If you can tell me something worth fighting for
And I’m gonna buy this place, is what I say
Blame it upon a rush of blood to the head, oh to the head”

“Così comprerò una pistola e inizierò una Guerra
Se mi puoi dire qualcosa per cui vale la pena combattere
Oh, comprerò questo posto, è quello che dico
Colpa di un flusso di sangue alla testa,alla testa”

Coldplay

Cinema

Le Giornate del cinema per la scuola

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Al via le Giornate nazionali del cinema per la scuola: l’inaugurazione con il Sottosegretario Borgonzoni

La senatrice aprirà lunedì 4 novembre le Giornate nazionali del cinema per la scuola 2024, promosse dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura in collaborazione con Anec

Sarà la sottosegretaria alla Cultura, Lucia Borgonzoni, ad aprire lunedì 4 novembre le Giornate nazionali del cinema per la scuola 2024, promosse dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura in collaborazione con Anec (Associazione Nazionale Esercenti Cinematografici), nell’ambito del Piano nazionale cinema e immagini per la scuola. Per il secondo anno consecutivo, docenti e dirigenti scolastici di tutta Italia si riuniranno a Palermo, presso i Cantieri Culturali alla Zisa, trasformati fino al 6 novembre in una grande “Città del cinema per la scuola”. Il programma prenderà avvio alle 15:00 con la cerimonia inaugurale al Cinema De Seta, promossa dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura.

L’inaugurazione con il vice ministro

La cerimonia sarà aperta dai saluti del sottosegretario alla Cultura, Lucia Borgonzoni, e vedrà la partecipazione del direttore generale della Direzione Generale per la Comunicazione e le Relazioni Istituzionali del Mim, Giuseppe Pierro, e di Bruno Zambardino, referente per il Piano Nazionale Cinema per la Scuola presso la Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del Mic, che illustreranno le novità del Piano Cips. Alle 16:30, avrà luogo la presentazione dei film in uscita destinati al pubblico scolastico, a cura di Circuito Cinema Scuola e delle case di produzione e distribuzione Universal Pictures e Warner Bros, che presenterà il suo ultimo film d’animazione: Buffalo Kids di Juan Jesús García Galocha e Pedro Solís García (Spagna 2024, 93′), uscito nelle sale il 31 ottobre.

Alle 20:30 si terrà l’evento di punta della prima giornata: la presentazione in anteprima nazionale del film Criature (Italia 2024) di Cécile Allegra, tratto dall’omonimo romanzo della stessa autrice e previsto nelle sale dal 5 dicembre. Al Cinema De Seta, lunedì sera, sarà presente la regista Cécile Allegra, accompagnata da un collegamento in diretta con l’attore protagonista Marco D’Amore, noto per il suo ruolo nella serie Gomorra.

Fonte: cinecittanews.it

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Cinema

REAL al Festival dei Popoli

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‘REAL’, al Festival dei Popoli l’anteprima del film di Adele Tulli

Una produzione Pepito Produzioni e FilmAffair con Rai Cinema e Luce Cinecittà in collaborazione con Les Films d’Ici. In sala dal 14 novembre con Luce Cinecittà

Arriva nei cinema dopo l’acclamata prima mondiale all’ultimo Festival di Locarno e il Premio della Giuria al Festival del Film di Villa Medici dedicato al rapporto tra cinema e arti contemporanee, REAL, il nuovo film di Adele Tulli. Real sarà presentato in anteprima al 65. Festival dei Popoli, il più antico appuntamento del cinema documentario d’Europa, domenica 3 novembre alle 19.30 al Cinema La Compagnia di Firenze, alla presenza della regista.

Dopo il successo della sua opera prima Normal (presentato alla Berlinale, vincitore della Menzione Opera Prima ai Nastri d’Argento e acclamato in numerosi festival internazionali), Real sbarca sugli schermi il 14 novembre, distribuito da Luce Cinecittà. Il film è prodotto da Pepito Produzioni e FilmAffair con Rai Cinema e Luce Cinecittà, in collaborazione con Les Films d’Ici. La distribuzione internazionale è affidata a Intramovies.

Adele Tulli scrive e dirige un nuovo viaggio visionario, poetico e inatteso dentro un mondo in cui siamo quotidianamente immersi, talmente abituale da non farci più rendere conto di quanto sia in realtà sconosciuto ed estraniante: il mondo digitale. Una realtà che ha rivoluzionato le vite di tutti e che il documentario esplora con lenti tecnologiche, creative e relazionali. Con uno sguardo inedito e curioso, Real ci porta in un territorio ineffabile, alieno e al contempo familiare.

Scritto e diretto da Adele Tulli, REAL vede la fotografia di Clarissa Cappellani e Francesca Zonars, il montaggio di Ilaria Fraioli e Adele Tulli, le musiche originali di Andrea Koch e la produzione creativa di Laura Romano. È prodotto da Agostino Saccà per Pepito Produzioni, Valeria Adilardi, Luca Ricciardi, Laura Romano e Mauro Vicentini per FilmAffair, in collaborazione con Charlotte Uzu di Les Films d’Ici.

La sinossi di Real

Reale [dal lat. mediev. realis, derivato di res “cosa”] – 1. Che è, che esiste veramente, effettivamente e concretamente. La nostra concezione comune di “realtà” era fatta di oggetti tangibili, di relazioni corporee, di esperienze ed eventi in spazi fisici. Tuttavia, un processo inarrestabile di accelerazione digitale ha trasformato radicalmente il nostro pianeta, le nostre società e noi stessi: i dispositivi digitali non sono più semplici strumenti, ma porte d’accesso a una nuova realtà. I nostri smartphone e computer ci conducono in un universo aumentato in crescita esponenziale, che esperiamo quasi sempre senza contatto fisico. Un mondo digitale dove trascorriamo la maggior parte del nostro tempo, cercandovi felicità, soddisfazione, rapporti, conoscenza e nuove esperienze. Ma allora, cosa è oggi ‘reale’?

R E A L è un viaggio filmico, visionario e coinvolgente nel mondo disincarnato della rete, un multiverso digitale parallelo in cui ogni cosa esistente è trasformata dalla fisica degli atomi alla logica dei bit. È un documentario creativo che esplora la trasformazione dell’esperienza umana nell’era digitale, facendo luce sui molti aspetti, a tratti perturbanti, della vita iperconnessa: i protagonisti – umani, robotici, virtuali – affrontano relazioni digitali, lavori virtuali, cybersessualità, abitazioni e città futuristiche, automatizzate e sorvegliate. Raccontano una cultura dell’autorappresentazione, di nuove dipendenze e patologie, di alienazione e isolamento, ma anche di identità libere dai confini fisici del corpo.

R E A L adotta uno sguardo sperimentale, utilizzando poeticamente le stesse tecnologie che definiscono il mondo digitale: visori, webcam, smartphone, videocamere di sorveglianza e sguardi meccanici che ci accompagnano in un nuovo modo di vivere la realtà. Senza risposte o giudizi, ma con la curiosità di uno sguardo che esplora un nuovo pianeta, Real ci conduce al di là e al di qua di un confine incerto.

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Cinema

Pupi Avati e il conformismo

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Pupi Avati, o “l’anticonformismo del conformismo”

La presentazione del volume ‘Pupi Avati fuori dal cinema italiano’ al Museo Etrusco di Roma, alla presenza dei fratelli Avati. Steve Della Casa intervista il regista e l’autore del libro, Massimiliano Perrotta

“Il mio libro inizia con una cena a casa di Laura Betti, dove Pupi Avati era appena arrivato da Bologna con due film che erano andati male. E proprio lì, dove c’erano Bellocchio, Bertolucci, Moravia, Pasolini… gli scappò detto ‘io sono democristiano’: la cosa più conformista, che però in quel consesso coincideva col massimo dell’eresia. Su questo paradosso, su questa contraddizione, lui ha costruito la sua carriera e io ho costruito il mio libro”.

Così Massimiliano Perrotta presenta al pubblico il suo Pupi Avati fuori dal cinema italiano in una gremita Sala della Fortuna del Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma. Una biografia decisamente sui generis, appena uscita con Edizioni Sabinae, che in otto capitoli raccoglie altrettanti articoli già pubblicati dall’autore catanese sull’’Huffington Post’. Accanto a lui il regista, fresco della Laurea ad Honorem in Italianistica appena conferitagli all’Università Roma Tre, mentre in prima fila siede l’inseparabile fratello, Antonio Avati.

A moderare l’incontro è Steve della Casa, critico cinematografico e direttore artistico, storico conduttore radiofonico di ‘Hollywood Party’ nonché regista, autore e Conservatore della Cineteca Nazionale.

L’anticonformismo del conformismo è la chiave di lettura che il libro dà alla carriera di Pupi Avati”, rimarca Della Casa, dopo aver presentato il regista, accolto da un lungo applauso, come ‘il più grande affabulatore che ho conosciuto nella mia carriera’: “una carriera che ha parecchi punti che sorprendono, come dimostra il volume stesso. Ad esempio quando qualche anno fa ho scoperto che gran parte dell’ultimo film di Pasolini, Salò, è stato scritto da Pupi Avati, rispetto ai suoi lavori successivi mi sembrava una cosa eccentrica. Invece poi non lo è affatto. Questo libro è molto interessante e controcorrente, perché è una biografia non esaltatoria del soggetto e non ha un’esigenza di completezza: racconta un preciso punto, la posizione eccentrica di Pupi Avati all’interno della galassia del cinema italiano”.

“Il libro di Massimiliano (Perrotta, ndr) apre con la storia di quella cena, ma non è che io sono arrivato là e ho detto così, dal nulla, ‘sono democristiano’”, precisa ridendo Pupi Avati, che prende la parola confermandosi esattamente nel ruolo in cui è stato presentato e snocciolando anche in questa occasione decine di aneddoti più che divertenti sui suoi 85 anni di vita, di famiglia e di cinema, spesso mimando il racconto la voce con vere e proprie gag.

“Quello era il risultato di una serie di considerazioni di noi che arriviamo a Roma (io e mio fratello Antonio, ndr) con due ‘cadaveri’ di insuccessi, come allora si diceva”, continua il regista. “Anche dietro alla stessa scelta di questo piccolo nome, ‘Pupi’ Avati, c’era una cultura, un mondo, dei genitori, dei nonni, delle zie, la campagna vissuta nel primo dopoguerra… C’erano le favole contadine terrorizzanti che ci raccontavano prima di andare a letto nelle camere scricchiolantissime, come la favola del ‘prete donna’… E poi c’era la chiesa, l’educazione cattolica preconciliare, piena di inferno e di diavolo dappertutto. Ecco, avendo tenuto dentro di me con riconoscenza quell’immaginario che si è andato a formare laggiù, in quel tempo remoto, con una grande nostalgia… Perché allora non c’era niente, a parte i campi… E allora riempivi quel niente con l’immaginazione, col racconto orale, che era fondamentale. Magari alcuni dei miei parenti erano pressoché analfabeti, non avrebbero mai saputo scrivere… ma sapevano raccontare. E saper raccontare – come sapeva fare nostra madre, una narratrice fantastica, che da quando salivamo in macchina da via Saragozza a Bologna fino a Roma non si interrompeva un minuto – era una cosa preziosissima. Questa è l’Italia dalla quale vengo, che non aveva quasi nulla, ma aveva tantissimo, perché ti permetteva di immaginare, che oggi è una cosa quasi proibita”.

Tornando al libro, anche per chi non abbia letto in precedenza i suoi articoli online, lo stile del racconto di Perrotta appare esplicito fin dalle prime pagine e non lesina – ora qua ora là – personalissimi epiteti ai grandi maestri della settima arte, destinati a far discutere. Ma anche nei titoli scelti per dividere il volume: si va da Un democristiano nel salotto – dove si racconta la famosa cena di cui sopra – per poi passare a Il Truffaut dell’Italietta, La poesia democristiana, o Agli antipodi del fighettismo, all’interno del quale, ad esempio, l’autore scrive: “Glamour: ecco una parola che non si addice al cinema di Pupi Avati. Egli si colloca agli antipodi del fighettismo artistico e di quello sociale (…). Mentre il fighettismo idolatra i vincenti, Avati simpatizza per i candidi, per gli insicuri, per gli sfigati”.

“Pupi Avati è fuori dal cinema italiano per una ontologica estraneità agli schemi culturali che nell’ultimo mezzo secolo lo hanno dominato”, scrive ancora Perrotta nel primo capitolo: “non ha fede nella storia, non crede nel progresso, non lotta contro il potere, non gli interessano i temi sociali, non si batte per le nobili cause, non vuole denunciare nulla, non racconta la crisi dell’Occidente, non segue le mode, non ostenta citazioni, non è laico. Per la stessa ragione il cinema italiano ama poco Pupi Avati: lo tratta con condiscendenza, premia raramente i suoi film, fatica a riconoscergli lo status di autore con la a maiuscola. (…). Il cinema di Pupi Avati non va rivalutato o sdoganato: va letto con occhi vergini, con occhi postnovecenteschi, con gli occhi di domani”.

“Il cinema di Pupi è personalissimo, senza quella aggressività che altri autori cercano di imporre sulla materia narrata e sulla realtà con la loro cifra”, continua l’autore del libro in sala. “Anche nei riguardi del film horror, lui lo fa a tutti gli effetti, rispettandone i codici ma poi arricchendone il contesto con il suo sguardo. Anche in Salò, certo, c’è la sua firma, ma discreta: non c’è nulla che lui faccia, anche per la tv, che non rispetti quel che gli viene chiesto, e che però sia al tempo un film di Pupi Avati a tutti gli effetti, con tutte le sue cifre stilistiche, ma sempre con discrezione, con quel senso della misura che secondo me è quello che, se da un lato lo rende amabile, lo ha visto penalizzato da parte della critica. Ma il tempo secondo me dà ragione a lui”.

“L’argomento del film di genere, presente nel libro, è una preoccupazione che Pupi ha a livello di prospettiva”, precisa Steve Della Casa. “È molto attento anche a quello che avviene anche dal punto di vista commerciale nel cinema italiano, e alla sua capacità di trovare un pubblico. Praticare il cinema ‘di genere’ è stata una caratteristica del cinema italiano negli anni del suo massimo splendore. Diceva Giuliano Montaldo che se si potevano fare i film di Bertolucci e Pasolini era perché si facevano quelli di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, che incassavano, pensate, quasi il 10% del totale nel cinema italiano, consentendo agli altri di sperimentare. E poi c’era un’osmosi tra cinema d’autore e di genere, che si confrontavano continuamente. Nell’horror che fa Pupi Avati, ad esempio, gli effetti speciali hanno un ruolo piccolissimo, il suo è un horror di atmosfera: la paura ti arriva da altre cose”.

A chiudere la pubblicazione, un’interessante ‘raccolta nella raccolta’ tratta da libri, riviste e/o quotidiani, intitolata Fior da Fiore, che a partire dal 1970 fino al 2024 riporta i punti di vista delle più note firme del grande schermo nei confronti del cinema di Pupi Avati: Miccichè, Farassino, Bignardi, Bertetto, Caprara (Valerio), Anselmi, Fofi, Morandini, Ferzetti (Fausto), Rondolino, Tornabuoni, Crespi, Sarno, Kezich, Nepoti, Brunetta, Mereghetti, Rondi, Mancuso, Salvagnini, Giusti, Zappoli e Siniscalchi.

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