Cinema
La Sicilia è il cinema!
Nessuna regione d’Italia detiene il primato che la Sicilia ha in termini di realizzazione di film. Fu lo stesso Leonardo Sciascia, a darle questa profetica definizione, forse perché rimase colpito, durante la sua partecipazione sul set di Florestano Vancini, nel 1970, del film “Bronte, cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato” . L’autore raccontava i fatti accaduti nei primi giorni di agosto del 1860 in cui esplose una rivolta popolare, dove vennero saccheggiati diversi edifici e trucidate sedici persone. La sceneggiatura stava molto a cuore allo scrittore di Racalmuto, e probabilmente lo ispirò sulla frase: “La Sicilia è il cinema”. Da allora una valanga di case di produzioni, registi, attori, maestranze, hanno scelto ogni angolo di questa terra per raccontarla attraverso la settima arte. Ne è passato di tempo dall’uscita di film come: “A ciascuno il suo”, “Il giorno della civetta”, “Cadaveri eccellenti”, “Todo Modo”, tanto per citare quelli influenzati dalla scrittura di Sciascia; oggi la “road map” di chi ha girato e continua a farlo è sempre in continuo aggiornamento, tenteremo di riavviare il “navigatore” che avevamo metaforicamente “acceso” per gli attori. Per farlo prendiamo spunto dall’ultimo bando finanziato dall’Assessorato regionale al turismo; oltre un milione e mezzo di denaro pubblico investito sull’industria dell’audiovisivo per una ricaduta economica sul territorio, stimata 5 volte superiore. Ad affermarlo l’assessore Anthony Emanuele Barbagallo e il direttore dell’Ufficio speciale per il cinema e l’audiovisivo (la Filmcommission della Regione), Alessandro Rais. Scelgono un luogo simbolo, per annunciare i film finanziati, il Centro Sperimentale di Cinematografia, di Palermo, che negli ultimi anni ha diplomato giovani cineasti, alcuni di essi oggi beneficiari del finanziamento pubblico. “Il cinema come motore di sviluppo, lo definisce Barbagallo e annuncia che entro la fine di giugno sarà definito ancora un altro bando per dare continuità agli investimenti nel settore”. Gli fa eco Rais evidenziando l’investimento in termini di promozione della creatività applicata alle realtà e alle culture del territorio siciliano e dell’immagine della Sicilia”. 631 i professionisti siciliani che verranno impegnati nelle 28 produzioni cofinanziate, (17 documentari e 11 lungometraggi a soggetto), nell’ambito del programma Sensi Contemporanei. Un bando che ha aperto la partecipazione anche alle case di produzione straniere a condizione di allearsi con quelle italiane. Una call di portata internazionale sia per la decisiva presenza di coproduttori stranieri, che per l’effettiva capacità delle storie di rivolgersi ad un pubblico estero.
Ma iniziamo questo viaggio alla scoperta della conoscenza delle sceneggiature, dei piani di produzione e di lavorazione dei film che si stanno girando in Sicilia. Sono finite da pochi mesi le riprese di “Sicilian Ghost Story”, opera seconda dei registi palermitani Fabio Grassadonia e Antonio Piazza. La loro opera prima “Salvo” permise loro di vincere la settimana della critica di Cannes. Sono stati per 4 settimane sul parco dei Nebrodi, circondati da una natura incontaminata, per raccontare una sorta di “favola nera” che rievoca in chiave onirica la triste e assurda storia, ispirata dal racconto di Marco Mancassola, del rapimento e dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo. Il film sarà un successo, non solo per la regia e il testo ma per la fotografia di Luca Bigazzi e il montaggio di Cristiano Travaglioli, (gli stessi premio oscar Paolo Sorrentino). Le scenografie sono di Marco Dentici.
Attività intensa anche per un altro importante regista siciliano, Pasquale Scimeca, che dopo avere realizzato il film sulla vita di Biagio Conte, è uscito con un documentario dal titolo: “Missione- I poveri nutrono la terra, la terra nutre i poveri”. Una sorta di richiamo mistico a spingere la casa di produzione diretta da Linda Di Dio, a volare assieme al regista e alla troupe, in Africa, in Sierra Leone, rimanere lì per 4 settimane, e poi in Marocco per completare il lungometraggio dal titolo “Balon”. Il film racconta la storia di Amin, un ragazzino di dieci anni, che vive in Nigeria; uno dei tanti paesi africani in preda a continue guerre e carestie, con una sola grande passione, il calcio.
Uno dei più importanti documentaristi italiani, direttore artistico della scuola di reportage del centro Sperimentale di Cinematografia dell’Abruzzo, Andrea Segre, con il suo lavoro dal titolo: “40%”, si sta cimentando in maniera originale nel racconto, tristemente attuale del fenomeno delle migrazioni.
Aurelio Grimaldi, indimenticabile autore e regista di “Mery per sempre”, sta girando il film: “Il Presidente Bianco Rosso Sangue”. Sul solco del giornalismo di inchiesta, quando la cronaca diventa cinema, Grimaldi racconta i fatti del 1980, in cui si consumarono l’ascesa politica e l’omicidio del Presidente della Regione, Piersanti Mattarella. Aveva già ottenuto un discreto successo con “I Fantasmi di San Berillo“, il catanese Edoardo Morabito, allievo di montaggio di Roberto Perpignani, ottiene un finanziamento per la sceneggiatura de: “Il Provino”, riflessione ironica e paradossale sul mestiere d’attore e sulla relazione con la vita reale, interpretato da Donatella Finocchiaro, su compagna di vita.
Fra i lavori audiovisivi che la commissione ha voluto finanziare anche un genere horror “Cruel Peter” del regista messinese Christian Bisceglia. Il set è stato ambientato all’interno del cimitero monumentale di Messina. Una delle coproduzioni internazionali.
Se c’è un punto di riferimento per i giovani documentaristi siciliani, tra questi il palermitano Giovanni Totaro, che dal suo saggio di diploma del Centro sperimentale “Buon Inverno” sul microcosmo delle capanne di Mondello, ha avuto i finanziamenti per farlo diventare un lungometraggio, è il produttore piemontese Simone Catania, che girerà tra l’Inghilterra, la Germania e l’Italia, il suo “Drive me Home”, un road movie che afferma l’esigenza di un naturale ritorno alle origini. Esordio nella regia di lungometraggi per Ivano Fachin, di Modica, laureatosi a Perugia. Il suo “Polvere Nera”, è una storia intima e personale di un fuochista e del suo tormentato passato. Scorrendo la graduatoria dei film sostenuti dalla Filmcommission, spicca anche “Rocco” di Federico Cruciani lo stesso che scrisse “Il bambino di Vetro“, con una magistrale interpretazione di Paolo Briguglia. Fra i registi emergenti anche Alberto Castiglione, reduce dal suo primo lungometraggio dal titolo: “Mario Soffia sulla cenere”, girato lo scorso anno fra Campobello di Licata e Pietraperzia con l’impiego di oltre 200 comparse, adesso gira “Divina”, percorso storico tra realtà ormai dimenticate della scena teatrale del capoluogo siciliano. Fra i lavori più interessanti che sono stati apprezzati a livello internazionale c’è quello di un altro allievo della scuola di cinema di Palermo, Davide Gambino, nel suo “Still Life”, produzione tedesco-italiana, racconta la storia professionale e le passioni di tre imbalsamatori che lavorano all’interno dei più celebrati Musei di Storia Naturale d’Europa. Il produttore è Ruggero Di Maggio, anche lui palermitano. Esordio alla regia della bellissima attrice catanese Tea Falco, con il documentario “Ceci n’est pas un Cannolo” dal titolo allusivamente magrittiano. Soltanto una terra come la Sicilia poteva attrarre uno tra i più importanti artefici del teatro tedesco ed europeo Peter Stein, famoso per aver realizzato progetti monumentali e spesso in spazi inconsueti. Il suo film “Viaggio in Sicilia” ripercorre le tracce del celebre viaggio nell’Isola di Wolfgang Goethe. La lista è lunga, segno di un crescente interesse da parte delle produzioni a investire risorse importanti e valorizzare non solo il territorio ma anche e soprattutto giovani talenti che in passato hanno dovuto emigrare, ma che oggi vivono l’esperienza di una straordinaria occasione di crescita professionale e culturale.
E ancora, tra le produzioni straniere: “La Nascita del Gattopardo” di Luigi Falorni (della tedesca Kick Film) sul rapporto fra Giuseppe Tomasi di Lampedusa e la moglie Licy, ovvero Alexandra Wolff Stomersee, e “Dolphin Man” del regista greco Leftheris Charitos, ricca ed eterogenea coproduzione internazionale sull’apneista Jacques Mayol, che tocca la Sicilia per il suo celebre rapporto con il compianto Enzo Maiorca.
Di respiro internazionale anche il documentario “Hui He”, la soprano dalla via della seta, dedicato da Andrea Prandstraller e Niccolò Bruna (produttrice Agnese Fontana) alla celebre star della lirica cinese, che ha fatto tappa anche al Teatro Massimo di Palermo e che ha trovato nella Sicilia, e in particolare a Noto, la destinazione ideale per un momento di riflessione intima e personale.
Scava nella storia vera e dimenticata della prima grande ondata migratoria italiana e siciliana oltreoceano, tra il 1890 e il 1925, “La Storia Vergognosa” della giornalista catanese Nella Condorelli.
Di emigrazione trattano anche ambedue i ritorni al cinema documentario (dopo i rispettivi recenti esordi nel lungometraggio a soggetto con “Lo Scambio” e “Italo“, ambedue peraltro realizzati sotto gli auspici della Sicilia Film Commission), del palermitano Salvo Cuccia con “La Spartenza”, sull’opera letteraria di Tommaso Bordonaro, crasi tanto semantica quanto emotiva dei sentimenti vissuti dai flussi di emigranti siciliani nel corso del Novecento, e della regista modicana Alessia Scarso con “Minciucci”, film dedicato alla folta comunità di siciliani in Australia.
Sull’integrazione punta invece “Strade Minori”,firmato dalla regista palermitana Letizia Gullo insieme al documentarista etiope Dagmawi Yimer, storia di un piccolo gruppo di minori stranieri non accompagnati a Palermo e del loro percorso di socializzazione e formazione all’interno della pluriclasse del CPIA (Centro Provinciale per l’Istruzione per Adulti).
Fra gli altri documentari collocatisi in posizione utile per accedere al cofinanziamento, anche “A Prescindere… Antonio De Curtis”, del palermitano Gaetano Di Lorenzo, sull’ultima tournée teatrale del grande Totò, costretto a ritirarsi dalle scene per l’aggravarsi dei problemi alla vista, e “The Wall 1916 – Storia di un Campo di Prigionia”, del messinese Francesco Cannavà, sul campo di prigionia allestito a Vittoria durante la prima guerra mondiale e sull’azione di solidarietà del popolo siciliano.
La “virtual reality” si intreccia con una impostazione teatrale della narrazione in “Per Sempre” di Laura Schimmenti, storia del tenente Carmelo Onorato, ucciso a Cefalonia nel 1943, e dell’attesa del suo ritorno vissuta attraverso la moglie Netty; mentre “U Chiantu” di Andrea Valentino è incentrato sul tentativo di salvaguardare l’unica miniera-museo della Sicilia, quella solfifera di Cozzo Disi.
Nunzio Gringeri dirige invece “Zancle”, dedicato ai personaggi che vivono il Porto di Messina. (Pubblicato su I Love Sicilia del mese di Marzo)
Cinema
Le Giornate del cinema per la scuola
Al via le Giornate nazionali del cinema per la scuola: l’inaugurazione con il Sottosegretario Borgonzoni
La senatrice aprirà lunedì 4 novembre le Giornate nazionali del cinema per la scuola 2024, promosse dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura in collaborazione con Anec
Sarà la sottosegretaria alla Cultura, Lucia Borgonzoni, ad aprire lunedì 4 novembre le Giornate nazionali del cinema per la scuola 2024, promosse dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura in collaborazione con Anec (Associazione Nazionale Esercenti Cinematografici), nell’ambito del Piano nazionale cinema e immagini per la scuola. Per il secondo anno consecutivo, docenti e dirigenti scolastici di tutta Italia si riuniranno a Palermo, presso i Cantieri Culturali alla Zisa, trasformati fino al 6 novembre in una grande “Città del cinema per la scuola”. Il programma prenderà avvio alle 15:00 con la cerimonia inaugurale al Cinema De Seta, promossa dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura.
L’inaugurazione con il vice ministro
La cerimonia sarà aperta dai saluti del sottosegretario alla Cultura, Lucia Borgonzoni, e vedrà la partecipazione del direttore generale della Direzione Generale per la Comunicazione e le Relazioni Istituzionali del Mim, Giuseppe Pierro, e di Bruno Zambardino, referente per il Piano Nazionale Cinema per la Scuola presso la Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del Mic, che illustreranno le novità del Piano Cips. Alle 16:30, avrà luogo la presentazione dei film in uscita destinati al pubblico scolastico, a cura di Circuito Cinema Scuola e delle case di produzione e distribuzione Universal Pictures e Warner Bros, che presenterà il suo ultimo film d’animazione: Buffalo Kids di Juan Jesús García Galocha e Pedro Solís García (Spagna 2024, 93′), uscito nelle sale il 31 ottobre.
Alle 20:30 si terrà l’evento di punta della prima giornata: la presentazione in anteprima nazionale del film Criature (Italia 2024) di Cécile Allegra, tratto dall’omonimo romanzo della stessa autrice e previsto nelle sale dal 5 dicembre. Al Cinema De Seta, lunedì sera, sarà presente la regista Cécile Allegra, accompagnata da un collegamento in diretta con l’attore protagonista Marco D’Amore, noto per il suo ruolo nella serie Gomorra.
Fonte: cinecittanews.it
Cinema
REAL al Festival dei Popoli
‘REAL’, al Festival dei Popoli l’anteprima del film di Adele Tulli
Una produzione Pepito Produzioni e FilmAffair con Rai Cinema e Luce Cinecittà in collaborazione con Les Films d’Ici. In sala dal 14 novembre con Luce Cinecittà
Arriva nei cinema dopo l’acclamata prima mondiale all’ultimo Festival di Locarno e il Premio della Giuria al Festival del Film di Villa Medici dedicato al rapporto tra cinema e arti contemporanee, REAL, il nuovo film di Adele Tulli. Real sarà presentato in anteprima al 65. Festival dei Popoli, il più antico appuntamento del cinema documentario d’Europa, domenica 3 novembre alle 19.30 al Cinema La Compagnia di Firenze, alla presenza della regista.
Dopo il successo della sua opera prima Normal (presentato alla Berlinale, vincitore della Menzione Opera Prima ai Nastri d’Argento e acclamato in numerosi festival internazionali), Real sbarca sugli schermi il 14 novembre, distribuito da Luce Cinecittà. Il film è prodotto da Pepito Produzioni e FilmAffair con Rai Cinema e Luce Cinecittà, in collaborazione con Les Films d’Ici. La distribuzione internazionale è affidata a Intramovies.
Adele Tulli scrive e dirige un nuovo viaggio visionario, poetico e inatteso dentro un mondo in cui siamo quotidianamente immersi, talmente abituale da non farci più rendere conto di quanto sia in realtà sconosciuto ed estraniante: il mondo digitale. Una realtà che ha rivoluzionato le vite di tutti e che il documentario esplora con lenti tecnologiche, creative e relazionali. Con uno sguardo inedito e curioso, Real ci porta in un territorio ineffabile, alieno e al contempo familiare.
Scritto e diretto da Adele Tulli, REAL vede la fotografia di Clarissa Cappellani e Francesca Zonars, il montaggio di Ilaria Fraioli e Adele Tulli, le musiche originali di Andrea Koch e la produzione creativa di Laura Romano. È prodotto da Agostino Saccà per Pepito Produzioni, Valeria Adilardi, Luca Ricciardi, Laura Romano e Mauro Vicentini per FilmAffair, in collaborazione con Charlotte Uzu di Les Films d’Ici.
La sinossi di Real
Reale [dal lat. mediev. realis, derivato di res “cosa”] – 1. Che è, che esiste veramente, effettivamente e concretamente. La nostra concezione comune di “realtà” era fatta di oggetti tangibili, di relazioni corporee, di esperienze ed eventi in spazi fisici. Tuttavia, un processo inarrestabile di accelerazione digitale ha trasformato radicalmente il nostro pianeta, le nostre società e noi stessi: i dispositivi digitali non sono più semplici strumenti, ma porte d’accesso a una nuova realtà. I nostri smartphone e computer ci conducono in un universo aumentato in crescita esponenziale, che esperiamo quasi sempre senza contatto fisico. Un mondo digitale dove trascorriamo la maggior parte del nostro tempo, cercandovi felicità, soddisfazione, rapporti, conoscenza e nuove esperienze. Ma allora, cosa è oggi ‘reale’?
R E A L è un viaggio filmico, visionario e coinvolgente nel mondo disincarnato della rete, un multiverso digitale parallelo in cui ogni cosa esistente è trasformata dalla fisica degli atomi alla logica dei bit. È un documentario creativo che esplora la trasformazione dell’esperienza umana nell’era digitale, facendo luce sui molti aspetti, a tratti perturbanti, della vita iperconnessa: i protagonisti – umani, robotici, virtuali – affrontano relazioni digitali, lavori virtuali, cybersessualità, abitazioni e città futuristiche, automatizzate e sorvegliate. Raccontano una cultura dell’autorappresentazione, di nuove dipendenze e patologie, di alienazione e isolamento, ma anche di identità libere dai confini fisici del corpo.
R E A L adotta uno sguardo sperimentale, utilizzando poeticamente le stesse tecnologie che definiscono il mondo digitale: visori, webcam, smartphone, videocamere di sorveglianza e sguardi meccanici che ci accompagnano in un nuovo modo di vivere la realtà. Senza risposte o giudizi, ma con la curiosità di uno sguardo che esplora un nuovo pianeta, Real ci conduce al di là e al di qua di un confine incerto.
Cinema
Pupi Avati e il conformismo
Pupi Avati, o “l’anticonformismo del conformismo”
La presentazione del volume ‘Pupi Avati fuori dal cinema italiano’ al Museo Etrusco di Roma, alla presenza dei fratelli Avati. Steve Della Casa intervista il regista e l’autore del libro, Massimiliano Perrotta
“Il mio libro inizia con una cena a casa di Laura Betti, dove Pupi Avati era appena arrivato da Bologna con due film che erano andati male. E proprio lì, dove c’erano Bellocchio, Bertolucci, Moravia, Pasolini… gli scappò detto ‘io sono democristiano’: la cosa più conformista, che però in quel consesso coincideva col massimo dell’eresia. Su questo paradosso, su questa contraddizione, lui ha costruito la sua carriera e io ho costruito il mio libro”.
Così Massimiliano Perrotta presenta al pubblico il suo Pupi Avati fuori dal cinema italiano in una gremita Sala della Fortuna del Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma. Una biografia decisamente sui generis, appena uscita con Edizioni Sabinae, che in otto capitoli raccoglie altrettanti articoli già pubblicati dall’autore catanese sull’’Huffington Post’. Accanto a lui il regista, fresco della Laurea ad Honorem in Italianistica appena conferitagli all’Università Roma Tre, mentre in prima fila siede l’inseparabile fratello, Antonio Avati.
A moderare l’incontro è Steve della Casa, critico cinematografico e direttore artistico, storico conduttore radiofonico di ‘Hollywood Party’ nonché regista, autore e Conservatore della Cineteca Nazionale.
“L’anticonformismo del conformismo è la chiave di lettura che il libro dà alla carriera di Pupi Avati”, rimarca Della Casa, dopo aver presentato il regista, accolto da un lungo applauso, come ‘il più grande affabulatore che ho conosciuto nella mia carriera’: “una carriera che ha parecchi punti che sorprendono, come dimostra il volume stesso. Ad esempio quando qualche anno fa ho scoperto che gran parte dell’ultimo film di Pasolini, Salò, è stato scritto da Pupi Avati, rispetto ai suoi lavori successivi mi sembrava una cosa eccentrica. Invece poi non lo è affatto. Questo libro è molto interessante e controcorrente, perché è una biografia non esaltatoria del soggetto e non ha un’esigenza di completezza: racconta un preciso punto, la posizione eccentrica di Pupi Avati all’interno della galassia del cinema italiano”.
“Il libro di Massimiliano (Perrotta, ndr) apre con la storia di quella cena, ma non è che io sono arrivato là e ho detto così, dal nulla, ‘sono democristiano’”, precisa ridendo Pupi Avati, che prende la parola confermandosi esattamente nel ruolo in cui è stato presentato e snocciolando anche in questa occasione decine di aneddoti più che divertenti sui suoi 85 anni di vita, di famiglia e di cinema, spesso mimando il racconto la voce con vere e proprie gag.
“Quello era il risultato di una serie di considerazioni di noi che arriviamo a Roma (io e mio fratello Antonio, ndr) con due ‘cadaveri’ di insuccessi, come allora si diceva”, continua il regista. “Anche dietro alla stessa scelta di questo piccolo nome, ‘Pupi’ Avati, c’era una cultura, un mondo, dei genitori, dei nonni, delle zie, la campagna vissuta nel primo dopoguerra… C’erano le favole contadine terrorizzanti che ci raccontavano prima di andare a letto nelle camere scricchiolantissime, come la favola del ‘prete donna’… E poi c’era la chiesa, l’educazione cattolica preconciliare, piena di inferno e di diavolo dappertutto. Ecco, avendo tenuto dentro di me con riconoscenza quell’immaginario che si è andato a formare laggiù, in quel tempo remoto, con una grande nostalgia… Perché allora non c’era niente, a parte i campi… E allora riempivi quel niente con l’immaginazione, col racconto orale, che era fondamentale. Magari alcuni dei miei parenti erano pressoché analfabeti, non avrebbero mai saputo scrivere… ma sapevano raccontare. E saper raccontare – come sapeva fare nostra madre, una narratrice fantastica, che da quando salivamo in macchina da via Saragozza a Bologna fino a Roma non si interrompeva un minuto – era una cosa preziosissima. Questa è l’Italia dalla quale vengo, che non aveva quasi nulla, ma aveva tantissimo, perché ti permetteva di immaginare, che oggi è una cosa quasi proibita”.
Tornando al libro, anche per chi non abbia letto in precedenza i suoi articoli online, lo stile del racconto di Perrotta appare esplicito fin dalle prime pagine e non lesina – ora qua ora là – personalissimi epiteti ai grandi maestri della settima arte, destinati a far discutere. Ma anche nei titoli scelti per dividere il volume: si va da Un democristiano nel salotto – dove si racconta la famosa cena di cui sopra – per poi passare a Il Truffaut dell’Italietta, La poesia democristiana, o Agli antipodi del fighettismo, all’interno del quale, ad esempio, l’autore scrive: “Glamour: ecco una parola che non si addice al cinema di Pupi Avati. Egli si colloca agli antipodi del fighettismo artistico e di quello sociale (…). Mentre il fighettismo idolatra i vincenti, Avati simpatizza per i candidi, per gli insicuri, per gli sfigati”.
“Pupi Avati è fuori dal cinema italiano per una ontologica estraneità agli schemi culturali che nell’ultimo mezzo secolo lo hanno dominato”, scrive ancora Perrotta nel primo capitolo: “non ha fede nella storia, non crede nel progresso, non lotta contro il potere, non gli interessano i temi sociali, non si batte per le nobili cause, non vuole denunciare nulla, non racconta la crisi dell’Occidente, non segue le mode, non ostenta citazioni, non è laico. Per la stessa ragione il cinema italiano ama poco Pupi Avati: lo tratta con condiscendenza, premia raramente i suoi film, fatica a riconoscergli lo status di autore con la a maiuscola. (…). Il cinema di Pupi Avati non va rivalutato o sdoganato: va letto con occhi vergini, con occhi postnovecenteschi, con gli occhi di domani”.
“Il cinema di Pupi è personalissimo, senza quella aggressività che altri autori cercano di imporre sulla materia narrata e sulla realtà con la loro cifra”, continua l’autore del libro in sala. “Anche nei riguardi del film horror, lui lo fa a tutti gli effetti, rispettandone i codici ma poi arricchendone il contesto con il suo sguardo. Anche in Salò, certo, c’è la sua firma, ma discreta: non c’è nulla che lui faccia, anche per la tv, che non rispetti quel che gli viene chiesto, e che però sia al tempo un film di Pupi Avati a tutti gli effetti, con tutte le sue cifre stilistiche, ma sempre con discrezione, con quel senso della misura che secondo me è quello che, se da un lato lo rende amabile, lo ha visto penalizzato da parte della critica. Ma il tempo secondo me dà ragione a lui”.
“L’argomento del film di genere, presente nel libro, è una preoccupazione che Pupi ha a livello di prospettiva”, precisa Steve Della Casa. “È molto attento anche a quello che avviene anche dal punto di vista commerciale nel cinema italiano, e alla sua capacità di trovare un pubblico. Praticare il cinema ‘di genere’ è stata una caratteristica del cinema italiano negli anni del suo massimo splendore. Diceva Giuliano Montaldo che se si potevano fare i film di Bertolucci e Pasolini era perché si facevano quelli di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, che incassavano, pensate, quasi il 10% del totale nel cinema italiano, consentendo agli altri di sperimentare. E poi c’era un’osmosi tra cinema d’autore e di genere, che si confrontavano continuamente. Nell’horror che fa Pupi Avati, ad esempio, gli effetti speciali hanno un ruolo piccolissimo, il suo è un horror di atmosfera: la paura ti arriva da altre cose”.
A chiudere la pubblicazione, un’interessante ‘raccolta nella raccolta’ tratta da libri, riviste e/o quotidiani, intitolata Fior da Fiore, che a partire dal 1970 fino al 2024 riporta i punti di vista delle più note firme del grande schermo nei confronti del cinema di Pupi Avati: Miccichè, Farassino, Bignardi, Bertetto, Caprara (Valerio), Anselmi, Fofi, Morandini, Ferzetti (Fausto), Rondolino, Tornabuoni, Crespi, Sarno, Kezich, Nepoti, Brunetta, Mereghetti, Rondi, Mancuso, Salvagnini, Giusti, Zappoli e Siniscalchi.
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