Cinema
In Ellis, Robert De Niro fantasma dell’immigrazione
Pochi minuti, poche immagini e poche parole, perfette. Il racconto di un uomo arrivato a Ellis Island, New York alla ricerca di un posto dove poter essere trattato come tutti gli altri. Nel cortometraggio scritto da Eric Roth e interpretato da Robert De Niro riaffiora una delle tante storie di migranti senza lieto fine. E in questi 15 minuti c’è tutta New York, la sua storia e la gente che l’ha costruita, e un monito a ricordare i ricorsi storici
Pochi minuti, poche immagini e poche parole, perfette, il racconto di un uomo arrivato a Ellis Island, New York alla ricerca di un posto dove poter essere trattato come tutti gli altri. Un po’ di retorica americana, senz’altro, chiunque vive qui sa bene che la legge, anche qui, non è sempre uguale per tutti, e la vita non riserva le stesse opportunità. Ma la ricerca di un posto dove essere trattato come tutti gli altri è legittima, e legittima è la speranza.
La ricerca di una casa, la ricerca di pace, perché dimentichiamo così in fretta? Le stesse cose che cercavano i nostri nonni, i nostri padri e le nostre madri, quelle stesse cose che continua a cercare e sperare chi scappa adesso dalla Siria, dall’Iraq, dai mille paesi africani dimenticati, ma occorre proprio dirlo, specificarlo? Si scappa sempre dalla fame e dalle guerre e si cerca sempre un posto migliore dove trovare pace, un lavoro, una casa. Questo il monito di Ellis e al tempo stesso la sua rilevanza artistica.
Cortometraggio e istallazione fotografica si appropriano dei luoghi attraverso i volti, e attraverso quei ritratti in bianco e nero appiccicati sui muri scrostati come fossero graffiti, l’artista parigino crea l’opera d’arte dal luogo stesso. Poi, la scrittura di Roth, la voce e il corpo di De Niro, i movimenti lenti e fluidi della macchina da presa, i bianchi, i neri e le infinite tonalità di grigio della fotografia danno luogo a un film che è racconto, testimonianza ed esso stesso un’opera d’arte, scaturita dalla precedente.
Con i piedi gelati a Ellis Island e lo skyline di Manhattan in lontananza, in questi 15 minuti c’è tutta New York, c’è la sua storia e la gente che l’ha costruita. New York è una città di migranti, lo è sempre stata, e a testimoniarlo ci sono film, documentari e le facce di uomini e donne che si incontrano per strada ogni giorno. Nelle cucine dei ristoranti, nei saloni di manicure, a pulire i tavoli dei fastfood, le camere dei motel e gli appartamenti dell’Upper East Side, ma anche dietro ai banconi dei negozietti del Village e di Brooklyn, migliaia di immigrati, molti di loro undocumented arrivati dal Messico a piedi e nei camion, dalla Cina nei container, ma anche dall’Europa con voli di linea, turisti sulla carta, poi rimasti per altri mesi, che diventano anni, i tanti rifugiati, i richiedenti asilo.
New York, nelle sue strade e sullo schermo, confonde tutto, chi scappa da una guerra, chi dalla fame, dalla discriminazione, chi solo dalla noia o da se stesso e vuole semplicemente un’altra vita, ma questa è un’altra storia. La fisionomia umana della città è complessa, una città costruita dai migranti, come ricordano, tra i tantissimi altri, film come Nuovomondo, In America, Gangs of New York, The Immigrant, fino a Brooklyn di John Crowley, nelle sale in questi giorni.
Ma, dicevamo, si dimentica in fretta, eppure basterebbe guardare o riguardare qualche film. I migranti continuano ad arrivare a New York, solo che ora il Mediterraneo è al centro dell’attenzione, perché le guerre sono lì vicino, perché i nostri maggiori interessi sono lì nei dintorni, come ricorda in queste settimane anche il documentario di Jonas Carpignano Mediterranea. Qui vicino ci sono altre disperazioni. Un tempo si arrivava ad Ellis Island – diventata ufficialmente nel maggio 2015 il Museo Nazionale dell’Immigrazione – oggi si atterra al JFK e strisciando sotto i chilometri di filo spinato del Texas e dell’Arizona.
Fra gli edifici abbandonati di Ellis Island, De Niro fa riaffiorare una delle tante vite che si sono perse nella memoria e nel mare, una delle tante storie di migranti senza lieto fine, allora come adesso: “Sono il fantasma di tutti quelli che non ce l’hanno fatta ad arrivare, il fantasma di tutti quelli che non ci arriveranno mai.”
Storia vecchia quindi. Ma ricordare aiuta a pensare, e credo che a volte un film possa arrivare lì dove giornali, televisioni e Facebook non arrivano. (Chiara Barbo – La Voce di New York)